COMMENTO dello scriba Valdemir Mota de Menezes:
Come si può vedere il testo qui sotto l'Egitto ha sempre avuto un amore-odio con il popolo di Dio, prima con il popolo ebraico e il contrasto tra i tempi del patriarca Giuseppe e la riduzione in schiavitù e di liberazione ai tempi di Mosè. Nel periodo cristiano, l'Egitto è stato il rifugio di Gesù, da ragazzo, e poi, quando il cristianesimo si diffuse in tutto il mondo, Alessandria divenne uno dei più grandi centri intellettuali dei dibattiti dottrinali.
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Storia dell'Egitto greco e romano
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Egitto romano
Il principale interesse romano per l'Egitto era costituito dall'approvvigionamento di grano per l'annona della città di Roma. L'amministrazione romana della provincia d'Egitto si stabilì ad Alessandria, sede del prefetto; Roma introdusse nuovi funzionari, nuove forme di tassazione, abolì i titoli di corte tolemaici e l'autonomia della capitale, che perse la sua Bulè; diverse e sostanziali furono le modifiche apportate al sistema tolemaico di governo, tanto che la storiografia più recente parla senza dubbio di Egitto Romano, distinto dall'Egitto Tolemaico. I Greci continuarono a lavorare nella maggior parte degli uffici amministrativi; come tutto l'Oriente ellenistico, greca rimase la lingua utilizzata nella provincia. Il latino, al contrario, si mantenne vivo in ambito militare. Anche la cultura e l'educazione rimasero greche durante il periodo romano. Durante la dominazione romana il commercio con l'India avviato da Tolomeo I subì una grande accelerazione, diventando un'importante risorsa per l'impero.
Dominazione romana
Il primo prefetto d'Egitto, Gaio Cornelio Gallo, portò l'Alto Egitto sotto il controllo di Roma con un intervento militare e stabilì un protettorato sul distretto della frontiera meridionale, che era stata abbandonata dagli ultimi Tolomei. Il secondo prefetto, Elio Gallo, organizzò una spedizione non riuscita per conquistare l'Arabia: la costa egiziana del Mar Rosso non fu controllata dai Romani fino al regno di Claudio. Il terzo prefetto, Publio Petronio, bonificò dei canali di irrigazione, dando il via ad una ripresa dell'agricoltura.
L'Egitto provincia romana nel 120
Dal regno di Nerone in poi, l'Egitto conobbe un'era di prosperità che durò circa un secolo. I maggiori problemi incontrati riguardarono i conflitti religiosi sorti tra Greci ed Ebrei, in particolar modo ad Alessandria, che in seguito alla distruzione di Gerusalemme nel 70 divenne il centro mondiale della religione e della cultura ebraica. Sotto Traiano vi fu una rivolta ebraica, sfociata nella repressione degli Ebrei di Alessandria e nella perdita di tutti i loro privilegi, anche se in seguito vennero rapidamente ripristinati. Adriano, che visitò due volte l'Egitto, fondò Antinopoli in memoria del suo favorito Antinoo. Da allora in avanti furono eretti edifici in stile greco-romano in tutta la regione.
Sotto Marco Aurelio l'eccessiva tassazione condusse gli Egiziani ad una rivolta (139), che fu repressa solo dopo alcuni anni di combattimento. Questa Guerra Bucolica causò gravi danni all'economia e segnò l'inizio del declino economico dell'Egitto. Avidio Cassio, che fu a capo delle armate romane nella guerra, si autoproclamò imperatore, e fu riconosciuto dagli eserciti di Siria ed Egitto. All'avvicinarsi di Marco Aurelio, comunque, fu deposto ed ucciso, e la clemenza dell'imperatore restaurò la pace. Una rivolta simile scoppiò nel 193, quando Pescennio Nigro fu proclamato imperatore alla morte di Pertinace. L'imperatore Settimio Severo, nel 202, diede una costituzione ad Alessandria ed alle capitali provinciali.
L'evento più rivoluzionario nella storia dell'Egitto romano fu l'introduzione del Cristianesimo nel II secolo. Dapprima esso fu vigorosamente osteggiato dalle autorità romane, che temevano le discordie religiose più di ogni altra cosa in un paese nel quale la religione aveva sempre goduto di una notevole importanza. Comunque la nuova religione fece presto seguaci tra gli Ebrei di Alessandria. Da questi passò rapidamente ai Greci, ed in seguito si diffuse tra gli Egiziani dell'interno, senza che l'antica religione opponesse molta resistenza.
Caracalla (211-217) concesse la cittadinanza romana anche ai Greci d'Egitto. Nel III secolo vi fu una serie di rivolte militari e civili. Sotto Decio, nel 250, i Cristiani subirono le prime persecuzioni, ma la loro religione continuò a diffondersi. Durante il regno di Gallieno, il prefetto Emiliano si fece proclamare imperatore dall'esercito, finché il legato di Gallieno, Teodoto, non lo sconfisse. Poco dopo Zenobia, regina di Palmira, invase e conquistò l'Egitto, ma nel 272 Aureliano pose fine alla rivolta contro Roma. Due generali di stanza in Egitto, Marco Aurelio Probo e Domizio Domiziano, organizzarono con successo delle rivolte e furono proclamati imperatori. Diocleziano nel 296 sconfisse Domizio e riconquistò Alessandria. In seguito l'imperatore riorganizzò il paese, dividendolo in tre province, poi diventate quattro. L'editto di Diocleziano del 303 contro i Cristiani fu l'inizio di una nuova era di persecuzione. Ma questo fu l'ultimo serio tentativo di frenare la crescita della religione cristiana in Egitto.
Egitto bizantino
Il regno di Costantino vide la costituzione di Costantinopoli come nuova capitale dell'Impero, e nel corso del IV secolo esso fu diviso in due, con l'Egitto che si ritrovò nella parte orientale. Durante i secoli V e VI l'Impero Romano d'Oriente si trasformò lentamente nell'Impero Bizantino, uno stato cristiano, di lingua greca, che poco aveva in comune con il vecchio Impero Romano, che nel V secolo scomparve davanti alle invasioni barbariche. L'antica cultura egiziana fu gradualmente dimenticata: a causa della sparizione del sacerdozio pagano, nessuno riusciva più a leggere i geroglifici dell'Egitto faraonico, e i templi dell'antica religione furono convertiti in chiese o abbandonati al deserto. Anche la lingua egiziana antica poco a poco si trasformò nella lingua copta, che divenne il linguaggio liturgico del Cristianesimo egiziano.
Con l'Editto di Milano del 313, Costantino pose fine alle persecuzioni contro i Cristiani, e nel 324 fece del Cristianesimo la religione ufficiale dell'Impero. Il Patriarcato di Alessandria si era notevolmente sviluppato dai primordi del I secolo, ed Alessandria era diventata nel III secolo uno dei centri più importanti della cristianità. Non a caso fu proprio quella città ad essere protagonista del primo grande scisma del mondo cristiano, tra i seguaci del sacerdote alessandrino Ario e l'ortodossia, rappresentata da Atanasio di Alessandria. In seguito al Concilio di Nicea del 325, questi divenne arcivescovo di Alessandria e continuò la battaglia contro le idee ariane. La controversia teologica si trasformò in contesa politica, causando rivolte che interessarono gran parte del IV secolo.
La religione ortodossa non trovò, comunque, terreno fertile in Egitto per una facile diffusione. Oltre all'Arianesimo, varie eresie, come lo Gnosticismo ed il Manicheismo, trovarono numerosi adepti. Un altro fenomeno religioso, iniziato in Egitto dalle prime persecuzioni, fu il Monachesimo, caratterizzato dalla rinuncia al mondo materiale da parte di cristiani, che si recavano nel deserto per vivere da anacoreti. Nel corso del IV secolo il paganesimo perse gradualmente i suoi seguaci, fino alla definitiva scomparsa in seguito all'editto teodosiano del 389. Poco più tardi fu distrutto il celebre tempio di Serapide ad Alessandria d'Egitto, la roccaforte pagana nella regione. Alessandria, la seconda città dell'Impero, continuò ad essere al centro delle violente controversie religiose. Cirillo, patriarca di Alessandria, convinse il governatore della città ad espellere gli Ebrei nel 415. L'uccisione della filosofa Ipazia segnò la fine della cultura classica in Egitto. Un altro scisma nella Chiesa provocò una guerra civile in Egitto.
La controversia monofisita nacque dopo il Concilio di Costantinopoli del 381 e continuò fino al Concilio di Calcedonia del 451, che sancì la vittoria della posizione ortodossa. L'appartenenza della chiesa egiziana al credo monofisita creò gravi problemi a causa dell'ostilità dei rapporti tra il clero ed il prefetto, che rappresentava le idee ortodosse della corte imperiale. Sotto Zenone (474-491) vi fu una serie di deposizioni, deportazioni e condanne dei patriarchi alessandrini a favore dei vescovi nominati dall'imperatore.
La pace religiosa arrivò col regno di Anastasio (491-518), ma la situazione economica dell'Egitto era in condizioni disastrose. Lo spopolamento e la crescente miseria, dovuta in parte ad un sistema fiscale arbitrario, accompagnate dalla diffusione dei grandi latifondi a scapito delle piccole proprietà terriere, erano alcuni dei mali endemici in cui versava l'Egitto. Giustiniano (527-565) si impegnò per salvare il paese dall'anarchia, diede nuovo impulso all'attività edilizia e risolse il problema delle incursioni dei Blemmi.
Alla diocesi d'Egitto subentrò una divisione in cinque eparchie, amministrate ciascuna da un governatore con funzioni civili e militari. Sotto il regno di Giustiniano scomparve anche l'ultimo baluardo pagano, il tempio di Iside a File. Ma nel 616 i Persiani invasero l'Egitto ed occuparono Alessandria. La dominazione persiana durò circa dieci anni, fino a quando le sconfitte subite in Siria ed in Mesopotamia per mano delle truppe imperiali non obbligarono i Persiani a ritirarsi. L'imperatore Eraclio riunì le cariche di prefetto e di patriarca nella persona di Ciro, le cui tendenze antimonofisite ingigantirono la frattura religiosa e politica tra l'Egitto e l'Impero.
Nel 639 un imponente esercito arabo, mandato dal califfo Omar ibn al-Khattab, passò dalla Palestina in Egitto e nel 641 conquistò Alessandria. Dopo 973 anni, finiva così la dominazione greco-romana in Egitto.
Ce site Web est une collection de mes travaux sur l'histoire du christianisme, le grand arbre prophétisée par Jésus-Christ. Le Seigneur a déjà prédit que même les oiseaux (les démons) serait nid dans l'arbre. J'ai deux autres sites qui complètent cette approche. (Théologien Valdemir Mota de Menezes) http://igrejasevangelicasnomundo.blogspot.com http://catholicisme13.blogspot.com
mercredi 3 août 2011
mardi 2 août 2011
GINEBRA EN LA SUIZA
MI COMENTARIO:(Por: Escriba Valdemir Mota Menezes)
El texto que sigue es la respuesta que el reformador protestante Juan Calvino dio el cardenal de la Iglesia Católica Romana llama Sadoleto, Calvino sostiene que las doctrinas protestantes, que muestra que la fe en Jesucristo y su plan de salvación, son incompatibles con la religión católica. Calvino cita entre otras cosas, que el culto a los santos, con el tiempo oscurece a la gente llegar a Dios a través de Jesucristo, invalidando la única mediación de Jesús, que conecta al hombre con Dios. La soteriología bíblica (la doctrina de la salvación) señala que creer en el sacrificio de Jesucristo para redimirnos es la clave para la salvación, y no sólo de hacer buenas obras, según lo sugerido por la Iglesia Católica. En este texto, a continuación, también se sabe un poco más del reformador Juan Calvino influyó que miles de millones de personas en los últimos cinco siglos después de la Reforma. Esta carta de Calvino, también revela un momento crucial en la historia del cristianismo, porque Ginebra, Suiza, se convirtió en un foco de acciones de la resistencia de la Contrarreforma católica. La predicación fuerte de Calvino, fue fundamental para el protestantismo y la libertad del mundo moderno, estaba molesto porque el control absoluto que el catolicismo había y que incluso los reyes se inclinan ante el poder temporal del Papa. En esta carta de Calvino a la memoria del Cardenal Sadoleto, rituales y ceremonias católicos que estaban contaminados con las supersticiones paganas que han introducido en la iglesia durante los siglos. Juan Calvino habla de la Cena del Señor, la misa, la confesión auricular y ceremonias que han perdido su forma y características de la Biblia para ser enseñados por los hombres.
Respuesta al Cardenal Sadoleto
Juan Calvino
•Introducción
•Juan Calvino Saluda al Cardenal Jacobo Sadoleto
•Calvino y La Iglesia de Ginebra
•Intenciones de Sadoleto
•Quiere Descalificar a Los Reformadores
•La Gloria de Dios Ante Todo
•¿Cuál Es La Verdadera Iglesia?
•Definición de la Iglesia
•Fundamentos de la Iglesia
•La Justificación Por la Fe
•No Se Rechazan las Buenas Obras
•La Cena del Señor
•Oposición de Falsos Dogmas
•La Iglesia Maculada Con Falsos Dogmas
•Obediencia a la Palabra Divina
•El Cristiano Debe Conocer Su Fe
•Reformadores y Romanistas
•El Reformado Ante el Juicio de Dios
•El Reformado Busca la Verdadera Iglesia
•¿Qué Dirá el Convertido a la Fe Evangélica?
•Actitud Romanista y Reformista
•Único Fundamento: La Palabra de Dios
INTRODUCCIÓN
¿Quién era Calvino?
Es el autor de la carta cuya traducción presentamos aquí. Juan Calvino nació el año 1509 en Noyon, en el norte de Francia, y murió en Ginebra el año 1564. Por consiguiente, su actividad pública se desarrolló a mediados del siglo xvi.
A principios de este siglo plugo a Dios llamar a su pueblo para que volviese a la pureza de la doctrina evangélica. Y esto se llevó a cabo, en particular, por mediación del catedrático en teología de Witenberg (Alemania) Martín Lutero. Este no había pensado, ni mucho menos, en instituir una nueva iglesia; pero debido a las luchas de su propia vida y al estudio asiduo de la Biblia, llegó a descubrir que la iglesia se habla apartado del verdadero Evangelio, es decir, que el hombre es justificado por In fe, sin las obras de la ley (Romanos 3:28).
Cuando Lutero empezó a predicar este evangelio contra los errores que se hablan introducido en la Iglesia, errores que inducían a las gentes a confiar en sus propias obras religiosas para obtener así su salvación, entró en conflicto con los "dirigentes" de la Iglesia de su época, y también, finalmente, con el papa. El año 1520 fue desterrado a causa de su confesión del Evangelio. Pero la Iglesia está donde está la
Palabra de Cristo (Juan 3:27). Al desterrar a su testigo fiel, la iglesia de Roma demostró ser una iglesia infiel y falsa. Sin embargo, el Señor condujo hacia la reforma de la Iglesia a todos los que quisieron seguir su Palabra.
Ellos prefirieron el yugo de Cristo al yugo de los hombres y al yugo del papa.
Juan Calvino, que perteneció al principio a la iglesia de Roma, y habla seguido los estudios humanísticos, atraído durante los primeros se sintió también treinta años del siglo xvi, por los caminos de reforma de la Iglesia. Y así como Lutero fue una gran ayuda para la Reforma en Alemania y países escandinavos, Calvino lo fue para los románicos, anglosajones y Países Bajos. Siguió a Lutero y demás reformadores antiguos, continuando adelante por el camino que ellos hablan empezado, a saber: la reforma de la Iglesia según las Escrituras del Antiguo y Nuevo Testamento, que fueron aceptadas como única autoridad para ésta.
Después de peregrinar por diversas partes, fijó su campo de acción en Ginebra, en la Suiza de habla francesa. En 1535, o sea antes de la llegada de Calvino, ya habla sido introducida la Reforma en dicha ciudad. Calvino publicó en Basilea, el año 1536, su obra principal y más conocida, "Institutio Religionis Christianae. (Institución de la Religión Cristiana).. En el mismo año se le persuadió para que se quedase en Ginebra –cosa contraria a su voluntad-, y alli instructor. primeramente, y como predicador trabajó como más tarde.
Su primera estancia en esta ciudad fue de corta duración. Cuando por medio de su predicación y obra, en las que sus compañeros de ministerio le ayudaron constantemente, fue afirmándose cada vez más la autoridad de la Palabra de Dios en la Iglesia y el Estado, se produjo también la resistencia contra este trabajo, la cual se hizo al final tan fuerte, que tanto Calvino como sus colegas fueron expulsados de la ciudad (1538).
Entonces Calvino se fue a Estrasburgo donde fue predicador de una congregación de habla francesa. Estos años de Estrasburgo fueron de gran trascendencia para él. Desde este lugar se puso en contacto con los hombres más importantes de la Reforma en Alemania, e hizo amistad con un colaborador de Lutero, Felipe Melanchton, la cual no se rompió nunca a pesar de las grandes diferencias que les separaban. Entretanto se entregó con todas sus fuerzas a las controversias religiosas de aquel tiempo. De este modo conoció con más claridad las grandes diferencias existentes entre Roma y la Escritura, conociendo al mismo tiempo todo el terreno donde habla penetrado la Reforma. Mientras tanto se entregó a la edificación y dirección de la iglesia que le habla sido confiada en Estrasburgo. También tuvo contacto muy frecuente con personas que hablan sido arrastradas por la gran corriente de los anabaptistas.
Estos, al igual que los reformadores, se apartaban de la autoridad de Roma y no querían saber nada de la autoridad del papa, pero al mismo tiempo desechaban prácticamente la Sagrada Escritura. Según ellos, ésta no era mas que letra muerta y aquí se trataba del Espíritu que da vida, Pero ellos separaban a este Espíritu de la Palabra del Evangelio. Como consecuencia, desechaban el bautismo de niños y menospreciaban el pacto de la gracia, y la Iglesia instituida con diversos cargos, y en los primeros tiempos turbulentos se mostraron tumultuosamente con frecuencia contra la autoridad bíblica. A estos hombres se les considera justamente como fanáticos. Calvino podía, a través de su traba o oficial, abrir los ojos a muchos de estos equivocados. En 1540 se casó con Idelette de Bure, la cual juntamente con su difunto esposo, había pertenecido a los anabaptistas, pero que volvió a la Iglesia gracias a Calvino. Idelette murió en marzo de 1549.
Tuvo una gran trascendencia que Calvino conociese tan de cerca el fanatismo de los anabaptistas. En aquella época, como siempre, acechaban a la Iglesia del Señor grandes peligros: Por un lado, Roma habla separado el Espíritu de la Palabra, y habla querido someterlo y supeditarlo a la jerarquía eclesiástica. Y por otro lado no era menos peligroso el fanatismo que volvía la espalda por completo a la Iglesia, separando también a su manera el Espíritu y la Palabra, haciendo que el hombre, en su orgullo, prevaleciese sobre la Palabra de Dios.
Debido a que esto era peligroso, pues tanto Roma como la autoridad pública confundían frecuentemente la Reforma con el fanatismo de los anabaptistas, teniéndolos como una misma cosa, Calvino procuró poner de relieve y examinar las principales diferencias que existen entre los dos. En resumen, Roma y el fanatismo eran una misma cosa en lo que se refiere a separar la Palabra de Dios del Espíritu Santo.
En 1541 Ginebra invitó a Calvino para que volviera de nuevo; y a pesar de lo difícil que vela comenzar de nuevo allí su obra tan pesada, aceptó volver y emprender la tarea que le esperaba. Su segundo período de trabajo comprende desde 1541 hasta 1564. Aunque este periodo es de gran trascendencia, sólo señalaremos algunos puntos.
Desde el principio, Calvino tropezó con mucha resistencia en la misma Ginebra. El liberalismo humanista no quería rendirse a la disciplina de la Escritura en la Iglesia. Se levantaban además peligrosas herejías contra la doctrina de las Escrituras. Muchas veces parecía que su obra iba a desaparecer, debido a que los poderosos de este mundo se unían contra Calvino. De aquí que sea injusta la idea de que mandó como dictador, antes al contrario, los poderosos y la gente bien considerada procedían contra Calvino, que sólo deseaba que se respetase la autoridad de la Palabra de Dios.
En los siguientes años de su vida pudo cosechar el fruto de su trabajo, aunque no en el aspecto lucrativo o de tranquilidad, pues permaneció pobre hasta el momento de su
muerte, viéndose además arrollado por el mucho trabajo que cada vez se hacía mas pesado, y teniendo que guardar cama muchos días y semanas a causa de su salud muy debilitada por la enfermedad, sin tener otra solución que continuar su trabajo en el lecho. Sus muchas enfermedades no le impedían continuarlo. El fruto de su obra pudo apreciarlo en el hecho de que la Palabra del Evangelio era cada vez más escuchada en la ciudad donde actuaba, y al mismo tiempo la voz del Evangelio y de su siervo se extendían más y más en el extranjero.
Para lograr esto último empleaba tres procedimientos. En primer !ugar, una abundante correspondencia que se extendía, por decirlo así, por casi toda Europa. Muchas veces le pedian consejo desde lejanas tierras, cuando había dificultades que resolver, o para servicio de la edificación de la Iglesia. También enviaba sus cartas de consuelo a los creyentes oprimidos sobre todo en Francia. Mantenía correspondencia con personas que ocupaban importantes cargos en muchos países, teniendo siempre su mirada fija en la continuación de la obra del Señor.
En segundo lugar, se editaron una serie de libros escritos por él, especialmente comentarios sobre casi todos los libros de la Biblia. También estos libros se extendieron, muchas veces a través de traducciones, por una gran parte de Europa. Y en tercer lugar, Calvino ejerció su influencia más allá de las fronteras suizas por medio de sus alumnos. En los últimos años de su vida estuvo ligado, como catedrático, a la Academia de Ginebra, que habla sido fundada en 1559; y además formó a muchos para la lucha de la reforma de la Iglesia. Cuando murió el reformador, muchos, lo mismo nobles que gente sencilla, acompañaron su féretro. Según su deseo ninguna lápida decorativa adornó su tumba. Quien visite hoy la "ciudad de Calvino" buscará inútilmente su tumba; nadie la conoce. Pero aunque su siervo se marchó, la Palabra ha permanecido y se ha convertido, por la misericordia de Dios, en semilla del nuevo nacimiento hasta nuestros días.
Según hemos hecho notar, debemos ver a Calvino a la luz de los reformadores más antiguos que él, principalmente Lutero, a quien recordaba siempre con gran agradecimiento, si bien señalaba las faltas que habla tenido.
¿Cómo podremos distinguir ahora la linca que nos señala la reforma de Calvino? Querernos responder brevemente a esta pregunta haciendo notar al mismo tiempo algunos puntos. Calvino, no menos que Lutero, hace hincapié en que el hombre es justificado solamente por la fe, pero al mismo tiempo ve que tanto la creación como la salvación del hombre tienen por objeto la honra de Dios. Por eso no podemos detenernos en la salvación del hombre como si la salvación o la vida eterna fuese en sí misma el objetivo final, sino que la pauta a seguir la encontramos en una vida de agradecimiento al Señor, por su voluntad manifiesta de darnos una vida liberada del pecado.
Una vida de la que ninguna actividad queda excluida. Esto es distinto a lo que enseñaba Lutero: la vida pública y politica estaban, según él, fuera de la liberación del pecado por Cristo. Calvino, por el contrario, se esforzó para que las autoridades se supeditasen a la Palabra de Dios, e hiciesen que su gobierno estuviera al servicio del progreso del Evangelio. Al mismo tiempo se sintió llamado, no sólo a desarraigar todos los abusos que Roma habla introducido -a esto se limitó Lutero en la mayoria de los casos-, sino también a instituir todas las cosas según la evidente voluntad del Señor. Por eso, y a diferencia de Lutero, podía decir que la Iglesia tenla que ser libre, no sólo de la tiranla papal, sino también de las potestades humanas, libre para cumplir la Palabra de Dios en ella por la predicación, el servicio de los sacramentos y el
ejercicio de la disciplina. Calvíno se afanó también por conseguir la unidad de todos los creyentes, principalmente en su lucha contra Roma y contra toda clase de herejias, él estaba seguro de que la unidad sólo puede hallarse en la confesión de la verdad.
¿Qué pretendia Sadoleto?
La carta, cuya traducción española presentamos, es una respuesta a la del cardenal Sadoleto, obispo de Carpentras, al sur de Francia, dirigida a los habitantes de Ginebra, urgiéndoles a que volviesen de nuevo a la obediencia a Roma.
¡Era un ataque peligroso para la obra de la reforma en aquella ciudad!
De la peligrosidad que esto entrafiaba podremos darnos cuenta si nos fijamos que Ginebra recibió la carta el mes de marzo de 1539. En esos momentos Calvino y sus colegas estaban desterrados. La congregación se habla visto privada de sus siervos más fieles a la Escritura, la dirección estaba ahora en manos mucho más débiles, y además habia discordia. Al poco tiempo los seguidores de Roma que había en la ciudad empezaron a abrigar la esperanza de que el obispo expulsado en 1535 pudiera ser restituido a su cargo. Incluso el mismo obispo y la jerarquía de la iglesia de Roma empezaron a tener esperanzas.
Entonces tuvieron una reunion para estudiar la forma de conseguir que Ginebra volviese a Roma. ¡No sólo el viejo obispo, que no tenia mucho poder, sino hasta el cardenal Sadoleto tratarla de convencer a los habitantes de la ciudad! ¡La elección había sido bien estudiada! Sadoleto era un hombre erudito y paciente, versado en ciencias clásicas y conocedor de los escritos eclesiásticos y, teológicos de los primeros siglos.
Incluso tenia contactos bastante amistosos con los partidarios del humanismo del campo de la Reforma. Sadoleto, pues, escribió una carta fraternal y amistosa. Aunque era tajante y violento con los seguidores de la Reforma, se mostraba muy moderado con los habitantes de Ginebra. No se extendía mucho en las diferencias doctrinales, sino que señalaba la excelencia de la vida eterna y la necesidad de vivir de acuerdo con "la antigua iglesia católica", a la cual guía siempre y por todas partes el Espíritu de Cristo. El que se separa de esta iglesia no tendrá quien le defienda en el juicio venidero y le están reservadas las tinieblas de afuera.
Es fácil ver el gran empeño que pone Sadoleto en su carta para aproximarse a los habitantes de Ginebra, cuando le olmos atestiguar que la salvación se obtiene sólo por la fe. Al oír esto ¿no parece como si la voz de la iglesia romana se volviese hacia la Palabra de Dios? Pero a renglón seguido se ariade: ¡En esta fe están comprendidos desde el principio el amor y las buenas obras! ¡De este modo se mantenía intacta toda la doctrina romana del merecimiento por las buenas obras! ¿Pero quién podría ahora discernir y señalar esto de una manera tajinte?
Respuesta de Calvino.
Cuando se recibió la carta de Sadoleto en Ginebra se le mandó una respuesta provisional, en espera de más informes. Pero ¿quién era capaz de dar más informes? Todos consideraban justamente a Sadoleto como hombre muy erudito. La carta tenía un tono suave y causó mucha impresión. Nadie se atrevía a dar una respuesta. Y de este modo aumentó la intranquilidad en ésta y en las demás ciudades de Suiza que habían aceptado la reforma. ¿Qué sucedería ahora en Ginebra?
Entonces se acordaron del desterrado de Estrasburgo. Le buscaron y le pidieron ayuda. Qué iba a hacer Calvino? ¿Abandonarla la ciudad que no había querido seguir utilizando sus servicios, y que ni siquiera había querido soportar su presencia? Todo lo contrario; pues sabia que estaba ligado a aquella congregación por el amor en Cristo y se sentía responsable de su salvación. Así pues, cuando se dio cuenta del peligro que corría, y comprendió la timidez que se había apoderado de los dirigentes de Ginebra, abandonó todas sus ocupaciones y escribió la respuesta a Sadoleto en seis días, según testimonio que consta en su correspondencia. Esto sucedió en septiembre de 1539. Un par de meses más tarde se podía conseguir en las librerías una edición francesa y otra latina de esta carta. Sadoleto había encontrado un digno contrario. Y no sólo esto. Ginebra recibió del desterrado siervo de la Palabra de Dios una enseñanza tan penetrante en la doctrina de la Santa Escritura y en la necesidad de poner todas las cosas de la Iglesia bajo la autoridad de la Palabra de Dios, que, no solamente un grupo de la congregación, sino la totalidad de ella y toda la ciudad, volvió a desear el regreso del hombre que a su debido tiempo y de la manera más justa sabia dar la respuesta.
Su contestación a Sadoleto significa el principio de su regreso en 1541. En nuestro corto resumen de la vida y obra de Juan Calvino hemos señalado cuál es la significación de este reformador. Quien lea ahora su contestación al cardenal Sadoleto, verá que tenemos en ella una explicación eficaz y clara como el cristal de la doctrina de la Escritura, tal y como la rechaza Roma y la confiesa la Reforma. Lo más importante de esta lucha entre Calvino y Sadoleto, no es saber quién ganó, aunque en realidad y según toda clase de testigos y opiniones fue el primero. Esto tuvo, es cierto, una gran transcendencia en la historia de la Iglesia del siglo xvi y por ello tenemos que estar agradecidos; pero lo verdaderamente importante es que esa misma palabra puede sonar asi para nosotros hoy dia.
Podemos decir que el intento de Sadoleto para conducir a la iglesia de Ginebra a la obediencia del papa de Roma, quitando de la vista todos los cantos agudos y contrastes entre Roma y la Reforma, se ha redoblado y vuelve de'nuevo diez y hasta cien veces mas fuerte que antes, sobre todo hoy en dia, cuando la jerarquía de la iglesia de Roma, durante el segundo concilio Vaticano, está dispuesta a aproximarse a todo lo que es protestante para conseguir asi la unidad eclesiástica; esta unidad eclesiástica parece ser el objetivo principal.
Pero el Salvador oró por los suyos para que fuesen uno en la verdad de Dios (Juan 17:17) y según la regla santa: "Para que todos sean una cosa, como tú, oh Padre, en mi, y yo en ti, que también ellos sean en nosotros una cosa". (Juan 17:21). La lectura de la respuesta de Calvino al cardenal Sadoleto puede enseñarnos que la verdad de la Escritura no está en Roma, sino en la iglesia que quiere vivir según la Palabra del Señor. Esta lectura puede enseñarnos por qué tuvo que venir esta separación en el siglo xvi, y por qué es todavia esta separacion un mandamiento de Dios en el siglo xx, pues la unidad de la Iglesia no consiste en la subordinación a un hombre o alta dirección eclesiástica, sino solamente en la subordinación al Cristo de las Escrituras y a la verdad del Evangelio. Esta respuesta puede enseñarnos qué clase de separación y de unidad quiere el Señor de nosotros; porque la verdad es una, y Cristo Jesús es el mismo en el siglo xvi que en el xx. Solamente en tal como las Escrituras nos lo manifiestan, halla la iglesia su unidad en fe y amor.
Aprendamos de la respuesta de Calvino al cardenal Sadoleto a conocer los errores y la fuerza del error. Pero sobre todo aprendamos a conocer la Verdad y la fuerza de la Verdad. ¡Dios quiera que la lectura y consideración de esta palabra del reformador de Ginebra pueda hacer comprender el poder de la verdad en el siglo xx! Porque de la verdad testificó el Salvador: .Ella os libertará" (Juan 8:32). Solamente ella tiene el poder de conducirnos hacia el futuro del Señor, porque a través de ella nos llega su sangre y su Espiritu, por lo cual somos liberados de la culpa del pecado, haciéndonos dóciles y aptos para el servicio.
J. Kamphuis,
Catedrático en Kampen, Paises Bajos.
JUAN CALVINO SALUDA AL CARDENAL JACOBO SADOLETO
Puesto que por tu excelente doctrina y maravillosa gracia en el hablar has merecido (y con toda justicia) ser tenido en gran admiración y estima entre los sabios de nuestro tiempo, y principalmente entre los verdaderos aficionados a las buenas letras, me disgustaría sobremanera verme obligado por esta mi réplica y queja (que ahora podrás escuchar) a tocar públicamente, sin herirlo, este tu buen nombre y reputación.
Lo cual en verdad jamás hubiera emprendido, de no haber sido apremiado y obligado a este combate por una gran necesidad. Porque no ignoro qué gran maldad sería provocar injustamente por codicia o simplemente por envidia a quien en un tiempo ha cumplido tan bien su deber con las buenas letras y disciplinas; y sobre todo cuán odioso resultaría si los sabios se enterasen de que sólo por enfado y disgusto, sin tener otra justa razón, habla dirigido mi pluma contra aquel a quien (y no sin razón) se le estima, por sus cualidades y virtudes, digno de amor, alabanza y
aprecio.
Sin embargo, después de exponer el motivo y razón de mi empresa, espero que no sólo quedaré exento y absuelto de todo crimen, sino que, a mi entender, no habrá nadie que juzgue que la causa por mí patrocinada podía dejar de defenderla sin incurrir en cobardía demasiado grande y en desprecio de mi ministerio.
Desde no hace mucho tiempo has estado enviando cartas al consistorio y al pueblo de Ginebra, con las cuales pretendías probar sus corazones, averiguar si querían someterse al poderío y tiranía del papade los que se han visto libres y apartados de una vez para siempre. Y porque no convenía mostrarse áspero con aquellos de cuyo favor tenías necesidad para defender tu causa, por eso has empleado con ellos las artes de un buen orador. Pues desde el comienzo has procurado halagarles y engañarles con dulces palabras, creyendo atraerles a tu opinión, y achacando toda la malevolencia y acritud a aquellos por medio de los cuales se vieron libres de
esta tiranía.
Y aquí es donde impetuosamente y a rienda suelta2 te desfogas contra quienes (según tus palabras) bajo sombra y pretexto del Evangelio, con astucias y engaños, han sumido a esta pobre ciudad en tan, tan turbación respecto a la iglesia (de la que te compadeces) y en tan gran desorden en lo tocante a la religión. En cuanto a mi se refiere, Sadoleto, quiero que sepas que soy uno de aquellos contra los que hablas con tan grande cólera y furor. Y aunque la verdadera religión ya habla sido erigida y establecida, y la forma de su iglesia corregida, antes de haber sido llamado a ella, sin embargo, puesto que no sólo la he corroborado con mi palabra y mi opinión, sino que también me he esforzado cuanto me ha sido posible en conservar y consolidar todo lo establecido antes por Farel y Vireto3, yo no puedo honestamente ser excluido ni separa de ello en esta causa.
Si te hubieras referido a mi personalmente, sin duda alguna te hubiese perdonado todo fácilmente en atención a tu saber y al honor de las letras; pero al ver mi ministerio (que yo sé está fundado y confirmado por la vocación del Señor) herido y lastimado por las llagas que me infieres, no seria paciencia, sino deslealtad disimular en este punto, guardando silencio.
Calvino y la iglesia de Ginebra
En primer lugar, y como primer cargo, he ejercido en esta iglesia el oficio de lector1 y después el de ministro2 y pastor. Respecto a haber tenido el segundo cargo, mantengo, por propio derecho, que lo hice legítimamente y con sincera vocación. Ahora bien, con qué cuidadosa diligencia y total entrega lo he administrado, no es necesario demostrarlo con largos discursos. No pretendo atribuirme ninguna sutil inteligencia, erudición, prudencia o destreza, ni siquiera diligencia. Pero yo sé, sin embargo, con certeza delante de Cristo, mi juez, y de todos sus ángeles, que he caminado en esta iglesia con la pureza y sinceridad que convenía a la obra del Señor: de lo cual los fieles dan amplio y excelente testimonio.
Así Pues, una vez que se conozca que mi ministerio viene de Dios (como ciertamente aparecerá con claridad en el transcurso de esta materia) ¿habrá alguien que no juzgue mi silencio fingido y disimulado y no me acuse de prevaricación, si, por callarme, sufro injuria y difamación? Todos, pues, comprenden que me veo obligado por una imperiosa necesidad, y que además no tengo más remedio que oponerme y refutar tus reproches y acusaciones, si es que no quiero traicioneramente rehuir la empresa que el Señor ha puesto en mis manos. El no tener por el momento a mi cargo la administración de la iglesia de Ginebra, no puede ni debe impedirme profesarle mi paternal amor y caridad; a aquélla, digo, en la que habiéndome Dios ordenado una vez, me obligó a guardarle siempre fidelidad y lealtad.
Viendo, pues, las redes que se tendían contra aquella cuyo cuidado y solicitud quiere el Señor que tome sobre mi; conociendo también los grandes y enormes peligros y riesgos en los que, de no proveer con diligencia y medios apropiados, podía caer rápidamente ¿quién se atrevería a aconsejarme esperar con seguridad y paciencia el fin y término de tales peligros? Pensad qué ridículo seria permanecer como estúpido y atónito, sin prevenir la ruina de aquel por cuya protección es necesario vigilar día y noche. Pero bien veo que seria superfluo emplear en este punto un discurso más largo, cuando tú mismo me libras de tal dificultad.
Pues si la vecindad de que hablas (que no es sin embargo tan grande) ha tenido tanta fuerza en ti que, queriendo mostrar la amistad que profesas a los habitantes de Ginebra, no has temido atacar, con tan gran atrocidad y furor, mi persona y mi buen nombre, a mi me será permitido, por derecho de humanidad, queriendo proveer y entender en el bien público de la ciudad que tengo encomendada y por mayor titulo que el de vecindad, impedir tus propósitos y esfuerzos que sin duda pretenden su total ruina y destrucción. Más todavía: aún cuando no tuviere nada que ver con la iglesia de Ginebra (de la que ciertamente no puedo desviar mi espíritu, ni amar y estimar menos que a mi propia alma), aún concediendo que no le tuviere ningún afecto, en cuanto mi propio ministerio ha sido injuriado falsamente y difamado (el cual, por haber conocido que viene de Cristo, debo defenderlo, si es necesario, con mi propia sangre) ¿cómo me va a ser posible aguantar, disimulando, tales cosas?
Por lo cual no sólo los lectores benévolos pueden juzgar fácilmente, sino también tú, Sadoleto, tú mismo puedes considerar y pensar que por varias y justas razones me he visto obligado a tomar parte en este combate (si es que se puede llamar combate a la sencilla y moderada defensa de mi inocencia); si bien no puedo sostener mi derecho sin englobar y mezclar en él a mis compañeros, con los que la razón de mi administración ha permanecido tan inseparable que con sumo gusto tomaría sobre mí todo lo que se quiera decir contra ellos. Sin embargo, procuraré con todas mis fuerzas mostrar respecto a ti, al exponer y desarrollar esta causa, el mismo afecto que tuve al comenzarla.
Pues yo haré que todos comprendan, no sólo que te aventajo mucho en buena y justa causa, en recta conciencia, en pureza de corazón, en lo rotundo3 de las frases y en buena fe, sino que también soy un poco más constante en guardar cierta modestia, dulzura y suavidad. Verdad es que a veces encontrarás cosas punzantes, que posiblemente desgarrarán tu corazón; sin embargo, procuraré que no salga de mi ninguna palabra fuerte ni dura, a no ser que la iniquidad de tu acusación (con la que en primer lugar he sido atacado), 0 la necesidad de la causa, me obliguen a ello. De todos modos procuraré que esta dureza y aspereza no lleguen a una intemperancia insoportable, a fin de que los espíritus de buen natural no se ofendan en modo alguno al ver tal inoportunas injurias.
***
Intenciones de Sadoleto
Ahora bien: tengo por seguro que cualquier persona empezaría su defensa precisamente por el argumento que yo me propuse omitir. Pues sin gran dificultad podría ésta poner tan a las claras1 tus intenciones al escribir, que todos verían con evidencia que, en tu escrito, has buscado cualquier fin menos el que pretendías o intentabas. Pues si, primeramente, tú mismo no tienes fe en tu integridad, te haces extremadamente sospechoso, dado que tú, siendo extranjero y no habiendo tenido antes por aquí ningún conocimiento ni amistad con el pueblo de Ginebra, ahora de pronto dices profesarles un singular amor y benevolencia; sin embargo, de este amor jamás salió ningún fruto o apariencia de tal.
Tú, que has hecho tu aprendizaje, casi desde tu infancia, en las instituciones romanas, las cuales se aprenden ahora en la corte de Roma, en esta tienda2 de toda finura y
astucia; que precisamente has sido criado entre los brazos del papa Clemente3, con cuya ayuda fuiste hecho cardenal, ciertamente tienes muchas manchas que te hacen sospechoso, en este lugar, prácticamente para todos. En cuanto a esos sutiles medios e insinuaciones, con los que creías prevenir y sorprender los espíritus de la gente humilde, cualquier hombre, que no sea tonto de remate, podría refutarlos con facilidad.
Sin embargo, no te puedo imputar lo que seria quizá más di-,no de crédito, ya que eso no escapa fácilmente a hombre instruido en las buenas letras y ciencias liberales. Procederé, pues, contigo como si hubieses escrito a los de Ginebra con buen celo, como conviene a un hombre lleno de gran doctrina, prudencia y gravedad; dándoles a entender de buena fe lo que te parecía conducente a su salvación y prosperidad. Pero pesar de ello, y por cuanto no quiero enfadarte en este punto, sea cual fuere tu intención, y como destrozas y te esfuerzas en manchar y difamar hasta el extremo, con ultrajes e injurias, lo que el Señor les ha enseñado con nuestro auxilio4, me veo obligado, quiéralo o no, a contradecirte en esto abiertamente. Pues ciertamente el oficio de los pastores en la iglesia consiste, no sólo en llevar las almas dóciles de los fieles directamente a Cristo, sino también en estar bien pertrechados para rechazar las maquinaciones de quienes se esfuerzan en impedir la obra del Señor.
Ahora bien, aunque tu carta está llena de propósitos ambiguos y circunlocuciones, sin embargo, el centro y punto principal está en que tú los apoyas en la autoridad del Papa, que es lo que tú llamas volver a la fe y obediencia de la iglesia. Pero como en causa poco favorable se requiere suavizar la acometividad de los oyentes, tú presentas, por medio de un largo prefacio y discurso, el bien incomparable de la vida eterna; después, entrando más en materia, demuestras que no hay peste más peligrosa para el alma que la falsa religión, y por supuesto dices que la verdadera regla para servir a Dios es la que fue instituida por vuestra iglesia; de lo cual concluyes
que aquélla la han creado ellos, y que están totalmente perdidos todos los que han roto la unidad de esta iglesia si no se arrepienten y enmiendan. Y después pretendes que es un manifiesto abandono de la iglesia por parte de ellos el haberse alejado y separado de vuestra compañía, sobre todo por haber recibido el Evangelio de nosotros, y que todo esto no es sino un montón y mezcla de perversas instituciones y falsas doctrinas; de lo cual filialmente concluyes qué juicio de Dios les espera, si no hacen caso de tus avisos.
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Quiere descalificar a los reformadores
Ahora bien, a pesar de que despojar a nuestras palabras de credibilidad servirla grandemente a tu causa, tu verdadera intención ha sido hacer sospechoso el celo, que ellos han visto en nosotros, por su salvación. Y así nos reprochas injustamente (pues bien sabes que es todo lo contrario) no haber pretendido otro fin que el de satisfacer nuestra ambición y avaricia. Dado, pues, que por tal motivo y con maliciosas insinuaciones nos has querido imputar tan mal proceder, turbando el espíritu de los lectores para engendrar en ellos odio contra nosotros, a fin de que no diesen crédito a nuestras palabras, antes de tratar otros puntos, responderé brevemente a tu objeción.
Ten por cierto que no hablo de mi por gusto; sin embargo, puesto que no puedo en
absoluto callarme, hablaré de mi con la mayor modestia posible. Así, pues, en cuanto a mí se refiere, si sólo hubiese pretendido mi provecho jamás me hubiera separado de vuestro bando. Y sin embargo no me vanagloriaré de haber tenido en él los medios para conseguir honores, que jamás deseé, ni a los que jamás mi corazón pudo dedicarse (a pesar de haber visto a varios de mis compañeros conseguirlos con cierta dignidad, honores a los que podía en parte aspirar y en parte despreciar); me bastará decir solamente que me era licito conseguir lo que habría deseado sobre todo lo demás, a saber, dedicarme al estudio con alguna honesta y libre condición. Por lo cual, jamás temeré que alguien me pueda reprochar (si no es algún desvergonzado) el haber pretendido ni pedido cosa alguna fuera del reino del Papa que no me hubiese sido ofrecido en éste.
Pero ¿quién se atreverá a achacar a Farel semejantes cosas? Si le hubieran obligado a vivir de su trabajo y saber, el bien que habla ya hecho a las letras nunca le hubiese dejado en necedad, y eso que procedía de tan noble casa que no tenia necesidad de ayuda alguna1. Acerca de nosotros dos, puesto que nos señalas como con el dedo, he querido responderte nominalmente. Y en cuanto a que, según parece, difames y te ensañes sin miramientos contra cuantos sostienen hoy día la misma causa que nosotros, quiero que comprendas perfectamente que no hallarás ni uno solo por quien yo no responda, como lo hice por Farel o por mí mismo. A bastantes de nosotros sólo conoces de oídas; respecto a éstos, apelo a tu conciencia: ¿Crees que les habrá obligado el hambre a apartarse de vosotros, y que por no poder conseguir riquezas se han visto obligados a este cambio y nueva conversión, como si hubiesen hecho bancarrota, o como abolición general de antiguas deudas?
Para no extenderme prolijamente recitando un largo catálogo, me atrevo a asegurarte que de todos cuantos ha sido motivo y centro2 de este asunto, ni uno sólo dejaría de ser recibido entre vosotros tan bien y tan honrosamente que ya no necesitaría preocuparse por un nuevo genero de vida. Por consiguiente, esto es lo que nos juzga ahora y discierne a ti y a mí: los honores y poderes que hemos conseguido.
Ciertamente, todos cuantos nos han oído serán testigos de que no hemos deseado y procurado tener otras riquezas ni dignidades que las que nos han caldo en suerte. Dado, pues, que en todos nuestros dichos y hechos no han tenido tú siquiera sospecha alguna de la ambición que tú nos atribuyes, sino que han visto por indicios manifiestos en qué horror y menosprecio los teníamos ¿piensas que con tu simple palabra vas a conquistar sus entendimientos, de suerte que den crédito a esta tu vana acusación, más bien que a tantas y tan verdaderas enseñanzas como han recibido de nosotros? Y vamos a apoyarnos en hechos más bien que en palabras: el poder de la espada y otros poderes civiles que un montón de sacerdotes y obispos disfrazados habían arrebatado, con el pretexto de inmunidad y franquicia, fraudulentamente a los magistrados, ¿no hemos hecho nosotros que vuelvan a ser puestos de nuevo en sus debidas manos? ¿No hemos detestado y no nos hemos esforzado en abolir todos los medios de condenación y de ambición que habían usurpado?
Si hubiésemos tenido la esperanza de enmendar estas cosas, ¡con qué finura no hubiéramos disimulado esto, a fin de que tales cosas nos hubiesen sido devueltas con la administración y gobierno de la iglesia! ¿Pero por qué hemos emprendido el destruir con grandes esfuerzos este reino y poderío, o, por mejor decir, esta tiranía3 que ejercían sobre las almas en contra de la Palabra de Dios? ¿Cómo no nos dábamos cuenta de lo mucho que hablamos perdido?
Por lo que se refiere a las riquezas eclesiásticas, la mayor parte de las mismas son devoradas por estas simas. Si, pues, esperamos que les sean arrebatadas de una vez para siempre (como ciertamente será necesario), ¿cómo es que no buscamos los medios de apoderarnos de ellas? Pero dado que públicamente hemos pronunciado y declarado que el vigilante u obispo es un ladrón que emplea bienes de la iglesia para su uso más de los que necesita para vivir sobriamente y según su condición; dado que también hemos testimoniado que la iglesia fue emponzoñada con pernicioso veneno al cubrirse los pastores de riquezas por las que finalmente se han visto cegados; teniendo también en cuenta que hemos enseñado no ser conveniente que usen de ellas en abundancia, y que, finalmente, hemos aconsejado que se diese a los ministros lo que era necesario, según su estado, pero no para que abunden en superfluidad, y que lo restante se distribuyese entre los pobres como se hacia en la iglesia primitiva; habiendo, en fin, demostrado que era necesario elegir personas serias y de autoridad, que tuviesen su cargo y administración con la condición de rendir cuenta todos los años a la iglesia y al magistrado, ¿significa todo esto que buscábamos o procurábamos aprovecharnos de estos bienes o más bien que los apartábamos voluntariamente de nosotros?
Todo esto demuestra suficientemente, no lo que somos, sino lo que hemos querido ser. Si, pues, todo lo que he dicho es tan claro y manifiesto para todos, que nadie podrá negar ni el menor detalle, ¿podrás tacharnos de audaces y codiciosos de riqueza y poder desacostumbrados,
incluso ante quienes no ignoran estas cosas? En cuanto a las grandes y enormes mentiras que gente de tu calaña siembran diariamente en sus países no nos extraña en modo alguno, pues no hay persona que se aperciba de ello o se atreva a contradecirles. Pero el querer persuadir de lo contrario a quienes han visto y oído lo que antes expuse no es obra de un hombre sabio, y, lo que es más deshonroso para Sadoleto, de un hombre de tan gran estima por su doctrina, prudencia y gravedad.
Y si te parece que nuestro afecto debe ser medido por el efecto de la cosa, todos verán que no hemos procurado sino multiplicar y acrecentar con nuestra bajeza y
humildad el Reino de Dios; tan lejos estamos de haber querido, por el deseo de dominar, abusar de su santo y sagrado Nombre.
Paso por alto y me callo muchas otras injurias y oprobios que vomitas contra nosotros a boca llena, corno se dice. Nos llamas hombres cautelosos, enemigos de la unión y paz cristiana, reformadores de cosas ya de antiguo bien establecidas, sediciosos, hombres que contagian la peste a las conciencias e incluso enemigos, tanto en público como en privado, de la conveniencia humana. Si querías evitar reproches, o no deblas atribuirnos lenguaje altanero y profundo, para hacernos odiosos a todos, o bien tenlas que disminuir un poco en cierto modo esta grandilocuencia. No quiero, sin embargo, detenerme en todos tus propósitos, pero quisiera que pensases en tu interior cuán poco conveniente, y hasta mezquino, seria acusar con extensas injurias (las cuales, sin embargo, con una sola palabra se pueden refutar) a quienes en modo alguno las han merecido ni las esperaban de ti. ¡Cuán poca cosa es injuriar así a los hombres, haciéndolo al precio de la indignidad de tan gran ultraje hecho por ti a Jesucristo y a su Palabra, cuando comienzas a entrar más adelante en materia!
La Gloria de Dios Ante Todo
Tú llamas abandonar la verdad de Dios al hecho de haberse apartado los de Ginebra, instruidos por nuestra predicación, del fango del error en que hablan sido sumergidos y casi ahogados, y al hecho de haber vuelto a la pura doctrina del Evangelio. Y también dices que es una verdadera separación de la iglesia el haberse apartado de la sujeción y tiranía papal, para disponer entre ellos de una mejor forma de iglesia.
Examinemos, pues, ahora estos dos puntos. Por lo que se refiere a este tu preámbulo, que llena casi la tercera parte de tu carta, predicando la excelencia de la felicidad eterna, no es necesario que me extienda mucho en responderte. Pues aunque la consideración de la vida eterna sea cosa digna de que esté día y noche en nuestros oídos y debamos ejercitarnos sin cesar en su meditación, no acabo de comprender, sin embargo, por qué te has detenido tanto en
esto, a no ser para que te tengan en mayor estima y consideración so pretexto y apariencia de religión; o bien que, pensando alejar de ti toda mala sospecha, has querido hacer ver que todo tu pensamiento versaba sobre la vida bienaventurada que hay en Dios; o bien, has juzgado que aquellos a quienes escribías serian por esta tu larga exhortación atraídos y conmovidos de modo mejor (aunque no quiero adivinar cuál era tu intención); sin embargo, no creo sea propio de un auténtico teólogo el procurar que el hombre se quede en si mismo, en vez de mostrarle y enseñarle que el comienzo de la buena reforma de su vida consiste en desear fomentar y dar realce a la gloria del Señor, ya que hemos nacido principalmente para Dios y no para nosotros mismos.
Pues así como todas las cosas son suyas y en Él subsisten, así también (como dice el Apóstol1 deben referirse por completo a Él. Y así dice que el mismo Señor, para hacer más deseable a los hombres la gloria de su Nombre, les ha atemperado y moderado de tal manera el deseo de exaltarlo que los ha unido perpetuamente a nuestra salvación. Pero dado que él ha enseñado que este afecto debe dominar todo cuidado y codicia del bien y provecho que de ello nos podría venir, y que incluso la ley natural nos incita a estimarlo sobre todas las cosas (si por lo menos queremos rendirle el honor que le es debido), ciertamente el deber del cristiano consiste en remontarnos por encima de la simple búsqueda y consecución de la salvación de su alma.
Por lo cual no habrá ninguna persona bien instruida y experimentada en la verdadera religión cristiana que no juzgue esta tan larga y curiosa exhortación al estudio de la vida celestial (la cual detiene al hombre en esto sólo, sin elevarlo con una sola palabra a la santificación del Nombre de Dios) como cosa de mal gusto y sin sabor alguno.
Después de esta santificación, te concederé, de muy buen grado, que durante toda nuestra vida no debemos tender a otro fin ni tener otro propósito que el de conseguir esta suprema vocación, pues es el fin principal que Dios nos ha propuesto en todos nuestros hechos, dichos y pensamientos. Y no hay, en verdad, cosa alguna que haga al hombre superior a los animales como la comunicación espiritual con Dios, con la esperanza de esta felicidad eterna. Incluso en todas nuestras predicaciones casi no pretendemos otra cosa que educar y conmover los corazones de cada uno con la meditación y estudio de esta felicidad eterna.
Te puedo conceder de buen grado que todo el daño que pueda acontecer a nuestra salvación no proviene de otra parte, sino del servicio de Dios pervertido y ejecutado indebidamente. Y por cierto estas son entre nosotros las primeras instrucciones y enseñanzas en las que acostumbramos a instruir, cuando tratamos de la verdadera piedad y religión, a quienes queremos conquistar como discípulos para Jesucristo, a saber: que se guarden bien de calumniar locamente y a su placer cualquier nueva forma de honrar a Dios, pero que sepan que sólo es legitimo aquel servicio que desde el comienzo le fue agradable. Y sin embargo afirmamos, sobre todo, lo que está aprobado por el santo oráculo de Dios: que más vale obediencia que sacrificio2.
Finalmente les inducimos y acostumbramos cuanto podemos a abandonar todos los servicios y formas de falsas y calumniosas supersticiones, contentándose con una sola
regla y mandamiento de Dios, según se lo ha revelado su Santa Palabra.
***
¿Cuál es la verdadera Iglesia?
Gracias a lo cual, Sadoleto, tú mismo has puesto y como asentado todo el fundamento de mi defensa al confesar y aprobar voluntariamente estos puntos. Pues si admites que es una horrible perdición para el alma el haber, con maliciosas opiniones, convertido en mentiras la verdad de Dios, queda por saber cuál de las dos partes observa y guarda este honor y esta única, verdadera y legitima reverencia debida a Dios. Por tu parte dices que la regla más cierta es la que prescribe y recomienda la iglesia, si bien pones en tela de juicio esta sentencia, como si quisiéramos atacarla al modo que se hace con las cosas dudosas.
Por cierto, Sadoleto, que, viendo que te atormentas en vano, no puedo menos de intentar reanimarte y aliviarte de tan gran disgusto. Pues falsamente y sin razón quieres convencerte de que pretendemos nosotros apartar al pueblo fiel de la verdadera adoración, observada siempre por la iglesia católica. 0 te equivocas al decir "iglesia., o bien quieres engañarnos insidiosamente con rodeos1; te saldré al paso en este último punto. También puede ser que te engañes en otros puntos; pues en primer lugar, en la definición de Iglesia omites lo que te podía ayudar en gran manera para la recta inteligencia de esta palabra cuando dices que es la que, tanto en los siglos pasados como actualmente y por toda la tierra, ha estado siempre unida en un mismo espíritu con Cristo por el cual en todo y por todo es dirigida y gobernada.
¿Dónde está aquí la palabra de Dios, esta tan clara señal que ha sido tantas veces recomendada por el mismo Señor en la designación de la verdadera iglesia? Pues previendo Él cuán peligroso seria vanagloriarse del Espíritu sin la Palabra, ha afirmado que la iglesia estaba gobernada y dirigida por el Espíritu; pero con el fin de que tal dirección fuese cierta, estable e inamovible, la ha unido y aliado a esta su Palabra. Es lo que pregona el Señor: que son de Dios los que oyen la palabra de Dios,2 que son ovejas suyas las que reconocen su voz como la de su pastor, rechazando como extraña cualquier otra voz.
Por esta razón dice el Espíritu, por boca de San Pablo, que la Iglesia está fundada sobre el fundamento de los Apóstoles y Profetas3. Y también que ha sido santificada con el bautismo de agua por la palabra de vida4. Y esto mismo lo dice con más claridad San Pedro, cuando nos enseña que Dios regenera a su pueblo por esta incorruptible semilla5. Y para ser breve ¿por qué se denomina tantas veces Reino de Dios a la predicación del Evangelio, sino porque es el cetro con el que rige y gobierna a su pueblo el Rey celestial? Esto no sólo lo encontrarás en los escritos de los apóstoles, sino que cuantas veces los profetas han predicho la restitución e
instauración, o bien la propagación de la iglesia por el mundo entero, han asignado y concedido siempre el primer lugar a la palabra, pues dicen: Aguas vivas saldrán de Jerusalén, las cuales, divididas en cuatro ríos, regarán toda la tierra6.
Y ellos mismos exponen y declaran cuáles son estas aguas, cuando dicen que la ley saldrá de Sión, y la palabra del Señor de Jerusalén7 . Hizo, pues, bien Crisóstomo en aconsejar que rechazáramos a todos los que, bajo pretexto del Espíritu, quieren apartarnos de la simple doctrina evangélica, ya que no se prometió el Espíritu para suscitar doctrinas nuevas, sino para grabar en los corazones de los hombres la verdad del Evangelio. Y sin embargo (para que veas cómo Satán no está nunca tan escondido que no aparezca por algún lado) los dos poseen un mismo medio con el que pretenden oprimirnos. Pues cuando se envanecen del Espíritu con tanta arrogancia, no pretenden otra cosa sino oprimir y sepultar la palabra de Dios con sus mentiras.
Y tú, Sadoleto, tropezando al primer paso en el umbral8 has sido castigado por la injuria que hiciste al Espiritu Santo, separándolo y dividiéndolo de la Palabra. Pues te has visto obligado (como si los que buscan el camino de Dios se hallasen en una encrucijada o privados de una meta segura) a ponerles en la duda de si es más conveniente seguir la autoridad de la iglesia, o escuchar a los que tú llamas inventores de nuevas doctrinas.
Si hubieses sabido, o no lo hubieses querido disimular, que el Espíritu ilumina a la 1glesia para abrir la inteligencia de la Palabra y que la Palabra es como el crisol donde se prueba el oro para discernir por medio de ella todas las doctrinas, ¿te hubieras enfrentado con tan compleja y angustiosa dificultad? Aprende, pues, por tu propia falta, que es tan insoportable vanagloriarse del Espíritu sin la Palabra, como desagradable 24 el preferir la Palabra sin el Espíritu.
***
Definición de la Iglesia
Si , pues, quieres ahora soportar y recibir una definición de .iglesia. más verdadera que la tuya, di en adelante que es la asamblea de todos los santos, la cual, extendida por todo el mundo, está dispersa en todo tiempo, unida sin embargo por una sola doctrina de Cristo, y que por su sólo Espíritu guarda y observa la unión de la fe, junto con la concordia y caridad fraterna. Ahora bien proclamamos que no nos separa de ella diferencia alguna; antes al contrario, del mismo modo que la reverenciamos como madre, así también deseamos permanecer siempre en sus brazos. Pero al llegar aquí, me reprendes, diciendo y esforzándote en demostrar que todo lo que ha sido recibido y aprobado por el consentimiento de los fieles desde hace más de mil quinientos años, ha sido arrancado y anulado por nuestro desorden. En este punto no quiero pedirte que camines con nosotros de buena fe (cosa sin embargo, que no ya un cristiano, sino un filósofo haría de buen grado), pero si te pido que no llegues a permitirte calumniar vilmente, cosa que (aunque nos callemos nosotros) ofenderla tu reputación y estima entre los hombres serios y decentes. Sabes muy bien, Sadoleto, y si lo niegas yo haré que todos vean que lo disimulas cautelosamente y con malicia, sabes muy bien que estamos más de acuerdo con la antigüedad que vosotros; y además que no pedimos otra cosa sino que esta antigua faz de la Iglesia pueda por fin ser restaurada y renovada por entero, la cual, deformada y manchada por gentes indoctas ha sido después destrozada cobardemente y casi destruida por el papa y su bando.
Ahora bien, no quisiera molestarte tanto, acosarte tan de cerca, que parezca que quiero renovarla, reformarla y volverla al estado de la iglesia constituida primeramente por los apóstoles (que es sin embargo un ejemplo singular de la verdadera Iglesia, ejemplo que necesitamos seguir, si no queremos equivocarnos y errar grandemente).
Te ruego consideres y pongas ante tus ojos, el antiguo estado de la iglesia que existía entre los griegos, en la época de Crisóstomo y de Basillo, y entre los latinos, en la época de Cipriano, Ambrosio y Agustín, como puede verse a través de sus escritos; y después, contempla las ruinas que os han quedado: encontrarás con toda certeza la misma diferencia que la que los profetas escriben que existía entre la excelente iglesia que florecía bajo David y Salomón, y la que sumida en toda suerte de supersticiones bajo Sedecias, y Joaquín, había corrompido totalmente la pureza del servicio de Dios.
Dirás, pues, ahora que es enemigo de la antigüedad, el que, por celo de la santidad y piedad antigua, descontento con la presente corrupción, procura mejorar en todo y
restituir a su primitivo resplandor lo que ha sido pervertido y disipado en la Iglesia?
***
Fundamentos de la Iglesia
Y puesto que la santidad y firmeza de la iglesia consiste principalmente en estas tres cosas: doctrina, disciplina y sacramentos viniendo en cuarto lugar las ceremonias para ejercitar al pueblo en el deber de la piedad, ¿por cuál de las cuatro quieres, con el fin de salvar vuestra iglesia y conservarle su honor, que la juzguemos?
En primer lugar, la doctrina de los profetas y la verdad evangélica, sobre la cual es necesario que la iglesia esté fundamentada no sólo ha quedado en su mayor parte extinguida en vosotros, sino que se la expulsa sin tregua y se la persigue a sangre y fuego.
¿Y pretenderás y te atreverás a sostener que es iglesia aquella en que todas las instituciones de nuestra fe, establecidas por la Palabra de Dios, consignadas en los libros de los santos padres, e incluso aprobadas por los concilios antiguos, han sido rechazadas y perseguidas furiosamente? Dime ¿dónde están tan siquiera las huellas e indicios del orden tan santo y verdadero que los ministros y obispos antiguos han observado en la iglesia, ¿No os habéis burlado de todas sus constituciones? ¿No habéis pisoteado todos sus cánones y decretos? En cuanto a los sacramentos no puedo menos de horrorizarme al pensar cómo los habéis profanado vilmente. Por lo que hace a las ceremonias tenéis ciertamente demasiadas. Pero dado que recientísimamente su significado es inadaptado y ridículo, e incluso está corrompido por mil supersticiones, ¿qué utilidad pueden reportar a la iglesia?
Como ves, en todo este asunto no he aumentado o exagerado lo más mínimo, para poderte así acusar; pues todas estas cosas son tan notorias y manifiestas que hasta se las puede señalar con el dedo, si hubiese ojos para ver. Ahora bien, si te agrada, busca en nosotros con toda diligencia según esta regla, y sin lugar a dudas no podrás convencernos de los crímenes de que nos has acusado. En cuanto a los sacramentos, no los hemos tocado para nada a no ser con el fin de que, restituidos a la sencilla pureza de la que habían sido privados, volviesen a su antiguo honor y dignidad.
Respecto a las ceremonias las hemos abolido en su mayor parte; pero nos hemos visto obligados a hacerlo en parte porque parecían, por su gran número, degenerar en
judaísmo; y en parte porque habían ocupado el entendimiento del simple pueblo y de tal modo lo hablan llenado de supersticiones, que no podían subsistir en modo alguno sin dañar a la piedad, cuando debían por el contrario hacerla progresar. Sin embargo hemos mantenido las que, en tiempo y lugar, nos parecían suficientes.
Reconocemos de buen grado que no hemos llegado todavía a la disciplina observada por la iglesia primitiva. Pero ¿qué derecho y razón existe para que nos acusen de haberla pervertido aquellos que precisamente la han suprimido y abolido, y que mientras desean restituirla a su primer estado nos han hasta ahora hacerlo nosotros?
Por lo que toca a la doctrina, no temo apelar y referirme por entero a la primitiva iglesia. Y puesto que, a modo de ejemplo, has tocado algunos puntos, en los que te parece haber visto ocasión de difamarnos, demostraré brevemente que nos acusas injusta y falsamente de haber inventado todo aquello en contra de la autoridad de la iglesia.
Y ya que voy a concretar algunos puntos, quiero advertirte que pienses y consideres una y otra vez por qué razón reprendes a los nuestros por haber dedicado su estudio a la explicación de la escritura. Pues sabes perfectamente que con sus vigilias y con el fruto de sus estudios, han dado tan gran claridad a la Palabra de Dios que la misma envidia se avergonzaría si no les tributase por esto grande alabanza. Y la misma bondad y hombría1 demuestras cuando dices que el pueblo ha sido seducido por nosotros en cuestiones difíciles y sutiles, y como engañado por esta filosofía, de la cual recomienda San Pablo a los cristianos que se guarden2. Pero ¿cómo? ¿No recuerdas cuándo comenzaron nuestras gentes a mostrarse en público? ¿Y qué doctrina aprendían en las escuelas los que pretendían conseguir la administración en la iglesia? Tú sabes muy bien que no era sino pura sofistería3 es decir, tan retorcida4 que se podía llamar con toda justicia a la teología escolástica, una especie de magia secreta5 en la que, cuanto más la obscurecía alguien con espesas tinieblas y mejor impedía a si mismo y a los demás su comprensión con dificultades y sentencias obscuras, tanto más ingenioso y sutil era considerado en su doctrina.
Y cuando aquellos que hablan sido formados en esta tienda, querían mostrar al pueblo el fruto de su saber, ¿con qué ingeniosidades, dime, edificaban la iglesia? Pero para no desmenuzar todo punto por punto:
¿qué sermones habla entre los que se predicaban entonces por toda Europa, que fuesen modelo de la simplicidad en la que quiere San Pablo que permanezca durante toda su vida el pueblo cristiano? ¿Dónde encontrar incluso un solo sermón en el que no aprendieran las viejas chochas6 más cuentos y fantasías de los que hubieran podido contar durante un mes junto a la lumbre de sus hogares?
Pues su predicación estaba ordenada de tal forma que la parte primera la dedicaban a obscuras y difíciles cuestiones de escuela para granjearse la admiración del pobre y sencillo pueblo, y la segunda la llenaban con alegres fábulas y especulaciones divertidas para excitar y conmover alegremente su corazón. Entremezclaban algunos versículos de la Palabra de Dios, con el fin de que su majestad diese cierto color a sus sueños y fantasías; pero desde el mismo momento en que los nuestros levantaron su bandera, en un instante todas estas tinieblas han quedado entre nosotros esclarecidas.
Ahora bien, aunque vuestros predicadores se han visto en parte aleccionados e
instruidos Por los libros de aquellos, y en parte obligados, por vergüenza y por la murmuración del pueblo, a seguir su ejemplo, sin embargo no se ha conseguido todavía que dejen de sentirse atraídos fuertemente por esta antigua tontería y necedad.
De modo que si se compara nuestra manera de predicar con la vuestra, incluso con
la que consideráis vosotros mejor, fácilmente se conocerá que nos has hecho una grave injuria. Y si hubieses querido continuar citando las palabras de San Pablo, ni siquiera un niño pequeño hubiera dejado de reconocer que el crimen que nos echas en cara se debe imputar no a nosotros sino a vosotros. Pues el apóstol dice que es vana filosofía que atrae las conciencias fieles por medio de constituciones de hombres y elementos de este mundo; con las cuales habéis corrompido y arruinado la iglesia.
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La Justificación Por La Fe
Ahora bien, tú mismo nos absuelves inmediatamente después con tu mismo testimonio, cuando entre tantas enseñanzas nuestras, que te empeñas en escudriñar, no alegas una sola cuyo conocimiento no sea en gran manera necesario para la edificación de la iglesia. En primer término tratas de la justificación por la fe, que es el punto más importante y de más agria controversia entre vosotros y nosotros. ¿Es ésta una cuestión espinosa e inútil? Pues quitad su conocimiento y quedará extinguida la gloria de Jesucristo, abolida la religión, destruida la iglesia y echada totalmente por tierra la esperanza de salvación.
Por lo cual decimos que este articulo (que sostenemos ser el supremo en nuestra religión) ha sido maliciosamente borrado por vosotros de la memoria de los hombres; lo cual está amplia y manifiestamente demostrado y declarado en todos nuestros libros. Más aún: la gran ignorancia que todavía ahora reina en todas vuestras iglesias, testimonia que no nos quejamos sin razón. Pero es que, además, obras muy maliciosamente diciendo que al atribuir todo a la fe no damos lugar, ni tenemos en cuenta las buenas obras. No quiero emprender ahora una disputa completa, que requería por cierto un libro entero; pero si echases un vistazo al catecismo y a la instrucción que he escrito para los de Ginebra, cuando era ministro en su ciudad, a la primera frase, como vencido, enmudecerías1.
A pesar de esto, expondré brevemente cómo tratamos de este asunto. Primeramente mandamos que cada uno comience por el reconocimiento de si mismo: y no de una manera ligera, o para. salir del paso, sino como si presentase su conciencia ante el tribunal de Dios; y que cuando se encuentre bastante condenado por su propia iniquidad, considere al mismo tiempo la severidad de su juicio que está anunciado contra todos los pecadores. Y que confundido así y abatido por su propia miseria, se prosterne y humille delante de Dios dejando de lado toda confianza en si mismo, y gimiendo tiernamente como condenado a muerte eterna.
Después demostramos que el único puerto de salvación está en la misericordia de Dios, que se nos muestra en Jesucristo; pues sólo en Él se ha cumplido todo lo que pertenece a nuestra salvación. Dado, pues, que todos los hombres están condenados como pecadores delante de Dios, decimos que Cristo es la sola justicia: el cual con su obediencia ha borrado nuestras transgresiones; con su sacrificio la ira de Dios ha sido apaciguada; con su sangre nos ha limpiado de toda mancha; con su cruz ha sobrellevado nuestra maldición; con su muerte ha satisfecho por nosotros. De esta manera decimos que ha sido reconciliado el hombre con Dios Padre, por Cristo,
no por el mérito o dignidad de nuestras obras sino por la bondad y clemencia gratuita del Señor.
Al hecho de abrazar a Cristo por la fe y venir como a su comunión y participación, es. a lo que llamamos, según la Escritura, justicia de fe. ¿Encuentras aquí algo, Sadoleto, que puedas reprochar o contradecir? ¿Significa, sin embargo, que no atribuimos nada a las obras? Sostenemos, es cierto, que no valen nada: ni siquiera lo que vale un pelo
de la cabeza en orden a la justificación del hombre, pues la Escritura dice claramente, y en muchos pasajes, que todos estamos perdidos; y no hay nadie que en este punto no se vea atormentado por su conciencia. Esta misma Escritura nos señala como única esperanza la sola bondad de Dios, por la cual nuestros pecados nos son perdonados y se nos imputa la justicia. Y sin embargo dice que ambos son un don gratuito; para declarar finalmente que el hombre es bienaventurado sin las obras.
¿Pero qué otra cosa -preguntas tú- entendemos por "justicia", si no se tienen en cuenta las buenas obras? Si pensares detenidamente lo que la Escritura entiende
por «Justificar», no te hallarías en esta duda. Pues no la refiere a la propia justicia del hombre, sino a la clemencia y bondad de Dios, la cual otorga la justicia al pecador, aún cuando éste no la haya tenido con Él, sin imputarle ninguna injusticia. Nuestra justicia, repito, es la que describe San Pablo, a saber: que Dios nos reconcilia con Él en Cristo.
Después pone el medio, a saber: no imputándonos nuestros pecados. Finalmente
nos hace ver que somos participes de este bien por la fe, cuando afirma que el ministerio de esta reconciliación está contenido en el Evangelio. Sí, respondes tú, pero la palabra fe es una palabra que abarca mucho y cuyo significado es muy amplio.
Todo lo contrario: cuantas veces San Pablo atribuye a la fe la facultad de justificar, la limita y restringe a las promesas gratuitas de la benevolencia de Dios, desviándola absolutamente de la consideración y mérito de las obras. Por eso concluye tan a menudo: si es por la fe, no lo es por las obras; y directamente: si es por las obras, no es por la fe.
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No Se Rechazan las Buenas Obras Pero de este modo se hace injuria a Cristo, al rechazar, con el pretexto de su gracia, las buenas obras: ya que vino para hacer un pueblo agradable a Dios, realizador de buenas obras. Sobre lo cual existen muchos testimonios semejantes, con los que se demuestra que Cristo vino para que, obrando el bien, fuésemos por Él aceptables a Dios.
Nuestros adversarios apenas si tienen en sus labios otra calumnia que la de proclamar que hemos apartado a los hombres, con la predicación de la justicia gratuitamente imputada, del deseo de obrar el bien; calumnia que es tanto más frívola cuanto que a nada podemos vernos obligados ni apremiados por ella.
Decimos que las buenas obras de nada sirven para la justificación del hombre; pero les asignamos su propio lugar en la vida de los justos. Pues si el que está justificado posee a Jesucristo y Cristo no está jamás sin su Espíritu, siguese necesariamente que esta Justicia gratuita está siempre unida a la regeneración. Por lo cual si quieres comprender cómo la fe y las buenas obras son cosas inseparables, mira a Cristo, que, como dice el Apóstol, nos ha sido dado como justicia y santificación1. Por consiguiente en cualquier parte donde esté la justicia de fe -que nosotros llamamos gratuita- allí está también Cristo.
Y donde está Cristo, está presente el Espíritu de santificación para regenerar al alma con nueva vida. Por el contrario donde no existe deseo alguno de santidad e inocencia, no pueden estar ni Cristo ni su Espíritu. Y donde Cristo no está, tampoco hay justicia, ni siquiera fe, la cual no puede tomar a Cristo como Justicia sin el Espíritu de santificación. En vista, pues, de que Jesucristo -como decimos- regenera a los que justifica, para la vida bienaventurada, después de haberles apartado del reino del pecado, con el fin de llevarle al reino de la Justicia, transfigurándoles en imagen de Dios, y reformándoles por su Espíritu, para que obedezcan a su voluntad, no tienes ni sombra de motivo para quejarte de que con nuestra doctrina demos rienda suelta a los deseos de la carne2 y si no quieren decir otra cosa, todas las alegaciones que presentas, de las que sin embargo quieres abusar para destruir la justificación gratuita, mira entonces con que gran ignorancia argumentas.
San Pablo dice en otro pasaje que hemos sido elegidos en Cristo antes de la creación del mundo, para ser santos e irreprensibles en la presencia de Dios en amor3. ¿Quién se atreverá a concluir de aquí, que la elección no es gratuita, o que no es el amor la causa de aquélla? Por el contrario, así como el fin de la elección gratuita es que vivamos puramente y sin mancha delante de Dios, así también la justificación gratuita tiene esa misma finalidad.
Sin embargo mantenemos con firmeza y seguridad que no sólo ha sido justificado el hombre de una vez para siempre, sin ningún merito de sus obras, sino que su
salvación eterna depende solamente de esta justicia gratuita. Y que sus obras en manera alguna pueden ser agradables a Dios, si no son aceptadas y aprobadas por esta justicia. Por lo que al leer tus escritos me he quedado sobremanera maravillado, al ver que dices que la caridad es la primera y principal causa de nuestra salvación.
¿Quién hubiera jamás pensado, Sadoleto, oírte decir tal frase? Hasta los ciegos, en medio de sus tinieblas, están mas seguros de la misericordia de Dios, sin osar atribuir el principio de su salvación a la caridad.
Y los que conservan aunque sólo sea una chispa de la luz de Dios saben perfectamente que su salvación no está asegurada por ninguna otra cosa sino por el hecho de ser adoptados por Dios. Pues la salvación eterna es la herencia del Padre Celestial, que sólo para sus hijos ha sido preparada. ¿Habrá alguien que quiera asignar a nuestra adopción otra causa distinta de la que señala comúnmente la escritura? A saber, que el primer amor no proviene de nosotros, sino que Dios, por su propio querer y buena voluntad, nos recibió graciosa y benévolamente.
De esta tu ceguera proviene el otro error de sostener que los pecados son purgados y borrados con penitencias y satisfacciones. ¿Dónde estará, pues, esta única víctima propiciatoria, fuera de la cual no existe - según la Escritura- ningún otro sacrificio por los pecados? Busca detenidamente en toda la Santa Escritura: pues si la sangre de Cristo nos es propuesta como precio de nuestra satisfacción y purificación, ¿con qué temeridad te atreves a transferir este honor a tus obras? Y sin embargo no es preciso que atribuyas este sacrilegio a la iglesia de Dios.
Confieso llanamente que la iglesia primitiva tenia sus satisfacciones; pero no las concebían de modo que los pecadores pensaran impetrar gracia y librarse de sus pecados por medio de las mismas; sino para probar que el arrepentimiento que mostraban por fuera, no era una ficción y para borrar el recuerdo del escándalo que habían dado con sus fechorías. Y sin embargo no estaban prescritas para todos; sino sólo para aquellos que hablan caldo en algún grave y grande pecado; y las ponían en práctica con una solemne observancia.
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La Cena del Señor
En cuanto al sacramento de la Cena1 nos reprochas el querer limitar y encerrar al Señor de cielo y tierra junto con su divino y espiritual poder (que es libre e infinito) en los limites de un cuerpo natural, que tiene sus propias medidas y proporciones. ¿Pero cuando dejaréis de calumniar? Siempre hemos atestiguado abiertamente que no sólo el poder divino de Cristo, sino también su esencia, se extiende por todas partes y que no tiene limite alguno; y tú no tienes vergüenza de reprocharnos que lo hemos encerrado en los limites de un cuerpo natural ¿por qué?
Porque no hemos querido someter su cuerpo a cosas visibles y terrenas, como lo habéis hecho vosotros. Ciertamente no ignoras, si es que quieres juzgar sinceramente y de acuerdo con la verdad, cuán contrarias son estas dos cosas: quitar del pan la presencia local de Cristo: o restringir y encerrar su poder espiritual en los limites de un cuerpo natural. Y sin embargo no debías tachar calumniosamente a nuestra doctrina de novedad en esto ya que este artículo ha sido tenido siempre como cierto en la iglesia.
Pero puesto que esta discusión, por su magnitud podría llenar un libro entero, será mejor para no molestarnos que leas la carta de Agustín a Dardano 2 : en la cual encontraras que sólo y únicamente Cristo, por la grandeza y magnitud de su divinidad, excede al cielo y la tierra; y sin embargo no está diseminado según su humanidad por todo. La verdadera comunicación de su carne y de su sangre, que se manifiesta a los fieles en la Cena, nosotros la predicamos en el sentido de que Él está en nosotros: enseñando abiertamente que esta carne es el verdadero manjar de vida y esta sangre la verdadera bebida; y esto, no ya por una concepción imaginaria, con la que el alma no se satisface, sino que verdaderamente goza de su virtud. No rechazamos en la Cena la presencia de Cristo por la que nos unimos e injertamos en Él; y sin embargo, no la destruimos, con tal que no exista en ella esa circunscripción local; y que no sea ligado a estos bajos elementos el glorioso cuerpo de Cristo; y que no se finja que el pan se ha transubstanciado en el cuerpo de Cristo, para ser finalmente adorado como Cristo.
Exaltamos cuanto podemos la dignidad y el uso de este gran misterio, declarando qué utilidad nos puede reportar. Todas estas cosas las despreciáis y casi las hacéis desaparecer vosotros. Porque despreciando la bondad de Dios, que aquí se nos ofrece, y no teniendo en cuenta el legitimo uso de tal beneficio (en el cual principalmente era preciso detenerse), os basta que el pueblo, sin entender en modo alguno este misterio espiritual, admire el signo visible y carnal.
El haber rechazado esta tan grosera y material transubstanciación que vosotros establecéis; el haber también enseñado que esta tan estúpida adoración (que impedía a los espíritus humanos, detenidos en los elementos de este mundo, llegar a Cristo) era perversa e inicua; no lo hemos hecho sin estar de acuerdo con la iglesia primitiva, con la cual querrías de buen grado (aunque en vano) encubrir las abominables supersticiones que reinan todavía entre vosotros.
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Oposición de Falsos Dogmas
CONFESIÓN AURICULAR
En cuanto a la confesión auricular, hemos rechazado la constitución del papa Inocencio, que recomienda a todos que digan todos sus pecados, todos los años, a un sacerdote particular. Seria muy largo de contar, cómo y por qué razones la hemos abolido. Sin embargo, que esto sea cosa mala lo demuestra el hecho de que las conciencias de los fieles, libres de tal tormento, ya han comenzado a tranquilizarse y a confiar en la bondad y misericordia de Dios, conciencias que estaban antes en continua ansiedad y perturbación.
Nada quiero decir de las grandes plagas que la iglesia ha sufrido a causa de esta confesión, por las cuales debemos juzgar con toda justicia a la confesión como algo execrable. En cuanto a lo que hacéis ahora a este respecto, bástete saber que nada hay escrito sobre ello en los mandamientos de Cristo, ni en la constitución de la iglesia primitiva.
Hemos suprimido con decisión todos los pasajes de la Santa Escritura, que los Sofistas tratan de tergiversar, para probar esta confesión. Y las historias eclesiásticas que hoy poseemos nos muestran que no habla en esto novedades por aquel entonces, cuando todo se observaba sencillamente, en lo cual concuerdan los testimonios de los padres; es, pues, abuso y engaño el afirmar como tú afirmas, que la humildad ha sido en esto recomendada y establecida por Cristo y por la iglesia. Pues, si bien hay en ello cierta apariencia de humildad, sin embargo está muy lejos de ser placentero y agradable a Dios rebajarse so capa de humildad. Por eso San Pablo
nos enseña que la verdadera humildad es la que está conforme con la pura Palabra de Dios y se ajusta a ella (1).
INTERCESION DE LOS SANTOS
En cuanto a sostener la intercesión de los santos, si tu propósito es sólo defender que con sus continuos deseos están pidiendo el cumplimiento del Reino de Cristo, en el que está cifrada la salvación de todos los fieles, ninguno de nosotros lo duda en lo más mínimo. Por lo que nada has conseguido con detenerte tanto en este punto.
Pero se ve que no querías perder esta magnífica ocasión para zaherirnos; como si fuese opinión nuestra la de que los espíritus mueren con los cuerpos. Por lo que se refiere a nosotros, dejamos esta filosofía a vuestros soberanos obispos y al colegio de cardenales, que la han venerado muchos años y todavía la veneran ahora. Más aún, lo que añades luego (es decir, vivir voluptuosamente entre goces, sin tener en cuenta la vida futura y mofarse de nosotros pobres hombrecillos, que trabajamos con tanto afán por que progrese el Reino de Dios) eso va muy bien con su modo de ser.
Y en cuanto a la intercesión de los santos nos detenemos en este punto: que no hay maravillas si no las inventan. Pues para ello ha sido necesario desbrozar innumerables supersticiones que hablan conseguido abolir totalmente de la memoria de los hombres la intercesión de Cristo: se invocaba a los santos como si fueran dioses: se les atribula lo que era propio de Dios; y no había gran diferencia entre la veneración de aquellos y la idolatría que justamente todos detestan y maldicen.
PURGATORIO
En lo referente al purgatorio, sabemos que ninguna iglesia antigua hacia memoria de los muertos en sus plegarias: sino que éstas eran raras, sobrias y resumidas en pocas palabras; finalmente estas plegarias no pretendían, al parecer, más que testimoniar brevemente su caridad para con los difuntos. Pero todavía no hablan nacido los expertos maniobreros(2) que han forjado vuestro purgatorio y que luego lo han extendido tan ampliamente y lo han elevado a tal altura y esplendor que la mejor parte de vuestro reino se sostiene y apoya en él.
Tú conoces por ti mismo, que error tan monstruoso le ha precedido; no ignoras cuántas hechicerías ha engendrado voluntariamente la superstición para engañarse a si mismo; conoces cuántas imposturas y engaños ha forjado en este punto la avaricia, para chupar y apropiarse los bienes del pueblo sencillo; ves perfectamente qué peste ha padecido por esto la verdadera religión. Pues lo peor -por no decir nada del servicio de Dios, destruido por él- está ciertamente en que cuando los hombres, envidiándose unos a otros, sin ningún mandamiento de Dios, han querido ayudar a los difuntos, han despreciado los verdaderos oficios de caridad, que son sin embargo tan recomendados y requeridos.
La Iglesia Maculada Con Falsos Dogmas
No puedo soportar, Sadoleto, que, al atribuir tales sacrilegios han sido introducidos, sin darse nadie cuenta, con grandísimo y horrible oprobio de la Cruz de Cristo. Y nos lamentamos de que la libertad cristiana haya sido anegada y suprimida por tradiciones humanas. Por eso hemos mandado que las iglesias, que Dios nos ha confiado, fuesen depuradas y limpias de semejante peste.
Laméntate, ahora, si te es posible, de que hayamos injuriado a la iglesia, de que nos hayamos atrevido a violar sus venerables constituciones. Por cierto que ya es voz común, y por eso nada ganarlas con negarlo, que en todo esto la iglesia primitiva está de acuerdo con nosotros; y que es tan contraria a vosotros, como lo somos nosotros mismos. Recuerdo en este momento que en no se qué pasaje dices, como queriendo disminuir su importancia, que si vuestra conducta es desordenada sin embargo no se sigue de ahí que nos tengamos que separar de la santa iglesia.
En verdad difícilmente se podrá conseguir que el afecto del pueblo no se sienta grandemente alejado de vosotros y de vuestro partido, después de ver tanta crueldad, avaricia, rapiñas, intemperancias, insolencia y tantos ejemplos de toda clase de licencias y maldades como cometen continuamente las gentes de tu calaña. Pero ninguna de estas cosas nos ha inducido a intentar lo que por una necesidad mucho mayor hemos emprendido; necesidad que ciertamente hemos sentido al ver cómo estaba extinguida la claridad de la verdad divina, sepultada la Palabra de Dios, abolida por un profundo olvido la virtud y eficacia de Cristo, y enteramente subvertido el oficio de pastor.
Sin embargo, de tal manera se mostraba la impiedad que apenas si habla algún punto de doctrina cristiana que estuviese puro y sin mitificación; o alguna ceremonia sin error, y alguna parte del servicio divino exenta de supersticiones. Quienes rechazan tales iniquidades, ¿combaten contra la iglesia, o tratan más bien de ayudarla, al verla de este modo afligida y oprimida por todas partes? ¡Y todavía te atreves a invocar vuestra obediencia y humildad, es decir que la reverencia a la iglesia os impide trabajar por evitar todas estas iniquidades! ¿Qué tendrán de común un cristiano y esta obediencia contrahecha que sirve y obedece a los hombres, despreciando la Palabra de Dios?
¿Qué tendrá de común con esta humildad contumaz y rebelde, que sólo reverencia y honra a los hombres, despreciando la majestad de Dios? Dejemos a un lado estos falsos títulos de virtud, de los que no alardean sino para encubrir y ocultar los vicios.
Vamos al asunto sin rodeos. Bien que haya entre vosotros humildad tal, que, para empezar por lo más sencillo, honre a cada uno según su dignidad; de tal modo que atribuya a la iglesia la suprema dignidad y reverencia que en definitiva ha de atribuirse sin embargo a Cristo, su Cabeza; bien, que haya una obediencia tal que nos lleve a escuchar a nuestros superiores y, a los que tienen autoridad sobre nosotros, de tal modo que atribuye sin embargo todas nuestras acciones a la única regla de la Palabra de Dios; bien que haya una iglesia tal que no procure sino fijarse en la Palabra de Dios con religiosa humildad y mantenerse bajo su obediencia.
Pero, dirás tú, ¿qué arrogancia tenéis vosotros, al vanagloriaros de que la iglesia está sólo con vosotros, y queriendo sin embargo privar de ella al resto del mundo? En verdad, Sadoleto, no negamos que sean iglesias de Cristo las iglesias que vosotros presidís; pero decimos que el papa, junto con toda la tropa de sus falsos obispos, que han ocupado entre vosotros el lugar de pastores, son lobos cruelísimos y peligrosos, que no han tenido hasta ahora otro deseo sino el de destrozar y destruir el Reino de Cristo hasta deformarlo y reducirlo completamente a ruinas y desolaciones.
Y sin embrago no somos los primeros en quejarnos de esto. ¡Con qué vehemencia flajelaba San Bernardo al papa Eugenio(1) y a todos los obispos de su época! ¡Y cuánto más tolerable era el estado de su siglo que el de ahora! Pues hoy día se ha llegado al más alto, al último grado de malicia, de suerte que estas contrahechas sombras de obispos (en los cuales piensas que está toda la firmeza o ruina de la iglesia) ya no pueden soportar más ni sus propios vicios, ni el remedio de los mismos; por cuyos vicios decimos que la iglesia ha sido derribada y mutilada cruelmente; y que poco ha faltado para quedar arrasada y saqueada; lo cual sin duda alguna hubiera sucedido de no haberlo impedido la bondad singular de Dios, de suerte que en los lugares ocupados por la tiranía del papa a penas si aparecer algunas huellas y vestigios esparcidos y deshechos, por los cuales puedes juzgar que las iglesias yacen allí medio sepultadas. Y no te debe sonar a cosa extraña, ya que oyes a San Pablo proclamar que la sede del Anticristo estará precisamente en medio del santuario de Dios(2).
Obediencia a la Palabra Divina
Este solo y único aviso ¿no nos debe despertar para estar atentos a no dejar que se introduzcan en la iglesia engaños y decepciones bajo el nombre y amparo de ella? Bien -respondes-, pero sea lo que fuere de esto, una cosa sin embargo está escrita:(1) haced lo que os digan, mientras estén sentados en la cátedra de Moisés.
Pero dado que desde la cátedra de vanidad engañan al pueblo con sus sueños, escrito está: guardaos de su levadura(2). No nos incumbe a nosotros, Sadoleto, privar a la iglesia de su derecho, que no sólo le ha sido concedido por la benignidad de Dios, sino que ha sido vengado y mantenido severamente con varias amenazas y maldiciones.
Pues del mismo modo que Dios no envía los pastores para gobernar la iglesia con un poder licencioso e irregular, sino que les limita a una cierta forma de deberes de la que no pueden excederse, así se ha encomendado a la iglesia avisar y vigilar si se comportan fielmente los que, bajo esta condición, se han hecho cargo de ella(3). Por lo cual, o no nos detendremos mucho en el testimonio de Cristo, o no nos será licito quitar y disminuir, aunque sea muy poco, la autoridad de aquellos a los que ha adornado con tal preeminencia y dignidad. Incluso te equivocas miserablemente si crees que el Señor ha colocado sobre su pueblo tiranos que gobernasen todo según su fantasía, por el hecho de dar tan gran poder a los que envía a anunciar el Evangelio.
Te engañas al no ver que su poder está limitado ya antes de concedérselo. Confesamos, pues, que es necesario escuchar a los pastores de la iglesia, como a Cristo mismo; sobre todo a los que ejercen debidamente el oficio que se les ha encomendado. Este oficio se les otorga no para establecer y hacer cumplir con arrogancia decretos que ellos inventan sin ton ni son, sino para anunciar religiosamente y de buena fe las palabras recibidas de la boca del Señor. Pues con estas restricciones ha limitado Cristo la reverencia que querría se tuviera a los apóstoles.
San Pedro no se atribuye, ni permite a los demás otra cosa, sino que al hablar a los fieles, lo hagan conforme a las palabras del Señor(4). El apóstol Pablo ensalza grandemente este poder espiritual que poseía; pero con tal moderación que dicho poder sólo sirve para edificación, no tiene ni apariencia de dominio, y finalmente no ha sido concedido para apagar y dominar la fe(5). Que se gloríe ahora vuestro Papa, cuanto quiera, de la sucesión de San Pedro. Pues, aún cuando la obtenga, no conseguirá que el pueblo cristiano le deba obediencia alguna por ello, sino sólo en la medida en que guarde él mismo la fe en Jesucristo, sin apartarse de la pureza del Evangelio.
La iglesia de los fieles, al colocaros en la forma y modo que limita todo vuestro poder,
no os llama ciertamente a otro orden, sino a aquel en que quiso el Señor que permaneciereis. Y éste es ese orden establecido entre los fieles por la voz del Señor: que el profeta que está encargado de la instrucción, debe ser juzgado por la asamblea de los oyentes(6). Y el que pretenda librarse de este orden, deberá primeramente borrarse de la lista de los profetas.
El Cristiano Debe Conocer Su Fe
Pues bien; en este instante se me presenta una gran oportunidad para reprocharte la ignorancia que tienes. Pues entre las diferencias y controversias de la religión, no dejas a la asamblea de fieles que pueda hacer otra cosa sino apartar los ojos de la verdad, sometiéndose al juicio de hombres más sabios y experimentados. Pero como lo cierto es que el alma que depende de cualquier otra persona fuera de Dios, se halla sometida a Satanás ¿qué desdichados y miserables no serán quienes tienen para su fe tales comienzos y principios? De aquí deduzco, Sadoleto, que tienes una teología demasiado ociosa y estúpida, parecida a la de quienes jamás han experimentado con pleno conocimiento asalto alguno en sus creencias.
De otro modo no pondrías al cristiano en lugar tan resbaladizo y peligroso, en el cual no podría permanecer ni tan siquiera un instante, si le colocasen en él un momento. Preséntame no ya un hombre cualquiera, sino incluso el más tonto y rudo porquerizo: si pertenece al rebaño de Dios, es necesario prepararle para el combate que Dios depara a todos los fieles. Pronto se le presentará el enemigo bien pertrechado; ya se le acerca, emprende combate; y se trata de un enemigo bien a punto, para quien ningún poder de este mundo resulta inexpugnable. ¿Con qué se protegerá este pobre miserable? ¿De qué armas dispondrá para no verse aniquilado al primer asalto?
No existe más que una sola espada con la que podremos combatir: la Palabra de Dios(1). Por consiguiente el alma, desprovista de la Palabra de Dios, se encuentra completamente indefensa a merced del diablo, para que la mate. Ahora dime: ¿No será el primer objetivo del enemigo arrebatar la espada de Cristo a quien combate? Y el medio para quitársela, ¿no es ponerle en la duda de si aquello que medita es Palabra de Dios o de los hombres?
¿Qué harás tú con este pobre miserable en tal trance? ¿Le dirás que busque por todas partes a esos sabios, de los que recibía reposo y alivio apoyándose en ellos" Pero el enemigo ni siquiera le dejará tomar un poco de aliento con este subterfugio. Pues una vez que le ha forzado a poner toda su confianza en los hombres, le acosará y trastornará cada vez más, hasta confundirlo completamente. De esta manera o será fácilmente oprimido, o mirará directamente al Señor.
Lo cierto es que la fe cristiana no debe fundamentarse en el testimonio de los hombres ni apoyarse en opiniones dudosas, ni tampoco mantenerse con la autoridad de los hombres, sino que ha de estar grabada en nuestros corazones por el dedo de Dios viviente, de modo que ninguna seducción de error la pueda borrar y aniquilar. Nada, pues, tiene de Cristo quien no lleve en sí estos comienzos y principios, a saber: que Él es un Dios que ilumina nuestros pensamientos para conocer su verdad, la cual Él rubrica y sella en nuestros corazones por medio de su espíritu, confirmando y asegurando nuestras conciencias con la seguridad de su testimonio.
Esta verdad consiste en la firme y -hablando con propiedad- plena certidumbre que
tanto nos recomienda San Pablo, la cual hace que estemos seguros, sin tener ya duda o desconfianza alguna, y al mismo tiempo no queda como en suspenso o vacilante entre los altercados de los hombres para ver qué partido seguirá. Y aunque todo el mundo se le oponga, ella sin embargo permanece firme y segura en su opinión.
De aquí proviene y nace el poder de juzgar que atribuimos a la iglesia y que nosotros queremos mantenérselo inviolablemente. Pues el mundo se conmueve y estremece por diversas opiniones; pero en cambio el alma fiel no se ve nunca abandonada de tal modo que deje de seguir el recto camino de salvación.
Sin embargo, no es que quiera imaginar una fe tan perfecta que no pueda errar ni equivocarse nunca en la elección del bien y del mal; ni fingir o soñar una repugnancia y contumacia tal, que desprecie y rechace a todos los hombres, en virtud de su pretendida preeminencia y superioridad, sin tener en cuenta ningún juicio u opinión, ni hacer diferencia entre los sabios y los ignorantes, Antes al contrario confieso que los mismos que tienen la conciencia más pura y devota, no llegan a comprender todos los misterios de Dios, sino que frecuentísimamente en las cosas más evidentes ellos no ven ni gota. Y esto lo hace la providencia del Señor, a fin de acostumbrarles a una gran modestia y sumisión de espíritu. Más aún; afirmo que tienen en tal estima y reputación a todas las gentes de bien, como más razón a la iglesia que muy a pesar suyo se separarían de un hombre que supieran tiene la verdadera inteligencia de Cristo y de su Palabra; de modo que a veces prefieren suspender su juicio antes que disentir a la ligera.
Mantengo solamente que, mientras se apoyen en la Palabra de Dios, jamás se verán tan sorprendidos que se vean arrastrados a la perdición; y que la verdad de la Palabra les resulta tan cierta y manifiesta que ni los ángeles ni los hombres les podrán separar de ella. Por lo cual dejemos de lado esta frívola simplicidad, que, según dices, tan bien le parece a la gente ruda e ignorante, y que consiste en mirar tanto a esos sabios personajes y atenerse a sus decisiones, pues, a parte de que ninguna certidumbre religiosa por más obstinada que se la quiera imaginar, merece el nombre de fe si se apoya en algo fuera de Dios, ¿habrá alguien que llame fe a no sé qué dudosa opinión, la cual no sólo se consigue y con dificultad por arte diabólico, sino que además fluctúa y vacila por su propia naturaleza, como veleta a mereced de los vientos, y de la que apenas se puede esperar otra cosa sino que se pierda finalmente y se desvanezca?
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Reformadores y Romanistas
Respecto a la falsa acusación (contraria por cierto a lo que tú mismo conoces) de que, al rechazar este tiránico yugo, no hemos pretendido sino darnos rienda suelta, entregándonos a una vida desarreglada y licenciosa, sin que pensemos siquiera (Dios lo sabe) en la vida futura, vamos a enjuiciar vuestra conducta comparándola con la nuestra.
Es cierto que somos pecadores y que abundan los vicios entre nosotros, y que muchos de nosotros caemos frecuentemente y desfallecemos muchas veces; sin embargo, la vergüenza me impide tener el atrevimiento de vanagloriarme (hasta donde la verdad lo permite) de ser nosotros mejores que vosotros y esto en todos los aspectos. Contando con que no pretendas, por ventura, exceptuar a Roma, hermosísimo santuario de toda santidad, la cual, una vez sacada de quicio y deshechas las barreras de auténtica disciplina y pisoteada la honestidad, está tan rebosante de toda clase de maldades que a duras penas podrá hallarse en toda la historia un ejemplo semejante de tan gran abominación.
Yo creo que tendremos que someter nuestra vida o. tantos peligros y daños, no sea que, siguiendo su ejemplo, seamos constreñidos a una continencia más severa y estrecha. Por lo que a nosotros respecta, no rehusamos observar hoy la disciplina establecida en los antiguos cánones, ni mantenerla y guardarla con diligencia y buena fe. Por el contrario siempre hemos sostenido que esta desdichada ruina de la iglesia provenía tan sólo de haber perdido, por las superfluidades demasiados licenciosas, todas sus fuerzas y todo su vigor, y de haber permanecido enteramente abatida.
Pues es necesario que el cuerpo de la iglesia, para mantenerlo perfectamente unido, esté entrelazado con la disciplina, del mismo modo que un cuerpo se halla reforzado con nervios. Y yo os pregunto ¿cómo la reverenciáis o la deseáis vosotros? ¿Dónde están aquellos antiguos cánones, con los cuales, como con su freno, se mantenía a los obispos y sacerdotes en el cumplimiento de su oficio y de su deber? ¿Cómo se elige a los obispos entre vosotros? ¿Con qué pruebas? ¿Con qué examen? ¿Qué diligencia o previsión se emplea? ¿Cómo se les nombra para el deber de su estado? ¿Con qué liturgia o solemnidad? Tan sólo para cumplir, se le toma el juramento de que ejercerán el oficio de pastor; pero, según se ve, con el único fin -sin fijarnos en otras maldades- de hacerlos perjuros.
Pues apoderándose, como por la fuerza, de los cargos de la iglesia, les parece
que tienen un poder que no está sometido a ley ninguna, y piensan que con este poder todo les está permitido; de suerte que podemos creer fácilmente que los piratas, bandidos, ladrones y salteadores(1) tienen una policía mejor y que observan las leyes mejor que todos vosotros.
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El Reformado Ante el Juicio de Dios
Y puesto que al final nos has citado como criminales ante e¡ Juicio de Dios, induciendo a alguien para que defienda nuestra causa, no temo, por mi parte, citarte a ti ante ese mismo juicio de Dios. Por lo que se refiere a la doctrina, nuestra conciencia está tan segura de ella que no teme a este juez Celestial, de quien sabe que proviene aquélla.
Y sin embargo no se detiene en esas pequeñas burlas, con las que has querido divertirte tan a despropósito. Porque ¿hay cosa más inoportuna que inventar, después de haberse presentado ante Dios, yo no sé qué injurias y luego fabricarnos una defensa poco apropiada, que decae inmediatamente? Cuantas veces se acuerdan los cristianos de aquel día, sus corazones se llenan de una tan gran reverencia que les permite burlarse ociosamente de este modo.
Dejando, pues, de lado tales lindezas, consideremos un poco aquel día, pues los corazones de los hombres deben estar siempre preparados para cuando llegue; él nos recuerda que nada hay que sea -y con razón- tan deseable para los fieles, como terrible y temible para los profanos y para los que desprecian a Dios. Escuchemos aquel sonido de trompeta, que las mismas cenizas de los muertos oirán desde sus sepulcros.
Levantemos nuestros corazones y nuestros pensamientos hasta este juez, que con sólo el resplandor de su rostro descubrirá todo lo que está oculto en la oscuridad y pondrá al descubierto todos los secretos del corazón humano; y con sólo el Espíritu de su boca confundirá a los malvados. Piensa, pues, ahora qué razones válidas aducirás para defenderte a ti y a los tuyos; pues nuestra causa, por estar fundada en la verdad de Dios, no carecerá de una buena y justa defensa.
Respecto a nuestras personas prefiero no decir nada, pues nuestra salvación no dependerá de malas artes o de un pleito, sino más bien de una humilde confesión y de suplicante plegaria. Pero respecto a la causa de nuestro ministerio, cada uno de nosotros podrá hablar como sigue: Por mi parte, Señor, he experimentado lo difícil y costoso que es sobrellevar frente a los hombres la acusación envidiosa que me oprimía en la tierra.
Pero con la misma confianza con que siempre he desafiado y apelado a Tu tribunal, con esa misma comparezco ahora delante de Ti; pues sé que impera en Tu juicio la verdad, y confortado con esta confianza, me he atrevido primeramente a emprender y he logrado completar -sostenido con su instrucción- todo lo que han hecho por mí en Tu iglesia.
Me han acusado de dos gravísimos crímenes: de herejía y de cisma. Pero resulta que llaman herejía al haberse atrevido a contradecir las constituciones observadas por ellos. ¿Qué iba a hacer? Oía de Tu misma boca que no existe otra luz de la verdad para conducir nuestras almas por el camino de vida, sino la que procedía de Tu Palabra. Ola que todo lo que inventaba el espíritu humano por si mismo sobre Tu majestad, veneración de Tu Nombre, y misterio de la religión no era sino vanidad.
Sabía que era una tremenda y sacrílega osadía el hecho de estar sembradas por la iglesia, suplantando a Tu Palabra, doctrinas inventadas por el cerebro de los hombres. Y por cierto que, cuando volvía mi vista hacia los hombres, todo me parecía contradictorio: Los que se tenían por guardianes de la fe, ni comprendían Tu Palabra ni se preocupaban de ella. Abusaban del pueblo sencillo y le engañaban con extrañas constituciones y se mofaban de él con no sé qué bavosidades.
Para este pueblo la mayor veneración de la Palabra consistía en reverenciarla de lejos como algo a lo que no se tiene acceso, absteniéndose de toda investigación sobre ella. Y tanto por esta perezosa estupidez de los pastores, como por la simpleza del pueblo, todo estaba lleno de perniciosos errores, mentiras y supersticiones.
Es cierto que te llamaba Dios; pero, transfiriendo a otros la gloria que se te debe en propiedad se fabricaban y tenían tantos dioses cuantos querian adorar como santos y patronos. También a Tu Cristo le adoraban como a Dios y le daban el nombre de Salvador; pero en el aspecto en que principalmente tenla que ser honrado se quedaba prácticamente sin gloria, pues despojado de su virtud y poder, permanecía oculto entre la tropa de santos, como otro cualquiera. Nadie pensaba verdaderamente que el único sacrificio era el que te ofreció en la cruz, por el que nos reconcilió contigo.
Nadie pensaba, ni apenas soñaba, en su sacerdocio eterno, ni en la intercesión y mediación que dependían de Él. Nadie descansaba en su sola justicia. En cuanto a la confianza en la salvación que está prescrita y fundada en Tu Palabra casi habla desaparecido. En cambio tenían como cosa cierta que si alguno, protegido por la benignidad y justicia de Tu Hijo, concebía en si mismo una cierta y segura esperanza de salvación, habla que atribuirlo a su loca arrogancia y .como ellos decían- a temeraria presunción.
Existían algunas malignas opiniones que corrompían por completo las primeras constituciones de la doctrina que Tú nos hablas dado en Tu Palabra. La sana inteligencia del Bautismo y de tu Santa Cena, había sido corrompida con diversas mentiras. Y sobre todo, a pesar de poner todos su confianza en las buenas obras (no sin ofender gravemente a Tu misericordia) y de esforzarse en merecer con ellas Tu gracia, conseguir Tu justicia, purgar sus pecados y propiciarte (todo lo cual borra y destruye la virtud de la cruz de Cristo), sin embargo, no conocían cuáles eran las buenas obras.
Pues, como si no hubieran sido instituidas para justicia por Tu ley, se habían forjado algunas inútiles tonterías para tenerte propicio y favorable; en las cuales se complacían de tal modo que despreciaban la regla de la verdadera justicia que nos has impuesto por medio de Tu ley.
Las tradiciones humanas hablan alcanzado tanto poder que si no hablan arrancado del todo la confianza que se tenia en Tus mandamientos, por lo menos habían disminuido grandemente su autoridad. Pero Tú, Señor, me has iluminado con la claridad de Tu Espíritu, para reflexionar sobre esto: has puesto ante mi Tu Palabra, como una antorcha, para darme a entender cuán malo y pernicioso es todo esto; finalmente has tocado mi corazón para que justamente y con todo derecho las aborreciese.
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El Reformado Busca la Verdadera Iglesia
En cuanto a darte razón de la doctrina, Tú sabes lo que existe en mi conciencia: es decir, que jamás he pensado en salir me de los limites que, según conocía, habían sido trazados a Tus servidores. Y esto, que sin lugar a dudas lo había recibido de Tu boca, he procurado enseñarlo fielmente a Tu iglesia. Y en verdad es cierto que he procurado principalmente y he trabajado mucho para que, alejados y deshechos los nubarrones que antes la oscurecían, apareciese con toda claridad la gloria de Tu bondad y justicia; y para que, suprimidos todos los disfraces, resplandeciesen en toda su plenitud las virtudes y beneficios de Tu Cristo.
Pues pensaba que no era razonable que todas estas cosas permaneciesen en tinieblas; ya que hablamos nacido para pensarlas y meditarlas juzgaba que no se debían enseñar de un modo descuidado y a la ligera; pues cualquier razonamiento es muy inferior en comparación de la grandeza de estas cosas; y no dudaba en retener largamente a los hombres en ellas ya que de ellas dependía por completo su salvación. Pues es imposible que nos engañase aquella Palabra de Dios que dice: "Esta es la vida eterna: que te conozcan el solo Dios verdadero, y a Jesucristo
al cual has enviado".
En cuanto al reproche que me han hecho, de que me he separado de la iglesia, no me siento culpable en absoluto. A no ser que se considere traidor a aquel que, al ver a los soldados confusos y extraviados, corriendo de un lado para otro, y abandonando sus puestos, levanta la bandera de capitán y les llama y les pone de nuevo en orden. Pues todos los tuyos, Señor, estaban tan extraviados que no sólo no podían oír lo que se les ordenaba, sino que parecía que ya no se acordaban de su capitán, ni de la batalla, ni del juramento que hablan hecho.
Y para apartarles de este su error, no he levantado una bandera extraña, sino aquel Tu noble estandarte que debemos seguir si queremos alistarnos en Tu pueblo. Y en este punto, los mismos que debían mantener en orden a estos soldados y que les hablan llevado al error, se han alzado contra mi; y porque he persistido con
gran constancia, se me han enfrentado con gran violencia; y han comenzado a amotinarse de modo tal que se encendió el combate hasta romper la unión. Pero ¿de qué lado está la culpa? Tú, Señor, lo debes decir y decidir.
Por mi parte, siempre he demostrado con palabras y con hechos cómo deseaba la unión y la concordia: pero me refería, no obstante, a aquella unión de la Iglesia, que comienza en Ti y acaba en Ti mismo. Pues cuantas veces nos has recomendado esta paz y unión, has declarado al mismo tiempo que Tú eras el único vinculo para conservarla y mantenerla. En cuanto a mí, si hubiese querido tener paz con los que se vanagloriaban de ser los primeros en la iglesia y los pilares de la fe, la hubiera tenido que comprar con la renuncia de la verdad. Pero preferí más bien exponerme a todos los peligros del mundo antes que condescender con un pacto tan execrable.
Pues tu mismo Cristo nos anunció que si el cielo debía perecer juntamente con la tierra, Tu Palabra sin embargo tenía que permanecer eternamente(2). Ahora bien jamás pensé que para guerrear contra tales señores, tuviera que estar en discordia con Tu iglesia. Pues nos hablas advertido por medio de Tu Hijo y de Tus apóstoles que se sublevarían algunos, pero que con ellos en modo alguno debíamos consentir. No se refería a hombres extraños cuando predijo que serían lobos rapaces y falsos profetas, sino a los mismos que se harían pasar por pastores, ordenándome que me guardase bien de ellos(3).
Si, pues, IRI me mandaba guardarme de ellos, ¿les habría de dar yo la mano? Y Tus apóstoles nos hablan anunciado que no habla en Tu iglesia enemigos mas mortales que los que estaban en medio de nosotros, encubiertos con el titulo de pastores(4).
¿Por qué, pues, iba a temer apartarme de aquellos a los que, según me decían Tus apóstoles, debía tener por enemigos tuyos? Diariamente contemplaba los ejemplos de Tus profetas, los que -según vela- habían sostenido tantas disputas con los sacrificadores y falsos profetas de su tiempo; los cuales, por cierto, eran, como está demostrado, los primeros de la iglesia en el pueblo de Israel. Sin embargo, no se considera a Tus profetas como cismáticos, a pesar de que, para enderezar el servicio de Dios casi destruido, no se habían sometido a los falsos profetas que los
rechazaban con todas sus fuerzas. Permanecían, pues, en la verdadera unión de la Iglesia, a pesar de que los malvados sacrificadores les colmaron de toda clase de maldiciones, y a pesar de que se les juzgó indignos de ser comprendidos en el número no ya de los santos pero ni siquiera de los hombres.
Así, pues, confirmado con su ejemplo, he persistido de tal modo en este propósito, que no me han asustado en modo alguno ni sus denuncias, tachándome de cismático, ni sus amenazas; y siempre, con firmeza y constancia, me he opuesto a quienes, bajo pretexto de pastores, oprimían más que tiránicamente a Tu pobre iglesia. Sentía en mi interior un gran deseo de verla unida; a condición de que fuese tu verdad el vinculo de esta concordia.
Los tumultos que de ello se han seguido no se me deben imputar a mí, ya que no he sido yo el que los ha provocado. Tú conoces perfectamente, Señor, y el mismo hecho lo atestigua ante los hombres, que no he buscado sino apaciguar cualquier controversia por medio de Tu Palabra, con el fin de que ambas partes unidas en espíritu procurasen el establecimiento y extensión de Tu Reino. Tú sabes también que no he rehusado, incluso exponiendo mi cabeza (si es que me puedo vanagloriar) el establecimiento de la paz en la Iglesia.
¿Qué hacían, en cambio, nuestros enemigos? ¿No apelaban de repente y furiosamente al fuego, a la horca y a las espadas? ¿No creían que su único recurso consistía en las armas y en la crueldad? ¿No rechazaban todas las condiciones de paz? Y así sucedió que esta disputa, que sin esos hechos se podía haber apaciguado amigablemente, se ha inflamado y se ha convertido en una guerra. Y aunque en una tan gran perturbación se haya opinado diversamente, sin embargo, me siento ahora libre de todo temor, ya que estamos ante Tu sede judicial, en la que la equidad unida
a la verdad no puede « gar sino según inocencia.
He aquí, Sadoleto, la defensa de nuestra causa; no la que, para abrumarnos, has querido inventar, sino la que todos los hombres de bien reconocen ahora como verdadera, y que en aquel día aparecerá con claridad ante todas las criaturas.
Y respecto a los que, instruidos por nuestra predicación, vendrán con nosotros a este mismo juicio no les faltará qué responder para defenderse; pues cada uno de ellos tendrá, bien preparada, la defensa que sigue...
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¿Qué Dirá el Convertido a la Fe Evangélica?
En cuanto a mí, Señor, siempre he confesado públicamente la fe cristiana, como la había aprendido desde mi juventud; de la cual no he tenido desde un principio otro conocimiento, sino el que era entonces comúnmente observado. Se nos suprimía, o al menos se nos ocultaba Tu Palabra que debía resplandecer como una lámpara ante todo Tu pueblo. Y a fin de que nadie desease tener de ella un conocimiento más claro, habían persuadido a todos que era mucho mejor encomendar la investigación de esta divina y secreta filosofía a unos pocos y pedirles a éstos las respuestas y oráculos; y que el pueblo no debía entenderla más profundamente, sino tan sólo someterse a la obediencia de la Iglesia.
Y, sin embargo, era tal la enseñanza que al principio me habían dado, que no me instruían lo bastante en el recto servicio de Tu deidad; ni me hacían concebir suficientemente una esperanza cierta de salvación; ni me dirigían bien en el deber de una vida cristiana. Es verdad que hablan aprendido a adorarte a Ti solo por mi Dios; pero, al ignorar la verdadera razón de Tu adoración, tropezaba de repente apenas comenzaba a practicarla. Es verdad que creía, como me lo hablan enseñado, que habla sido rescatado de la obligación de muerte eterna con la muerte de Tu Hijo; pero yo me imaginaba que esta redención era de tal naturaleza que su virtud nunca llegó hasta mí.
Es cierto que ola hablar del día futuro de la resurrección; pero me horrorizaba su recuerdo, como si fuese algo funesto. Y no es que fuese éste un conocimiento forjado en mi cerebro particular; sino que lo habla aprendido de la doctrina que predicaban entonces comúnmente los maestros y doctores del pueblo cristiano. Los cuales predicaban tu clemencia para los hombres; pero sólo con los que se hacían dignos de ella. Finalmente dignificaban tanto la justicia de las obras que sólo era recibido en gracia el que se hubiera reconciliado contigo por medio de sus obras.
Sin embargo no cesaban entretanto de decir que todos éramos miserables pecadores que caímos frecuentemente por debilidad de la carne. Y luego decían que Tu misericordia era para todos el común puerto de salvación; pero para obtenerla no habla otro medio, sino satisfacer por nuestros pecados. Y después de tal satisfacción se nos mandaba: primero, que pidiésemos humildemente, después de haber confesado todos nuestros pecados a un sacerdote, perdón y absolución; después que borrásemos para contigo la memoria de los mismos; finalmente que añadiésemos, para suplir nuestra deficiencia, sacrificios y solemnes mortificaciones.
Y, sin embargo, decían que eras un juez riguroso, que vengabas severamente la iniquidad; mostraban qué temible debla ser Tu mirada. Por esto nos encomendaban que nos dirigiésemos primeramente a los santos para que con su intercesión consiguiesen volverte propicio y benigno. Y a pesar de haber puesto en práctica al pie de la letra todas estas cosas, si bien yo confiaba poco en ellas, sin embargo me encontraba bien lejos de una absoluta tranquilidad de conciencia.
Pues cuantas veces descendía hasta mi mismo, o levantaba mi corazón a Ti, me sorprendía un horror tan tremendo que no habla purificaciones ni satisfacciones que pudiesen librarme de él. Y cuanto más de cerca me contemplaba, tanto más sentía mi conciencia torturada por agudísimos aguijones; de suerte que no me quedaba otro contento y alivio que engañarme a mi mismo, olvidándome de mí. Pero como no encontraba nada mejor, seguía siempre el mismo camino que habla emprendido; cuando he aquí que apareció una forma de doctrina bien distinta, no para apartarnos de la profesión cristiana, sino para restituirla a su auténtico origen y devolverle su pureza, libre de toda suciedad.
Y yo, ofendido por esta novedad, apenas si quise prestarla oídos; confieso que al principio la combatí con valentía y denuedo. Y porque los hombres son por naturaleza obstinados y tercos en mantener las instituciones que han recibido una vez, por eso me molestaba mucho confesar que durante toda la vida me crié en error e ignorancia. Y del mismo modo habla en ello algo que me impedía creer a aquellas gentes: la reverencia y veneración a la iglesia.
Pero después de escucharles algunas veces y permitir que me enseñasen, comprendí perfectamente que era vano y superfluo el temor de que hubiese sido aminorada la majestad de la iglesia; pues demostraban que existía una gran diferencia entre apartarse de la misma y abandonarla por un lado, y esforzarse por otro en corregir los vicios con los que esa misma iglesia está manchada y contaminada. Hablaban de la iglesia con toda honradez y demostraban que su principal intención consistía en la unión de la misma.
Y para que no pareciese que querían, bajo el nombre de iglesia, imaginar cualquier falsa cosa, demostraban que no era extraño que los cristianos obtuviesen en ella el lugar de pastores; sobre este punto nos ponían diversos ejemplos por los cuales aparecía claramente que el único fin al que tendían era la edificación de la iglesia; y que en esto su causa era la misma que sostenían muchos servidores de Jesucristo que nosotros llamamos santos.
De suerte que si ellos hablaban libre y abiertamente contra el Papa de Roma, considerado y estimado como vicario de Cristo, sucesor de San Pedro, y jefe de la iglesia, lo hacían dando esta razón: que estos títulos no eran sino vanos fantasmas, con los cuales no era recto deslumbrar los ojos de los fieles hasta tal punto que no se atrevían a mirar ni a discernir la verdadera realidad de cada cosa; y que el Papa se había elevado a tan gran altura y magnificencia cuando el mundo estaba encadenado como por un profundo sueño de ignorancia y de deslumbramiento(1); y que en verdad no habla sido constituido como príncipe y jefe de la misma ni por la boca de Dios, ni por una legitima vocación de la iglesia, sino que se habla elegido él mismo por su propia autoridad y propio querer. Sobre todo porque la tiranía conque oprimía al pueblo, era inaguantable si queríamos que el Reino de Cristo se mantuviese salvo e integro entre nosotros.
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Actitud Romanista y Reformista
AJ, pues, Sadoleto, compara, si te parece conveniente, esta defensa nuestra con la que tú pusiste en boca de tu hombre sencillo. Seria una maravilla que no supieses cuál tenlas que preferir. Pues sin lugar a dudas está en gran peligro la salvación de aquél cuya única defensa está apoyada y fundamentada, como sobre un gozne, en la afirmación de que observó siempre la Religión que le habían transmitido sus antepasados y predecesores. Por esta misma razón, también los judíos, turcos y sarracenos se librarían del juicio de Dios. Rechacemos, pues, esta vana tergiversación ante el tribunal que ha de ser erigido no para aprobar la autoridad de los hombres, sino para mantener la verdad de un solo Dios, siendo reprobada la universal carne de vanidad y de mentira(1).
Que si yo quisiera, como tú, valerme de mofas sarcásticas, ¡qué imagen no podría pintar, no ya de un papa o de un cardenal o de cualquier otro venerable prelado de vuestro bando (y tú sabes perfectamente de qué color pueden ser pintados, hasta por un hombre poco ingenioso) sino incluso de un cierto doctor aunque fuese el más primoroso de todos los vuestros(2). Ciertamente ya no me será necesario, para condenar a este doctor, aducir conjeturas dudosas o imputarle crímenes falsos, pues no faltarían muchos suficientemente probados y evidentes, con los que se verla demasiado abrumado.
Mas para que no parezca que caigo en el mismo defecto que reprendo en ti, desistiré de comportarme de esta forma. Les suplicaré únicamente que reflexionen alguna vez; y que piensen y mediten si alimentan con fidelidad al pueblo cristiano, al cual no se puede dar otro pan que no sea la palabra de su Dios. Y que no se complazcan demasiado en representar su papel con el aplauso y consentimiento del pueblo, pues todavía no han llegado a su desenlace, en el cual no tendrán, por cierto, un puesto para vender sin riesgo sus falsas mercancías y engañar las conciencias fieles con su mentiras e invenciones; sino que permanecerán en pie(3) o caerán, únicamente por la voluntad de Dios, cuyo juicio tendrá en cuenta solamente su equidad inmutable y no la voz ni el favor del pueblo; y no indagará tan sólo los actos exteriores, sino que juzgará de la sinceridad o malicia interior del corazón.
No quiero juzgar de todos en general. Sin embargo ¿quién de vosotros, cuando se trata de luchar contra nosotros, no siente remordimientos de conciencia de que, al obrar así, trabaja más para los hombres que para Dios? En todo el transcurso de tu carta nos tratas con demasiada crueldad; pero en el último párrafo viertes a boca llena todo el veneno de tu maldad contra nosotros. Y aunque estas injurias en nada nos afectan, y con anterioridad ya respondimos parcialmente a ella, te ruego me digas qué te ha pasado por la cabeza para llegar hasta reprocharnos el ser avaros.
¿Crees que los nuestros han sido tan tontos que no se han dado perfecta cuenta, ya desde el principio, de que el camino que emprendían era totalmente opuesto a toda ganancia y provecho carnal? ¿No veían ellos que, al reprender y censurar vuestra avaricia, estaban por eso mismo necesariamente obligados a vivir con continencia y de una manera razonable, si no querían servir de burla hasta para los niños pequeños?
¿No se cerraban ellos mismos el camino para conseguir riquezas y abundancia de
bienes, al enseñar que el medio mejor de corregir la avaricia era despojar a los pastores de esta abundancia y superfluidad de riquezas para que, estando libres de ellas, tuviesen mayor cuidado de la iglesia? ¿Qué riquezas existía entonces a las que poder aspirar?
¿Pues qué; no era el camino más corto y más fácil para alcanzar riquezas y honores la aceptación inmediata ya desde el principio de los pactos y condiciones que vosotros ofrecíais? ¡Con qué sumas no hubiera vuestro papa comprado entonces, y todavía comprarla hoy, el silencio de muchos! Si tenían la más mínima ambición de enriquecerse, ¿por qué, entonces, prefirieron permanecer pobres perpetuamente (habiéndoles quitado cualquier esperanza de aumentar sus bienes) en vez de hacerse ricos en un instante y sin gran dificultad? ¿Será, tal vez, la ambición la que les retiene...?
Todavía no comprendo por qué razón nos han afrentado, ya que los primeros en emprender esta causa, no podían esperar otra cosa que ser rechazados y repudiados vergonzosamente de todo el mundo; y los que vinieron después, se expusieron consciente y deliberadamente a innumerables ultrajes y afrentas de todos.
Y esos engaños e intrigas domésticas ¿dónde están? No hallaréis entre nosotros sospecha alguna. Habla más bien de estas cosas en vuestro santo colegio, donde todos los días os agitáis entre intrigas.
Único Fundamento: La Palabra de Dios
Me veo obligado, por poner punto final, a prescindir de tales calumnias. En cuanto a lo que dices de que, pretendiendo hacer en todo nuestro capricho, no hemos encontrado ni un solo personaje en toda la iglesia a quien estimar digno de fe, ya hemos demostrado suficientemente que no es si-no pura calumnia. Pues si bien ponemos la Palabra de Dios por encima de cualquier juicio de los hombres, y hemos finalmente concedido que los concilios y los santos padres tienen cierta autoridad, con tal de que estén conformes a la Palabra de Dios, sin embargo juzgamos a estos concilios y padres dignos tan sólo del honor y del puesto que deben tener razonablemente después de Cristo.
Pero el más grave de los crímenes que nos imputas consiste en afirmar que nos hemos esforzado en pervertir y dividir la esposa de Jesucristo. Si fuese esto cierto, tú y el mundo entero podíais con razón considerarnos como desahuciados. Sin embargo no puedo admitir en nosotros este crimen si antes no sostienes que la esposa de Cristo ha sido destrozada por quienes desean entregarla a Cristo como casta virgen, por quienes están poseídos de un santo celo en conservarla integra, por quienes, corrompidos por diversas concupiscencias(1) la devuelven a la fe marital, y por quienes finalmente no temen discutir con todos los adúlteros que sabían que trataban de corromper su honestidad.
¿Podíamos nosotros haber hecho algo distinto de lo que hicimos? ¿No habla sido la honestidad de la iglesia corrompida, y, lo que es peor, violada con doctrinas extrañas y peregrinas constituciones, por gentes de vuestro bando? ¿No la habíais prostituido
violentamente con innumerables supersticiones? ¿No estaba manchada con esta tan repugnante manera de adulterio? Por cierto que por no haber soportado que escarnecierais de esta manera el santísimo y sagrado altar y cámara nupcial de Cristo, se nos acusa de haber dividido a su esposa.
Pero yo digo que esta división, de la que nos acusas falsamente, es más que visible entre vosotros y no sólo respecto a la iglesia sino incluso respecto a Jesucristo, a quien vemos habéis dividido vosotros.¿Cómo, pues, se juntará la iglesia con su Esposo, no pudiendo tenerlo íntegro y sano? ¿Y dónde está la salud de Cristo, si la gloria de justicia, santidad y sabiduría ha sido trasladada a otra parte? En verdad, antes de que encendiésemos la guerra, todo estaba perfectamente tranquilo y pacífico.
La pereza de los pastores y el asombro y estupidez del pueblo habían logrado que en lo referente a la religión apenas hubiera entre ellos ninguna diferencia. En cambio con qué obstinación disputaban los sofistas en las escuelas. Por lo cual no tienes posibilidad de decir que vuestro reino estuviese tan pacífico, ya que esa tranquilidad se debia al hecho de que Cristo había enmudecido, y estaba casi olvidado. Confieso que, después de la nueva manifestación del Evangelio, se han provocado diversas y fuertes disputas, anteriormente desconocidas.
Sin embargo no seria razonable achacar todo esto a los nuestros, quienes, durante todo el decurso de su acción sólo han pretendido, restableciendo la verdadera religión, agrupar en una perfecta e integra unión a las Iglesias que se hallaban dispersas y divididas por discordias y disensiones. Y para no contar cosas antiguas, ¿no han rehusado hace poco que se restableciese la paz en la iglesia? En vano emprenden todos los caminos posibles, cuando vosotros procuráis todo lo contrario. Y puesto que ellos piden una paz, en la que floreciese el Reino de Cristo; y vosotros juzgáis que está perdido para vosotros lo que ha sido ganado para Cristo, nada tiene de extraordinario que os opongáis con todo vuestro poder.
Y así halláis el modo de destruir en un solo día todo lo que han construido ellos para gloria de Cristo durante muchos meses. No quiero abrumarte con largos discursos pues en una sola frase puedo resumir mi pensamiento: Los nuestros están dispuestos a dar razón de su doctrina y no rehusarán doblegarse si se les convence con razones.
¿De quién depende ahora el que la iglesia no goce de una auténtica paz y de la luz de la verdad? Ahora puedes ir llamándonos sediciosos que no dejamos en paz a la iglesia. Por el contrario he aquí que, no olvidando nada que pudiera servir para agravar nuestra causa, te complaces de nuevo en arrojar sobre nosotros toda la malevolencia por haberse estos últimos años suscitado varias sectas, pero piensa con qué equidad o bajo qué pretexto lo dices. Pues si por esto somos dignos de odio, también hubiera sido con todo derecho odiado en la antigüedad el nombre cristiano por los infieles e incrédulos.
Deja, pues, de atormentarnos y perseguirnos en este punto, o confiesa abiertamente
que hay que hacer desaparecer de la memoria de los hombres la religión cristiana, pues es la causa de que se engendren tantos tumultos y sediciones en el mundo. Por lo cual no debe perjudicar a nuestra causa el que Satán haya procurado por todos los medios impedir la obra de Cristo. Mucho mas conveniente y necesario hubiera sido observar quién es el que ha procurado atacar todas estas sectas que han venido naciendo.
Lo cierto es que nosotros solos hemos sostenido todo este gran peso, mientras vosotros dormíais en la ociosidad. Haga el Señor que tú, Sadoleto, y todos los tuyos comprendáis por fin que el único vinculo de unión eclesiástica consiste en que Cristo nuestro Señor (que nos ha reconciliado con Dios, su Padre) nos aparta de esta indisciplina, uniéndonos en la sociedad de su cuerpo para, de esta manera, mantenernos unidos en un solo corazón y pensamiento por su sola Palabra y por su Espíritu.
Estrasburgo, 1 Sept. 1539.
El texto que sigue es la respuesta que el reformador protestante Juan Calvino dio el cardenal de la Iglesia Católica Romana llama Sadoleto, Calvino sostiene que las doctrinas protestantes, que muestra que la fe en Jesucristo y su plan de salvación, son incompatibles con la religión católica. Calvino cita entre otras cosas, que el culto a los santos, con el tiempo oscurece a la gente llegar a Dios a través de Jesucristo, invalidando la única mediación de Jesús, que conecta al hombre con Dios. La soteriología bíblica (la doctrina de la salvación) señala que creer en el sacrificio de Jesucristo para redimirnos es la clave para la salvación, y no sólo de hacer buenas obras, según lo sugerido por la Iglesia Católica. En este texto, a continuación, también se sabe un poco más del reformador Juan Calvino influyó que miles de millones de personas en los últimos cinco siglos después de la Reforma. Esta carta de Calvino, también revela un momento crucial en la historia del cristianismo, porque Ginebra, Suiza, se convirtió en un foco de acciones de la resistencia de la Contrarreforma católica. La predicación fuerte de Calvino, fue fundamental para el protestantismo y la libertad del mundo moderno, estaba molesto porque el control absoluto que el catolicismo había y que incluso los reyes se inclinan ante el poder temporal del Papa. En esta carta de Calvino a la memoria del Cardenal Sadoleto, rituales y ceremonias católicos que estaban contaminados con las supersticiones paganas que han introducido en la iglesia durante los siglos. Juan Calvino habla de la Cena del Señor, la misa, la confesión auricular y ceremonias que han perdido su forma y características de la Biblia para ser enseñados por los hombres.
Respuesta al Cardenal Sadoleto
Juan Calvino
•Introducción
•Juan Calvino Saluda al Cardenal Jacobo Sadoleto
•Calvino y La Iglesia de Ginebra
•Intenciones de Sadoleto
•Quiere Descalificar a Los Reformadores
•La Gloria de Dios Ante Todo
•¿Cuál Es La Verdadera Iglesia?
•Definición de la Iglesia
•Fundamentos de la Iglesia
•La Justificación Por la Fe
•No Se Rechazan las Buenas Obras
•La Cena del Señor
•Oposición de Falsos Dogmas
•La Iglesia Maculada Con Falsos Dogmas
•Obediencia a la Palabra Divina
•El Cristiano Debe Conocer Su Fe
•Reformadores y Romanistas
•El Reformado Ante el Juicio de Dios
•El Reformado Busca la Verdadera Iglesia
•¿Qué Dirá el Convertido a la Fe Evangélica?
•Actitud Romanista y Reformista
•Único Fundamento: La Palabra de Dios
INTRODUCCIÓN
¿Quién era Calvino?
Es el autor de la carta cuya traducción presentamos aquí. Juan Calvino nació el año 1509 en Noyon, en el norte de Francia, y murió en Ginebra el año 1564. Por consiguiente, su actividad pública se desarrolló a mediados del siglo xvi.
A principios de este siglo plugo a Dios llamar a su pueblo para que volviese a la pureza de la doctrina evangélica. Y esto se llevó a cabo, en particular, por mediación del catedrático en teología de Witenberg (Alemania) Martín Lutero. Este no había pensado, ni mucho menos, en instituir una nueva iglesia; pero debido a las luchas de su propia vida y al estudio asiduo de la Biblia, llegó a descubrir que la iglesia se habla apartado del verdadero Evangelio, es decir, que el hombre es justificado por In fe, sin las obras de la ley (Romanos 3:28).
Cuando Lutero empezó a predicar este evangelio contra los errores que se hablan introducido en la Iglesia, errores que inducían a las gentes a confiar en sus propias obras religiosas para obtener así su salvación, entró en conflicto con los "dirigentes" de la Iglesia de su época, y también, finalmente, con el papa. El año 1520 fue desterrado a causa de su confesión del Evangelio. Pero la Iglesia está donde está la
Palabra de Cristo (Juan 3:27). Al desterrar a su testigo fiel, la iglesia de Roma demostró ser una iglesia infiel y falsa. Sin embargo, el Señor condujo hacia la reforma de la Iglesia a todos los que quisieron seguir su Palabra.
Ellos prefirieron el yugo de Cristo al yugo de los hombres y al yugo del papa.
Juan Calvino, que perteneció al principio a la iglesia de Roma, y habla seguido los estudios humanísticos, atraído durante los primeros se sintió también treinta años del siglo xvi, por los caminos de reforma de la Iglesia. Y así como Lutero fue una gran ayuda para la Reforma en Alemania y países escandinavos, Calvino lo fue para los románicos, anglosajones y Países Bajos. Siguió a Lutero y demás reformadores antiguos, continuando adelante por el camino que ellos hablan empezado, a saber: la reforma de la Iglesia según las Escrituras del Antiguo y Nuevo Testamento, que fueron aceptadas como única autoridad para ésta.
Después de peregrinar por diversas partes, fijó su campo de acción en Ginebra, en la Suiza de habla francesa. En 1535, o sea antes de la llegada de Calvino, ya habla sido introducida la Reforma en dicha ciudad. Calvino publicó en Basilea, el año 1536, su obra principal y más conocida, "Institutio Religionis Christianae. (Institución de la Religión Cristiana).. En el mismo año se le persuadió para que se quedase en Ginebra –cosa contraria a su voluntad-, y alli instructor. primeramente, y como predicador trabajó como más tarde.
Su primera estancia en esta ciudad fue de corta duración. Cuando por medio de su predicación y obra, en las que sus compañeros de ministerio le ayudaron constantemente, fue afirmándose cada vez más la autoridad de la Palabra de Dios en la Iglesia y el Estado, se produjo también la resistencia contra este trabajo, la cual se hizo al final tan fuerte, que tanto Calvino como sus colegas fueron expulsados de la ciudad (1538).
Entonces Calvino se fue a Estrasburgo donde fue predicador de una congregación de habla francesa. Estos años de Estrasburgo fueron de gran trascendencia para él. Desde este lugar se puso en contacto con los hombres más importantes de la Reforma en Alemania, e hizo amistad con un colaborador de Lutero, Felipe Melanchton, la cual no se rompió nunca a pesar de las grandes diferencias que les separaban. Entretanto se entregó con todas sus fuerzas a las controversias religiosas de aquel tiempo. De este modo conoció con más claridad las grandes diferencias existentes entre Roma y la Escritura, conociendo al mismo tiempo todo el terreno donde habla penetrado la Reforma. Mientras tanto se entregó a la edificación y dirección de la iglesia que le habla sido confiada en Estrasburgo. También tuvo contacto muy frecuente con personas que hablan sido arrastradas por la gran corriente de los anabaptistas.
Estos, al igual que los reformadores, se apartaban de la autoridad de Roma y no querían saber nada de la autoridad del papa, pero al mismo tiempo desechaban prácticamente la Sagrada Escritura. Según ellos, ésta no era mas que letra muerta y aquí se trataba del Espíritu que da vida, Pero ellos separaban a este Espíritu de la Palabra del Evangelio. Como consecuencia, desechaban el bautismo de niños y menospreciaban el pacto de la gracia, y la Iglesia instituida con diversos cargos, y en los primeros tiempos turbulentos se mostraron tumultuosamente con frecuencia contra la autoridad bíblica. A estos hombres se les considera justamente como fanáticos. Calvino podía, a través de su traba o oficial, abrir los ojos a muchos de estos equivocados. En 1540 se casó con Idelette de Bure, la cual juntamente con su difunto esposo, había pertenecido a los anabaptistas, pero que volvió a la Iglesia gracias a Calvino. Idelette murió en marzo de 1549.
Tuvo una gran trascendencia que Calvino conociese tan de cerca el fanatismo de los anabaptistas. En aquella época, como siempre, acechaban a la Iglesia del Señor grandes peligros: Por un lado, Roma habla separado el Espíritu de la Palabra, y habla querido someterlo y supeditarlo a la jerarquía eclesiástica. Y por otro lado no era menos peligroso el fanatismo que volvía la espalda por completo a la Iglesia, separando también a su manera el Espíritu y la Palabra, haciendo que el hombre, en su orgullo, prevaleciese sobre la Palabra de Dios.
Debido a que esto era peligroso, pues tanto Roma como la autoridad pública confundían frecuentemente la Reforma con el fanatismo de los anabaptistas, teniéndolos como una misma cosa, Calvino procuró poner de relieve y examinar las principales diferencias que existen entre los dos. En resumen, Roma y el fanatismo eran una misma cosa en lo que se refiere a separar la Palabra de Dios del Espíritu Santo.
En 1541 Ginebra invitó a Calvino para que volviera de nuevo; y a pesar de lo difícil que vela comenzar de nuevo allí su obra tan pesada, aceptó volver y emprender la tarea que le esperaba. Su segundo período de trabajo comprende desde 1541 hasta 1564. Aunque este periodo es de gran trascendencia, sólo señalaremos algunos puntos.
Desde el principio, Calvino tropezó con mucha resistencia en la misma Ginebra. El liberalismo humanista no quería rendirse a la disciplina de la Escritura en la Iglesia. Se levantaban además peligrosas herejías contra la doctrina de las Escrituras. Muchas veces parecía que su obra iba a desaparecer, debido a que los poderosos de este mundo se unían contra Calvino. De aquí que sea injusta la idea de que mandó como dictador, antes al contrario, los poderosos y la gente bien considerada procedían contra Calvino, que sólo deseaba que se respetase la autoridad de la Palabra de Dios.
En los siguientes años de su vida pudo cosechar el fruto de su trabajo, aunque no en el aspecto lucrativo o de tranquilidad, pues permaneció pobre hasta el momento de su
muerte, viéndose además arrollado por el mucho trabajo que cada vez se hacía mas pesado, y teniendo que guardar cama muchos días y semanas a causa de su salud muy debilitada por la enfermedad, sin tener otra solución que continuar su trabajo en el lecho. Sus muchas enfermedades no le impedían continuarlo. El fruto de su obra pudo apreciarlo en el hecho de que la Palabra del Evangelio era cada vez más escuchada en la ciudad donde actuaba, y al mismo tiempo la voz del Evangelio y de su siervo se extendían más y más en el extranjero.
Para lograr esto último empleaba tres procedimientos. En primer !ugar, una abundante correspondencia que se extendía, por decirlo así, por casi toda Europa. Muchas veces le pedian consejo desde lejanas tierras, cuando había dificultades que resolver, o para servicio de la edificación de la Iglesia. También enviaba sus cartas de consuelo a los creyentes oprimidos sobre todo en Francia. Mantenía correspondencia con personas que ocupaban importantes cargos en muchos países, teniendo siempre su mirada fija en la continuación de la obra del Señor.
En segundo lugar, se editaron una serie de libros escritos por él, especialmente comentarios sobre casi todos los libros de la Biblia. También estos libros se extendieron, muchas veces a través de traducciones, por una gran parte de Europa. Y en tercer lugar, Calvino ejerció su influencia más allá de las fronteras suizas por medio de sus alumnos. En los últimos años de su vida estuvo ligado, como catedrático, a la Academia de Ginebra, que habla sido fundada en 1559; y además formó a muchos para la lucha de la reforma de la Iglesia. Cuando murió el reformador, muchos, lo mismo nobles que gente sencilla, acompañaron su féretro. Según su deseo ninguna lápida decorativa adornó su tumba. Quien visite hoy la "ciudad de Calvino" buscará inútilmente su tumba; nadie la conoce. Pero aunque su siervo se marchó, la Palabra ha permanecido y se ha convertido, por la misericordia de Dios, en semilla del nuevo nacimiento hasta nuestros días.
Según hemos hecho notar, debemos ver a Calvino a la luz de los reformadores más antiguos que él, principalmente Lutero, a quien recordaba siempre con gran agradecimiento, si bien señalaba las faltas que habla tenido.
¿Cómo podremos distinguir ahora la linca que nos señala la reforma de Calvino? Querernos responder brevemente a esta pregunta haciendo notar al mismo tiempo algunos puntos. Calvino, no menos que Lutero, hace hincapié en que el hombre es justificado solamente por la fe, pero al mismo tiempo ve que tanto la creación como la salvación del hombre tienen por objeto la honra de Dios. Por eso no podemos detenernos en la salvación del hombre como si la salvación o la vida eterna fuese en sí misma el objetivo final, sino que la pauta a seguir la encontramos en una vida de agradecimiento al Señor, por su voluntad manifiesta de darnos una vida liberada del pecado.
Una vida de la que ninguna actividad queda excluida. Esto es distinto a lo que enseñaba Lutero: la vida pública y politica estaban, según él, fuera de la liberación del pecado por Cristo. Calvino, por el contrario, se esforzó para que las autoridades se supeditasen a la Palabra de Dios, e hiciesen que su gobierno estuviera al servicio del progreso del Evangelio. Al mismo tiempo se sintió llamado, no sólo a desarraigar todos los abusos que Roma habla introducido -a esto se limitó Lutero en la mayoria de los casos-, sino también a instituir todas las cosas según la evidente voluntad del Señor. Por eso, y a diferencia de Lutero, podía decir que la Iglesia tenla que ser libre, no sólo de la tiranla papal, sino también de las potestades humanas, libre para cumplir la Palabra de Dios en ella por la predicación, el servicio de los sacramentos y el
ejercicio de la disciplina. Calvíno se afanó también por conseguir la unidad de todos los creyentes, principalmente en su lucha contra Roma y contra toda clase de herejias, él estaba seguro de que la unidad sólo puede hallarse en la confesión de la verdad.
¿Qué pretendia Sadoleto?
La carta, cuya traducción española presentamos, es una respuesta a la del cardenal Sadoleto, obispo de Carpentras, al sur de Francia, dirigida a los habitantes de Ginebra, urgiéndoles a que volviesen de nuevo a la obediencia a Roma.
¡Era un ataque peligroso para la obra de la reforma en aquella ciudad!
De la peligrosidad que esto entrafiaba podremos darnos cuenta si nos fijamos que Ginebra recibió la carta el mes de marzo de 1539. En esos momentos Calvino y sus colegas estaban desterrados. La congregación se habla visto privada de sus siervos más fieles a la Escritura, la dirección estaba ahora en manos mucho más débiles, y además habia discordia. Al poco tiempo los seguidores de Roma que había en la ciudad empezaron a abrigar la esperanza de que el obispo expulsado en 1535 pudiera ser restituido a su cargo. Incluso el mismo obispo y la jerarquía de la iglesia de Roma empezaron a tener esperanzas.
Entonces tuvieron una reunion para estudiar la forma de conseguir que Ginebra volviese a Roma. ¡No sólo el viejo obispo, que no tenia mucho poder, sino hasta el cardenal Sadoleto tratarla de convencer a los habitantes de la ciudad! ¡La elección había sido bien estudiada! Sadoleto era un hombre erudito y paciente, versado en ciencias clásicas y conocedor de los escritos eclesiásticos y, teológicos de los primeros siglos.
Incluso tenia contactos bastante amistosos con los partidarios del humanismo del campo de la Reforma. Sadoleto, pues, escribió una carta fraternal y amistosa. Aunque era tajante y violento con los seguidores de la Reforma, se mostraba muy moderado con los habitantes de Ginebra. No se extendía mucho en las diferencias doctrinales, sino que señalaba la excelencia de la vida eterna y la necesidad de vivir de acuerdo con "la antigua iglesia católica", a la cual guía siempre y por todas partes el Espíritu de Cristo. El que se separa de esta iglesia no tendrá quien le defienda en el juicio venidero y le están reservadas las tinieblas de afuera.
Es fácil ver el gran empeño que pone Sadoleto en su carta para aproximarse a los habitantes de Ginebra, cuando le olmos atestiguar que la salvación se obtiene sólo por la fe. Al oír esto ¿no parece como si la voz de la iglesia romana se volviese hacia la Palabra de Dios? Pero a renglón seguido se ariade: ¡En esta fe están comprendidos desde el principio el amor y las buenas obras! ¡De este modo se mantenía intacta toda la doctrina romana del merecimiento por las buenas obras! ¿Pero quién podría ahora discernir y señalar esto de una manera tajinte?
Respuesta de Calvino.
Cuando se recibió la carta de Sadoleto en Ginebra se le mandó una respuesta provisional, en espera de más informes. Pero ¿quién era capaz de dar más informes? Todos consideraban justamente a Sadoleto como hombre muy erudito. La carta tenía un tono suave y causó mucha impresión. Nadie se atrevía a dar una respuesta. Y de este modo aumentó la intranquilidad en ésta y en las demás ciudades de Suiza que habían aceptado la reforma. ¿Qué sucedería ahora en Ginebra?
Entonces se acordaron del desterrado de Estrasburgo. Le buscaron y le pidieron ayuda. Qué iba a hacer Calvino? ¿Abandonarla la ciudad que no había querido seguir utilizando sus servicios, y que ni siquiera había querido soportar su presencia? Todo lo contrario; pues sabia que estaba ligado a aquella congregación por el amor en Cristo y se sentía responsable de su salvación. Así pues, cuando se dio cuenta del peligro que corría, y comprendió la timidez que se había apoderado de los dirigentes de Ginebra, abandonó todas sus ocupaciones y escribió la respuesta a Sadoleto en seis días, según testimonio que consta en su correspondencia. Esto sucedió en septiembre de 1539. Un par de meses más tarde se podía conseguir en las librerías una edición francesa y otra latina de esta carta. Sadoleto había encontrado un digno contrario. Y no sólo esto. Ginebra recibió del desterrado siervo de la Palabra de Dios una enseñanza tan penetrante en la doctrina de la Santa Escritura y en la necesidad de poner todas las cosas de la Iglesia bajo la autoridad de la Palabra de Dios, que, no solamente un grupo de la congregación, sino la totalidad de ella y toda la ciudad, volvió a desear el regreso del hombre que a su debido tiempo y de la manera más justa sabia dar la respuesta.
Su contestación a Sadoleto significa el principio de su regreso en 1541. En nuestro corto resumen de la vida y obra de Juan Calvino hemos señalado cuál es la significación de este reformador. Quien lea ahora su contestación al cardenal Sadoleto, verá que tenemos en ella una explicación eficaz y clara como el cristal de la doctrina de la Escritura, tal y como la rechaza Roma y la confiesa la Reforma. Lo más importante de esta lucha entre Calvino y Sadoleto, no es saber quién ganó, aunque en realidad y según toda clase de testigos y opiniones fue el primero. Esto tuvo, es cierto, una gran transcendencia en la historia de la Iglesia del siglo xvi y por ello tenemos que estar agradecidos; pero lo verdaderamente importante es que esa misma palabra puede sonar asi para nosotros hoy dia.
Podemos decir que el intento de Sadoleto para conducir a la iglesia de Ginebra a la obediencia del papa de Roma, quitando de la vista todos los cantos agudos y contrastes entre Roma y la Reforma, se ha redoblado y vuelve de'nuevo diez y hasta cien veces mas fuerte que antes, sobre todo hoy en dia, cuando la jerarquía de la iglesia de Roma, durante el segundo concilio Vaticano, está dispuesta a aproximarse a todo lo que es protestante para conseguir asi la unidad eclesiástica; esta unidad eclesiástica parece ser el objetivo principal.
Pero el Salvador oró por los suyos para que fuesen uno en la verdad de Dios (Juan 17:17) y según la regla santa: "Para que todos sean una cosa, como tú, oh Padre, en mi, y yo en ti, que también ellos sean en nosotros una cosa". (Juan 17:21). La lectura de la respuesta de Calvino al cardenal Sadoleto puede enseñarnos que la verdad de la Escritura no está en Roma, sino en la iglesia que quiere vivir según la Palabra del Señor. Esta lectura puede enseñarnos por qué tuvo que venir esta separación en el siglo xvi, y por qué es todavia esta separacion un mandamiento de Dios en el siglo xx, pues la unidad de la Iglesia no consiste en la subordinación a un hombre o alta dirección eclesiástica, sino solamente en la subordinación al Cristo de las Escrituras y a la verdad del Evangelio. Esta respuesta puede enseñarnos qué clase de separación y de unidad quiere el Señor de nosotros; porque la verdad es una, y Cristo Jesús es el mismo en el siglo xvi que en el xx. Solamente en tal como las Escrituras nos lo manifiestan, halla la iglesia su unidad en fe y amor.
Aprendamos de la respuesta de Calvino al cardenal Sadoleto a conocer los errores y la fuerza del error. Pero sobre todo aprendamos a conocer la Verdad y la fuerza de la Verdad. ¡Dios quiera que la lectura y consideración de esta palabra del reformador de Ginebra pueda hacer comprender el poder de la verdad en el siglo xx! Porque de la verdad testificó el Salvador: .Ella os libertará" (Juan 8:32). Solamente ella tiene el poder de conducirnos hacia el futuro del Señor, porque a través de ella nos llega su sangre y su Espiritu, por lo cual somos liberados de la culpa del pecado, haciéndonos dóciles y aptos para el servicio.
J. Kamphuis,
Catedrático en Kampen, Paises Bajos.
JUAN CALVINO SALUDA AL CARDENAL JACOBO SADOLETO
Puesto que por tu excelente doctrina y maravillosa gracia en el hablar has merecido (y con toda justicia) ser tenido en gran admiración y estima entre los sabios de nuestro tiempo, y principalmente entre los verdaderos aficionados a las buenas letras, me disgustaría sobremanera verme obligado por esta mi réplica y queja (que ahora podrás escuchar) a tocar públicamente, sin herirlo, este tu buen nombre y reputación.
Lo cual en verdad jamás hubiera emprendido, de no haber sido apremiado y obligado a este combate por una gran necesidad. Porque no ignoro qué gran maldad sería provocar injustamente por codicia o simplemente por envidia a quien en un tiempo ha cumplido tan bien su deber con las buenas letras y disciplinas; y sobre todo cuán odioso resultaría si los sabios se enterasen de que sólo por enfado y disgusto, sin tener otra justa razón, habla dirigido mi pluma contra aquel a quien (y no sin razón) se le estima, por sus cualidades y virtudes, digno de amor, alabanza y
aprecio.
Sin embargo, después de exponer el motivo y razón de mi empresa, espero que no sólo quedaré exento y absuelto de todo crimen, sino que, a mi entender, no habrá nadie que juzgue que la causa por mí patrocinada podía dejar de defenderla sin incurrir en cobardía demasiado grande y en desprecio de mi ministerio.
Desde no hace mucho tiempo has estado enviando cartas al consistorio y al pueblo de Ginebra, con las cuales pretendías probar sus corazones, averiguar si querían someterse al poderío y tiranía del papade los que se han visto libres y apartados de una vez para siempre. Y porque no convenía mostrarse áspero con aquellos de cuyo favor tenías necesidad para defender tu causa, por eso has empleado con ellos las artes de un buen orador. Pues desde el comienzo has procurado halagarles y engañarles con dulces palabras, creyendo atraerles a tu opinión, y achacando toda la malevolencia y acritud a aquellos por medio de los cuales se vieron libres de
esta tiranía.
Y aquí es donde impetuosamente y a rienda suelta2 te desfogas contra quienes (según tus palabras) bajo sombra y pretexto del Evangelio, con astucias y engaños, han sumido a esta pobre ciudad en tan, tan turbación respecto a la iglesia (de la que te compadeces) y en tan gran desorden en lo tocante a la religión. En cuanto a mi se refiere, Sadoleto, quiero que sepas que soy uno de aquellos contra los que hablas con tan grande cólera y furor. Y aunque la verdadera religión ya habla sido erigida y establecida, y la forma de su iglesia corregida, antes de haber sido llamado a ella, sin embargo, puesto que no sólo la he corroborado con mi palabra y mi opinión, sino que también me he esforzado cuanto me ha sido posible en conservar y consolidar todo lo establecido antes por Farel y Vireto3, yo no puedo honestamente ser excluido ni separa de ello en esta causa.
Si te hubieras referido a mi personalmente, sin duda alguna te hubiese perdonado todo fácilmente en atención a tu saber y al honor de las letras; pero al ver mi ministerio (que yo sé está fundado y confirmado por la vocación del Señor) herido y lastimado por las llagas que me infieres, no seria paciencia, sino deslealtad disimular en este punto, guardando silencio.
Calvino y la iglesia de Ginebra
En primer lugar, y como primer cargo, he ejercido en esta iglesia el oficio de lector1 y después el de ministro2 y pastor. Respecto a haber tenido el segundo cargo, mantengo, por propio derecho, que lo hice legítimamente y con sincera vocación. Ahora bien, con qué cuidadosa diligencia y total entrega lo he administrado, no es necesario demostrarlo con largos discursos. No pretendo atribuirme ninguna sutil inteligencia, erudición, prudencia o destreza, ni siquiera diligencia. Pero yo sé, sin embargo, con certeza delante de Cristo, mi juez, y de todos sus ángeles, que he caminado en esta iglesia con la pureza y sinceridad que convenía a la obra del Señor: de lo cual los fieles dan amplio y excelente testimonio.
Así Pues, una vez que se conozca que mi ministerio viene de Dios (como ciertamente aparecerá con claridad en el transcurso de esta materia) ¿habrá alguien que no juzgue mi silencio fingido y disimulado y no me acuse de prevaricación, si, por callarme, sufro injuria y difamación? Todos, pues, comprenden que me veo obligado por una imperiosa necesidad, y que además no tengo más remedio que oponerme y refutar tus reproches y acusaciones, si es que no quiero traicioneramente rehuir la empresa que el Señor ha puesto en mis manos. El no tener por el momento a mi cargo la administración de la iglesia de Ginebra, no puede ni debe impedirme profesarle mi paternal amor y caridad; a aquélla, digo, en la que habiéndome Dios ordenado una vez, me obligó a guardarle siempre fidelidad y lealtad.
Viendo, pues, las redes que se tendían contra aquella cuyo cuidado y solicitud quiere el Señor que tome sobre mi; conociendo también los grandes y enormes peligros y riesgos en los que, de no proveer con diligencia y medios apropiados, podía caer rápidamente ¿quién se atrevería a aconsejarme esperar con seguridad y paciencia el fin y término de tales peligros? Pensad qué ridículo seria permanecer como estúpido y atónito, sin prevenir la ruina de aquel por cuya protección es necesario vigilar día y noche. Pero bien veo que seria superfluo emplear en este punto un discurso más largo, cuando tú mismo me libras de tal dificultad.
Pues si la vecindad de que hablas (que no es sin embargo tan grande) ha tenido tanta fuerza en ti que, queriendo mostrar la amistad que profesas a los habitantes de Ginebra, no has temido atacar, con tan gran atrocidad y furor, mi persona y mi buen nombre, a mi me será permitido, por derecho de humanidad, queriendo proveer y entender en el bien público de la ciudad que tengo encomendada y por mayor titulo que el de vecindad, impedir tus propósitos y esfuerzos que sin duda pretenden su total ruina y destrucción. Más todavía: aún cuando no tuviere nada que ver con la iglesia de Ginebra (de la que ciertamente no puedo desviar mi espíritu, ni amar y estimar menos que a mi propia alma), aún concediendo que no le tuviere ningún afecto, en cuanto mi propio ministerio ha sido injuriado falsamente y difamado (el cual, por haber conocido que viene de Cristo, debo defenderlo, si es necesario, con mi propia sangre) ¿cómo me va a ser posible aguantar, disimulando, tales cosas?
Por lo cual no sólo los lectores benévolos pueden juzgar fácilmente, sino también tú, Sadoleto, tú mismo puedes considerar y pensar que por varias y justas razones me he visto obligado a tomar parte en este combate (si es que se puede llamar combate a la sencilla y moderada defensa de mi inocencia); si bien no puedo sostener mi derecho sin englobar y mezclar en él a mis compañeros, con los que la razón de mi administración ha permanecido tan inseparable que con sumo gusto tomaría sobre mí todo lo que se quiera decir contra ellos. Sin embargo, procuraré con todas mis fuerzas mostrar respecto a ti, al exponer y desarrollar esta causa, el mismo afecto que tuve al comenzarla.
Pues yo haré que todos comprendan, no sólo que te aventajo mucho en buena y justa causa, en recta conciencia, en pureza de corazón, en lo rotundo3 de las frases y en buena fe, sino que también soy un poco más constante en guardar cierta modestia, dulzura y suavidad. Verdad es que a veces encontrarás cosas punzantes, que posiblemente desgarrarán tu corazón; sin embargo, procuraré que no salga de mi ninguna palabra fuerte ni dura, a no ser que la iniquidad de tu acusación (con la que en primer lugar he sido atacado), 0 la necesidad de la causa, me obliguen a ello. De todos modos procuraré que esta dureza y aspereza no lleguen a una intemperancia insoportable, a fin de que los espíritus de buen natural no se ofendan en modo alguno al ver tal inoportunas injurias.
***
Intenciones de Sadoleto
Ahora bien: tengo por seguro que cualquier persona empezaría su defensa precisamente por el argumento que yo me propuse omitir. Pues sin gran dificultad podría ésta poner tan a las claras1 tus intenciones al escribir, que todos verían con evidencia que, en tu escrito, has buscado cualquier fin menos el que pretendías o intentabas. Pues si, primeramente, tú mismo no tienes fe en tu integridad, te haces extremadamente sospechoso, dado que tú, siendo extranjero y no habiendo tenido antes por aquí ningún conocimiento ni amistad con el pueblo de Ginebra, ahora de pronto dices profesarles un singular amor y benevolencia; sin embargo, de este amor jamás salió ningún fruto o apariencia de tal.
Tú, que has hecho tu aprendizaje, casi desde tu infancia, en las instituciones romanas, las cuales se aprenden ahora en la corte de Roma, en esta tienda2 de toda finura y
astucia; que precisamente has sido criado entre los brazos del papa Clemente3, con cuya ayuda fuiste hecho cardenal, ciertamente tienes muchas manchas que te hacen sospechoso, en este lugar, prácticamente para todos. En cuanto a esos sutiles medios e insinuaciones, con los que creías prevenir y sorprender los espíritus de la gente humilde, cualquier hombre, que no sea tonto de remate, podría refutarlos con facilidad.
Sin embargo, no te puedo imputar lo que seria quizá más di-,no de crédito, ya que eso no escapa fácilmente a hombre instruido en las buenas letras y ciencias liberales. Procederé, pues, contigo como si hubieses escrito a los de Ginebra con buen celo, como conviene a un hombre lleno de gran doctrina, prudencia y gravedad; dándoles a entender de buena fe lo que te parecía conducente a su salvación y prosperidad. Pero pesar de ello, y por cuanto no quiero enfadarte en este punto, sea cual fuere tu intención, y como destrozas y te esfuerzas en manchar y difamar hasta el extremo, con ultrajes e injurias, lo que el Señor les ha enseñado con nuestro auxilio4, me veo obligado, quiéralo o no, a contradecirte en esto abiertamente. Pues ciertamente el oficio de los pastores en la iglesia consiste, no sólo en llevar las almas dóciles de los fieles directamente a Cristo, sino también en estar bien pertrechados para rechazar las maquinaciones de quienes se esfuerzan en impedir la obra del Señor.
Ahora bien, aunque tu carta está llena de propósitos ambiguos y circunlocuciones, sin embargo, el centro y punto principal está en que tú los apoyas en la autoridad del Papa, que es lo que tú llamas volver a la fe y obediencia de la iglesia. Pero como en causa poco favorable se requiere suavizar la acometividad de los oyentes, tú presentas, por medio de un largo prefacio y discurso, el bien incomparable de la vida eterna; después, entrando más en materia, demuestras que no hay peste más peligrosa para el alma que la falsa religión, y por supuesto dices que la verdadera regla para servir a Dios es la que fue instituida por vuestra iglesia; de lo cual concluyes
que aquélla la han creado ellos, y que están totalmente perdidos todos los que han roto la unidad de esta iglesia si no se arrepienten y enmiendan. Y después pretendes que es un manifiesto abandono de la iglesia por parte de ellos el haberse alejado y separado de vuestra compañía, sobre todo por haber recibido el Evangelio de nosotros, y que todo esto no es sino un montón y mezcla de perversas instituciones y falsas doctrinas; de lo cual filialmente concluyes qué juicio de Dios les espera, si no hacen caso de tus avisos.
***
Quiere descalificar a los reformadores
Ahora bien, a pesar de que despojar a nuestras palabras de credibilidad servirla grandemente a tu causa, tu verdadera intención ha sido hacer sospechoso el celo, que ellos han visto en nosotros, por su salvación. Y así nos reprochas injustamente (pues bien sabes que es todo lo contrario) no haber pretendido otro fin que el de satisfacer nuestra ambición y avaricia. Dado, pues, que por tal motivo y con maliciosas insinuaciones nos has querido imputar tan mal proceder, turbando el espíritu de los lectores para engendrar en ellos odio contra nosotros, a fin de que no diesen crédito a nuestras palabras, antes de tratar otros puntos, responderé brevemente a tu objeción.
Ten por cierto que no hablo de mi por gusto; sin embargo, puesto que no puedo en
absoluto callarme, hablaré de mi con la mayor modestia posible. Así, pues, en cuanto a mí se refiere, si sólo hubiese pretendido mi provecho jamás me hubiera separado de vuestro bando. Y sin embargo no me vanagloriaré de haber tenido en él los medios para conseguir honores, que jamás deseé, ni a los que jamás mi corazón pudo dedicarse (a pesar de haber visto a varios de mis compañeros conseguirlos con cierta dignidad, honores a los que podía en parte aspirar y en parte despreciar); me bastará decir solamente que me era licito conseguir lo que habría deseado sobre todo lo demás, a saber, dedicarme al estudio con alguna honesta y libre condición. Por lo cual, jamás temeré que alguien me pueda reprochar (si no es algún desvergonzado) el haber pretendido ni pedido cosa alguna fuera del reino del Papa que no me hubiese sido ofrecido en éste.
Pero ¿quién se atreverá a achacar a Farel semejantes cosas? Si le hubieran obligado a vivir de su trabajo y saber, el bien que habla ya hecho a las letras nunca le hubiese dejado en necedad, y eso que procedía de tan noble casa que no tenia necesidad de ayuda alguna1. Acerca de nosotros dos, puesto que nos señalas como con el dedo, he querido responderte nominalmente. Y en cuanto a que, según parece, difames y te ensañes sin miramientos contra cuantos sostienen hoy día la misma causa que nosotros, quiero que comprendas perfectamente que no hallarás ni uno solo por quien yo no responda, como lo hice por Farel o por mí mismo. A bastantes de nosotros sólo conoces de oídas; respecto a éstos, apelo a tu conciencia: ¿Crees que les habrá obligado el hambre a apartarse de vosotros, y que por no poder conseguir riquezas se han visto obligados a este cambio y nueva conversión, como si hubiesen hecho bancarrota, o como abolición general de antiguas deudas?
Para no extenderme prolijamente recitando un largo catálogo, me atrevo a asegurarte que de todos cuantos ha sido motivo y centro2 de este asunto, ni uno sólo dejaría de ser recibido entre vosotros tan bien y tan honrosamente que ya no necesitaría preocuparse por un nuevo genero de vida. Por consiguiente, esto es lo que nos juzga ahora y discierne a ti y a mí: los honores y poderes que hemos conseguido.
Ciertamente, todos cuantos nos han oído serán testigos de que no hemos deseado y procurado tener otras riquezas ni dignidades que las que nos han caldo en suerte. Dado, pues, que en todos nuestros dichos y hechos no han tenido tú siquiera sospecha alguna de la ambición que tú nos atribuyes, sino que han visto por indicios manifiestos en qué horror y menosprecio los teníamos ¿piensas que con tu simple palabra vas a conquistar sus entendimientos, de suerte que den crédito a esta tu vana acusación, más bien que a tantas y tan verdaderas enseñanzas como han recibido de nosotros? Y vamos a apoyarnos en hechos más bien que en palabras: el poder de la espada y otros poderes civiles que un montón de sacerdotes y obispos disfrazados habían arrebatado, con el pretexto de inmunidad y franquicia, fraudulentamente a los magistrados, ¿no hemos hecho nosotros que vuelvan a ser puestos de nuevo en sus debidas manos? ¿No hemos detestado y no nos hemos esforzado en abolir todos los medios de condenación y de ambición que habían usurpado?
Si hubiésemos tenido la esperanza de enmendar estas cosas, ¡con qué finura no hubiéramos disimulado esto, a fin de que tales cosas nos hubiesen sido devueltas con la administración y gobierno de la iglesia! ¿Pero por qué hemos emprendido el destruir con grandes esfuerzos este reino y poderío, o, por mejor decir, esta tiranía3 que ejercían sobre las almas en contra de la Palabra de Dios? ¿Cómo no nos dábamos cuenta de lo mucho que hablamos perdido?
Por lo que se refiere a las riquezas eclesiásticas, la mayor parte de las mismas son devoradas por estas simas. Si, pues, esperamos que les sean arrebatadas de una vez para siempre (como ciertamente será necesario), ¿cómo es que no buscamos los medios de apoderarnos de ellas? Pero dado que públicamente hemos pronunciado y declarado que el vigilante u obispo es un ladrón que emplea bienes de la iglesia para su uso más de los que necesita para vivir sobriamente y según su condición; dado que también hemos testimoniado que la iglesia fue emponzoñada con pernicioso veneno al cubrirse los pastores de riquezas por las que finalmente se han visto cegados; teniendo también en cuenta que hemos enseñado no ser conveniente que usen de ellas en abundancia, y que, finalmente, hemos aconsejado que se diese a los ministros lo que era necesario, según su estado, pero no para que abunden en superfluidad, y que lo restante se distribuyese entre los pobres como se hacia en la iglesia primitiva; habiendo, en fin, demostrado que era necesario elegir personas serias y de autoridad, que tuviesen su cargo y administración con la condición de rendir cuenta todos los años a la iglesia y al magistrado, ¿significa todo esto que buscábamos o procurábamos aprovecharnos de estos bienes o más bien que los apartábamos voluntariamente de nosotros?
Todo esto demuestra suficientemente, no lo que somos, sino lo que hemos querido ser. Si, pues, todo lo que he dicho es tan claro y manifiesto para todos, que nadie podrá negar ni el menor detalle, ¿podrás tacharnos de audaces y codiciosos de riqueza y poder desacostumbrados,
incluso ante quienes no ignoran estas cosas? En cuanto a las grandes y enormes mentiras que gente de tu calaña siembran diariamente en sus países no nos extraña en modo alguno, pues no hay persona que se aperciba de ello o se atreva a contradecirles. Pero el querer persuadir de lo contrario a quienes han visto y oído lo que antes expuse no es obra de un hombre sabio, y, lo que es más deshonroso para Sadoleto, de un hombre de tan gran estima por su doctrina, prudencia y gravedad.
Y si te parece que nuestro afecto debe ser medido por el efecto de la cosa, todos verán que no hemos procurado sino multiplicar y acrecentar con nuestra bajeza y
humildad el Reino de Dios; tan lejos estamos de haber querido, por el deseo de dominar, abusar de su santo y sagrado Nombre.
Paso por alto y me callo muchas otras injurias y oprobios que vomitas contra nosotros a boca llena, corno se dice. Nos llamas hombres cautelosos, enemigos de la unión y paz cristiana, reformadores de cosas ya de antiguo bien establecidas, sediciosos, hombres que contagian la peste a las conciencias e incluso enemigos, tanto en público como en privado, de la conveniencia humana. Si querías evitar reproches, o no deblas atribuirnos lenguaje altanero y profundo, para hacernos odiosos a todos, o bien tenlas que disminuir un poco en cierto modo esta grandilocuencia. No quiero, sin embargo, detenerme en todos tus propósitos, pero quisiera que pensases en tu interior cuán poco conveniente, y hasta mezquino, seria acusar con extensas injurias (las cuales, sin embargo, con una sola palabra se pueden refutar) a quienes en modo alguno las han merecido ni las esperaban de ti. ¡Cuán poca cosa es injuriar así a los hombres, haciéndolo al precio de la indignidad de tan gran ultraje hecho por ti a Jesucristo y a su Palabra, cuando comienzas a entrar más adelante en materia!
La Gloria de Dios Ante Todo
Tú llamas abandonar la verdad de Dios al hecho de haberse apartado los de Ginebra, instruidos por nuestra predicación, del fango del error en que hablan sido sumergidos y casi ahogados, y al hecho de haber vuelto a la pura doctrina del Evangelio. Y también dices que es una verdadera separación de la iglesia el haberse apartado de la sujeción y tiranía papal, para disponer entre ellos de una mejor forma de iglesia.
Examinemos, pues, ahora estos dos puntos. Por lo que se refiere a este tu preámbulo, que llena casi la tercera parte de tu carta, predicando la excelencia de la felicidad eterna, no es necesario que me extienda mucho en responderte. Pues aunque la consideración de la vida eterna sea cosa digna de que esté día y noche en nuestros oídos y debamos ejercitarnos sin cesar en su meditación, no acabo de comprender, sin embargo, por qué te has detenido tanto en
esto, a no ser para que te tengan en mayor estima y consideración so pretexto y apariencia de religión; o bien que, pensando alejar de ti toda mala sospecha, has querido hacer ver que todo tu pensamiento versaba sobre la vida bienaventurada que hay en Dios; o bien, has juzgado que aquellos a quienes escribías serian por esta tu larga exhortación atraídos y conmovidos de modo mejor (aunque no quiero adivinar cuál era tu intención); sin embargo, no creo sea propio de un auténtico teólogo el procurar que el hombre se quede en si mismo, en vez de mostrarle y enseñarle que el comienzo de la buena reforma de su vida consiste en desear fomentar y dar realce a la gloria del Señor, ya que hemos nacido principalmente para Dios y no para nosotros mismos.
Pues así como todas las cosas son suyas y en Él subsisten, así también (como dice el Apóstol1 deben referirse por completo a Él. Y así dice que el mismo Señor, para hacer más deseable a los hombres la gloria de su Nombre, les ha atemperado y moderado de tal manera el deseo de exaltarlo que los ha unido perpetuamente a nuestra salvación. Pero dado que él ha enseñado que este afecto debe dominar todo cuidado y codicia del bien y provecho que de ello nos podría venir, y que incluso la ley natural nos incita a estimarlo sobre todas las cosas (si por lo menos queremos rendirle el honor que le es debido), ciertamente el deber del cristiano consiste en remontarnos por encima de la simple búsqueda y consecución de la salvación de su alma.
Por lo cual no habrá ninguna persona bien instruida y experimentada en la verdadera religión cristiana que no juzgue esta tan larga y curiosa exhortación al estudio de la vida celestial (la cual detiene al hombre en esto sólo, sin elevarlo con una sola palabra a la santificación del Nombre de Dios) como cosa de mal gusto y sin sabor alguno.
Después de esta santificación, te concederé, de muy buen grado, que durante toda nuestra vida no debemos tender a otro fin ni tener otro propósito que el de conseguir esta suprema vocación, pues es el fin principal que Dios nos ha propuesto en todos nuestros hechos, dichos y pensamientos. Y no hay, en verdad, cosa alguna que haga al hombre superior a los animales como la comunicación espiritual con Dios, con la esperanza de esta felicidad eterna. Incluso en todas nuestras predicaciones casi no pretendemos otra cosa que educar y conmover los corazones de cada uno con la meditación y estudio de esta felicidad eterna.
Te puedo conceder de buen grado que todo el daño que pueda acontecer a nuestra salvación no proviene de otra parte, sino del servicio de Dios pervertido y ejecutado indebidamente. Y por cierto estas son entre nosotros las primeras instrucciones y enseñanzas en las que acostumbramos a instruir, cuando tratamos de la verdadera piedad y religión, a quienes queremos conquistar como discípulos para Jesucristo, a saber: que se guarden bien de calumniar locamente y a su placer cualquier nueva forma de honrar a Dios, pero que sepan que sólo es legitimo aquel servicio que desde el comienzo le fue agradable. Y sin embargo afirmamos, sobre todo, lo que está aprobado por el santo oráculo de Dios: que más vale obediencia que sacrificio2.
Finalmente les inducimos y acostumbramos cuanto podemos a abandonar todos los servicios y formas de falsas y calumniosas supersticiones, contentándose con una sola
regla y mandamiento de Dios, según se lo ha revelado su Santa Palabra.
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¿Cuál es la verdadera Iglesia?
Gracias a lo cual, Sadoleto, tú mismo has puesto y como asentado todo el fundamento de mi defensa al confesar y aprobar voluntariamente estos puntos. Pues si admites que es una horrible perdición para el alma el haber, con maliciosas opiniones, convertido en mentiras la verdad de Dios, queda por saber cuál de las dos partes observa y guarda este honor y esta única, verdadera y legitima reverencia debida a Dios. Por tu parte dices que la regla más cierta es la que prescribe y recomienda la iglesia, si bien pones en tela de juicio esta sentencia, como si quisiéramos atacarla al modo que se hace con las cosas dudosas.
Por cierto, Sadoleto, que, viendo que te atormentas en vano, no puedo menos de intentar reanimarte y aliviarte de tan gran disgusto. Pues falsamente y sin razón quieres convencerte de que pretendemos nosotros apartar al pueblo fiel de la verdadera adoración, observada siempre por la iglesia católica. 0 te equivocas al decir "iglesia., o bien quieres engañarnos insidiosamente con rodeos1; te saldré al paso en este último punto. También puede ser que te engañes en otros puntos; pues en primer lugar, en la definición de Iglesia omites lo que te podía ayudar en gran manera para la recta inteligencia de esta palabra cuando dices que es la que, tanto en los siglos pasados como actualmente y por toda la tierra, ha estado siempre unida en un mismo espíritu con Cristo por el cual en todo y por todo es dirigida y gobernada.
¿Dónde está aquí la palabra de Dios, esta tan clara señal que ha sido tantas veces recomendada por el mismo Señor en la designación de la verdadera iglesia? Pues previendo Él cuán peligroso seria vanagloriarse del Espíritu sin la Palabra, ha afirmado que la iglesia estaba gobernada y dirigida por el Espíritu; pero con el fin de que tal dirección fuese cierta, estable e inamovible, la ha unido y aliado a esta su Palabra. Es lo que pregona el Señor: que son de Dios los que oyen la palabra de Dios,2 que son ovejas suyas las que reconocen su voz como la de su pastor, rechazando como extraña cualquier otra voz.
Por esta razón dice el Espíritu, por boca de San Pablo, que la Iglesia está fundada sobre el fundamento de los Apóstoles y Profetas3. Y también que ha sido santificada con el bautismo de agua por la palabra de vida4. Y esto mismo lo dice con más claridad San Pedro, cuando nos enseña que Dios regenera a su pueblo por esta incorruptible semilla5. Y para ser breve ¿por qué se denomina tantas veces Reino de Dios a la predicación del Evangelio, sino porque es el cetro con el que rige y gobierna a su pueblo el Rey celestial? Esto no sólo lo encontrarás en los escritos de los apóstoles, sino que cuantas veces los profetas han predicho la restitución e
instauración, o bien la propagación de la iglesia por el mundo entero, han asignado y concedido siempre el primer lugar a la palabra, pues dicen: Aguas vivas saldrán de Jerusalén, las cuales, divididas en cuatro ríos, regarán toda la tierra6.
Y ellos mismos exponen y declaran cuáles son estas aguas, cuando dicen que la ley saldrá de Sión, y la palabra del Señor de Jerusalén7 . Hizo, pues, bien Crisóstomo en aconsejar que rechazáramos a todos los que, bajo pretexto del Espíritu, quieren apartarnos de la simple doctrina evangélica, ya que no se prometió el Espíritu para suscitar doctrinas nuevas, sino para grabar en los corazones de los hombres la verdad del Evangelio. Y sin embargo (para que veas cómo Satán no está nunca tan escondido que no aparezca por algún lado) los dos poseen un mismo medio con el que pretenden oprimirnos. Pues cuando se envanecen del Espíritu con tanta arrogancia, no pretenden otra cosa sino oprimir y sepultar la palabra de Dios con sus mentiras.
Y tú, Sadoleto, tropezando al primer paso en el umbral8 has sido castigado por la injuria que hiciste al Espiritu Santo, separándolo y dividiéndolo de la Palabra. Pues te has visto obligado (como si los que buscan el camino de Dios se hallasen en una encrucijada o privados de una meta segura) a ponerles en la duda de si es más conveniente seguir la autoridad de la iglesia, o escuchar a los que tú llamas inventores de nuevas doctrinas.
Si hubieses sabido, o no lo hubieses querido disimular, que el Espíritu ilumina a la 1glesia para abrir la inteligencia de la Palabra y que la Palabra es como el crisol donde se prueba el oro para discernir por medio de ella todas las doctrinas, ¿te hubieras enfrentado con tan compleja y angustiosa dificultad? Aprende, pues, por tu propia falta, que es tan insoportable vanagloriarse del Espíritu sin la Palabra, como desagradable 24 el preferir la Palabra sin el Espíritu.
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Definición de la Iglesia
Si , pues, quieres ahora soportar y recibir una definición de .iglesia. más verdadera que la tuya, di en adelante que es la asamblea de todos los santos, la cual, extendida por todo el mundo, está dispersa en todo tiempo, unida sin embargo por una sola doctrina de Cristo, y que por su sólo Espíritu guarda y observa la unión de la fe, junto con la concordia y caridad fraterna. Ahora bien proclamamos que no nos separa de ella diferencia alguna; antes al contrario, del mismo modo que la reverenciamos como madre, así también deseamos permanecer siempre en sus brazos. Pero al llegar aquí, me reprendes, diciendo y esforzándote en demostrar que todo lo que ha sido recibido y aprobado por el consentimiento de los fieles desde hace más de mil quinientos años, ha sido arrancado y anulado por nuestro desorden. En este punto no quiero pedirte que camines con nosotros de buena fe (cosa sin embargo, que no ya un cristiano, sino un filósofo haría de buen grado), pero si te pido que no llegues a permitirte calumniar vilmente, cosa que (aunque nos callemos nosotros) ofenderla tu reputación y estima entre los hombres serios y decentes. Sabes muy bien, Sadoleto, y si lo niegas yo haré que todos vean que lo disimulas cautelosamente y con malicia, sabes muy bien que estamos más de acuerdo con la antigüedad que vosotros; y además que no pedimos otra cosa sino que esta antigua faz de la Iglesia pueda por fin ser restaurada y renovada por entero, la cual, deformada y manchada por gentes indoctas ha sido después destrozada cobardemente y casi destruida por el papa y su bando.
Ahora bien, no quisiera molestarte tanto, acosarte tan de cerca, que parezca que quiero renovarla, reformarla y volverla al estado de la iglesia constituida primeramente por los apóstoles (que es sin embargo un ejemplo singular de la verdadera Iglesia, ejemplo que necesitamos seguir, si no queremos equivocarnos y errar grandemente).
Te ruego consideres y pongas ante tus ojos, el antiguo estado de la iglesia que existía entre los griegos, en la época de Crisóstomo y de Basillo, y entre los latinos, en la época de Cipriano, Ambrosio y Agustín, como puede verse a través de sus escritos; y después, contempla las ruinas que os han quedado: encontrarás con toda certeza la misma diferencia que la que los profetas escriben que existía entre la excelente iglesia que florecía bajo David y Salomón, y la que sumida en toda suerte de supersticiones bajo Sedecias, y Joaquín, había corrompido totalmente la pureza del servicio de Dios.
Dirás, pues, ahora que es enemigo de la antigüedad, el que, por celo de la santidad y piedad antigua, descontento con la presente corrupción, procura mejorar en todo y
restituir a su primitivo resplandor lo que ha sido pervertido y disipado en la Iglesia?
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Fundamentos de la Iglesia
Y puesto que la santidad y firmeza de la iglesia consiste principalmente en estas tres cosas: doctrina, disciplina y sacramentos viniendo en cuarto lugar las ceremonias para ejercitar al pueblo en el deber de la piedad, ¿por cuál de las cuatro quieres, con el fin de salvar vuestra iglesia y conservarle su honor, que la juzguemos?
En primer lugar, la doctrina de los profetas y la verdad evangélica, sobre la cual es necesario que la iglesia esté fundamentada no sólo ha quedado en su mayor parte extinguida en vosotros, sino que se la expulsa sin tregua y se la persigue a sangre y fuego.
¿Y pretenderás y te atreverás a sostener que es iglesia aquella en que todas las instituciones de nuestra fe, establecidas por la Palabra de Dios, consignadas en los libros de los santos padres, e incluso aprobadas por los concilios antiguos, han sido rechazadas y perseguidas furiosamente? Dime ¿dónde están tan siquiera las huellas e indicios del orden tan santo y verdadero que los ministros y obispos antiguos han observado en la iglesia, ¿No os habéis burlado de todas sus constituciones? ¿No habéis pisoteado todos sus cánones y decretos? En cuanto a los sacramentos no puedo menos de horrorizarme al pensar cómo los habéis profanado vilmente. Por lo que hace a las ceremonias tenéis ciertamente demasiadas. Pero dado que recientísimamente su significado es inadaptado y ridículo, e incluso está corrompido por mil supersticiones, ¿qué utilidad pueden reportar a la iglesia?
Como ves, en todo este asunto no he aumentado o exagerado lo más mínimo, para poderte así acusar; pues todas estas cosas son tan notorias y manifiestas que hasta se las puede señalar con el dedo, si hubiese ojos para ver. Ahora bien, si te agrada, busca en nosotros con toda diligencia según esta regla, y sin lugar a dudas no podrás convencernos de los crímenes de que nos has acusado. En cuanto a los sacramentos, no los hemos tocado para nada a no ser con el fin de que, restituidos a la sencilla pureza de la que habían sido privados, volviesen a su antiguo honor y dignidad.
Respecto a las ceremonias las hemos abolido en su mayor parte; pero nos hemos visto obligados a hacerlo en parte porque parecían, por su gran número, degenerar en
judaísmo; y en parte porque habían ocupado el entendimiento del simple pueblo y de tal modo lo hablan llenado de supersticiones, que no podían subsistir en modo alguno sin dañar a la piedad, cuando debían por el contrario hacerla progresar. Sin embargo hemos mantenido las que, en tiempo y lugar, nos parecían suficientes.
Reconocemos de buen grado que no hemos llegado todavía a la disciplina observada por la iglesia primitiva. Pero ¿qué derecho y razón existe para que nos acusen de haberla pervertido aquellos que precisamente la han suprimido y abolido, y que mientras desean restituirla a su primer estado nos han hasta ahora hacerlo nosotros?
Por lo que toca a la doctrina, no temo apelar y referirme por entero a la primitiva iglesia. Y puesto que, a modo de ejemplo, has tocado algunos puntos, en los que te parece haber visto ocasión de difamarnos, demostraré brevemente que nos acusas injusta y falsamente de haber inventado todo aquello en contra de la autoridad de la iglesia.
Y ya que voy a concretar algunos puntos, quiero advertirte que pienses y consideres una y otra vez por qué razón reprendes a los nuestros por haber dedicado su estudio a la explicación de la escritura. Pues sabes perfectamente que con sus vigilias y con el fruto de sus estudios, han dado tan gran claridad a la Palabra de Dios que la misma envidia se avergonzaría si no les tributase por esto grande alabanza. Y la misma bondad y hombría1 demuestras cuando dices que el pueblo ha sido seducido por nosotros en cuestiones difíciles y sutiles, y como engañado por esta filosofía, de la cual recomienda San Pablo a los cristianos que se guarden2. Pero ¿cómo? ¿No recuerdas cuándo comenzaron nuestras gentes a mostrarse en público? ¿Y qué doctrina aprendían en las escuelas los que pretendían conseguir la administración en la iglesia? Tú sabes muy bien que no era sino pura sofistería3 es decir, tan retorcida4 que se podía llamar con toda justicia a la teología escolástica, una especie de magia secreta5 en la que, cuanto más la obscurecía alguien con espesas tinieblas y mejor impedía a si mismo y a los demás su comprensión con dificultades y sentencias obscuras, tanto más ingenioso y sutil era considerado en su doctrina.
Y cuando aquellos que hablan sido formados en esta tienda, querían mostrar al pueblo el fruto de su saber, ¿con qué ingeniosidades, dime, edificaban la iglesia? Pero para no desmenuzar todo punto por punto:
¿qué sermones habla entre los que se predicaban entonces por toda Europa, que fuesen modelo de la simplicidad en la que quiere San Pablo que permanezca durante toda su vida el pueblo cristiano? ¿Dónde encontrar incluso un solo sermón en el que no aprendieran las viejas chochas6 más cuentos y fantasías de los que hubieran podido contar durante un mes junto a la lumbre de sus hogares?
Pues su predicación estaba ordenada de tal forma que la parte primera la dedicaban a obscuras y difíciles cuestiones de escuela para granjearse la admiración del pobre y sencillo pueblo, y la segunda la llenaban con alegres fábulas y especulaciones divertidas para excitar y conmover alegremente su corazón. Entremezclaban algunos versículos de la Palabra de Dios, con el fin de que su majestad diese cierto color a sus sueños y fantasías; pero desde el mismo momento en que los nuestros levantaron su bandera, en un instante todas estas tinieblas han quedado entre nosotros esclarecidas.
Ahora bien, aunque vuestros predicadores se han visto en parte aleccionados e
instruidos Por los libros de aquellos, y en parte obligados, por vergüenza y por la murmuración del pueblo, a seguir su ejemplo, sin embargo no se ha conseguido todavía que dejen de sentirse atraídos fuertemente por esta antigua tontería y necedad.
De modo que si se compara nuestra manera de predicar con la vuestra, incluso con
la que consideráis vosotros mejor, fácilmente se conocerá que nos has hecho una grave injuria. Y si hubieses querido continuar citando las palabras de San Pablo, ni siquiera un niño pequeño hubiera dejado de reconocer que el crimen que nos echas en cara se debe imputar no a nosotros sino a vosotros. Pues el apóstol dice que es vana filosofía que atrae las conciencias fieles por medio de constituciones de hombres y elementos de este mundo; con las cuales habéis corrompido y arruinado la iglesia.
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La Justificación Por La Fe
Ahora bien, tú mismo nos absuelves inmediatamente después con tu mismo testimonio, cuando entre tantas enseñanzas nuestras, que te empeñas en escudriñar, no alegas una sola cuyo conocimiento no sea en gran manera necesario para la edificación de la iglesia. En primer término tratas de la justificación por la fe, que es el punto más importante y de más agria controversia entre vosotros y nosotros. ¿Es ésta una cuestión espinosa e inútil? Pues quitad su conocimiento y quedará extinguida la gloria de Jesucristo, abolida la religión, destruida la iglesia y echada totalmente por tierra la esperanza de salvación.
Por lo cual decimos que este articulo (que sostenemos ser el supremo en nuestra religión) ha sido maliciosamente borrado por vosotros de la memoria de los hombres; lo cual está amplia y manifiestamente demostrado y declarado en todos nuestros libros. Más aún: la gran ignorancia que todavía ahora reina en todas vuestras iglesias, testimonia que no nos quejamos sin razón. Pero es que, además, obras muy maliciosamente diciendo que al atribuir todo a la fe no damos lugar, ni tenemos en cuenta las buenas obras. No quiero emprender ahora una disputa completa, que requería por cierto un libro entero; pero si echases un vistazo al catecismo y a la instrucción que he escrito para los de Ginebra, cuando era ministro en su ciudad, a la primera frase, como vencido, enmudecerías1.
A pesar de esto, expondré brevemente cómo tratamos de este asunto. Primeramente mandamos que cada uno comience por el reconocimiento de si mismo: y no de una manera ligera, o para. salir del paso, sino como si presentase su conciencia ante el tribunal de Dios; y que cuando se encuentre bastante condenado por su propia iniquidad, considere al mismo tiempo la severidad de su juicio que está anunciado contra todos los pecadores. Y que confundido así y abatido por su propia miseria, se prosterne y humille delante de Dios dejando de lado toda confianza en si mismo, y gimiendo tiernamente como condenado a muerte eterna.
Después demostramos que el único puerto de salvación está en la misericordia de Dios, que se nos muestra en Jesucristo; pues sólo en Él se ha cumplido todo lo que pertenece a nuestra salvación. Dado, pues, que todos los hombres están condenados como pecadores delante de Dios, decimos que Cristo es la sola justicia: el cual con su obediencia ha borrado nuestras transgresiones; con su sacrificio la ira de Dios ha sido apaciguada; con su sangre nos ha limpiado de toda mancha; con su cruz ha sobrellevado nuestra maldición; con su muerte ha satisfecho por nosotros. De esta manera decimos que ha sido reconciliado el hombre con Dios Padre, por Cristo,
no por el mérito o dignidad de nuestras obras sino por la bondad y clemencia gratuita del Señor.
Al hecho de abrazar a Cristo por la fe y venir como a su comunión y participación, es. a lo que llamamos, según la Escritura, justicia de fe. ¿Encuentras aquí algo, Sadoleto, que puedas reprochar o contradecir? ¿Significa, sin embargo, que no atribuimos nada a las obras? Sostenemos, es cierto, que no valen nada: ni siquiera lo que vale un pelo
de la cabeza en orden a la justificación del hombre, pues la Escritura dice claramente, y en muchos pasajes, que todos estamos perdidos; y no hay nadie que en este punto no se vea atormentado por su conciencia. Esta misma Escritura nos señala como única esperanza la sola bondad de Dios, por la cual nuestros pecados nos son perdonados y se nos imputa la justicia. Y sin embargo dice que ambos son un don gratuito; para declarar finalmente que el hombre es bienaventurado sin las obras.
¿Pero qué otra cosa -preguntas tú- entendemos por "justicia", si no se tienen en cuenta las buenas obras? Si pensares detenidamente lo que la Escritura entiende
por «Justificar», no te hallarías en esta duda. Pues no la refiere a la propia justicia del hombre, sino a la clemencia y bondad de Dios, la cual otorga la justicia al pecador, aún cuando éste no la haya tenido con Él, sin imputarle ninguna injusticia. Nuestra justicia, repito, es la que describe San Pablo, a saber: que Dios nos reconcilia con Él en Cristo.
Después pone el medio, a saber: no imputándonos nuestros pecados. Finalmente
nos hace ver que somos participes de este bien por la fe, cuando afirma que el ministerio de esta reconciliación está contenido en el Evangelio. Sí, respondes tú, pero la palabra fe es una palabra que abarca mucho y cuyo significado es muy amplio.
Todo lo contrario: cuantas veces San Pablo atribuye a la fe la facultad de justificar, la limita y restringe a las promesas gratuitas de la benevolencia de Dios, desviándola absolutamente de la consideración y mérito de las obras. Por eso concluye tan a menudo: si es por la fe, no lo es por las obras; y directamente: si es por las obras, no es por la fe.
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No Se Rechazan las Buenas Obras Pero de este modo se hace injuria a Cristo, al rechazar, con el pretexto de su gracia, las buenas obras: ya que vino para hacer un pueblo agradable a Dios, realizador de buenas obras. Sobre lo cual existen muchos testimonios semejantes, con los que se demuestra que Cristo vino para que, obrando el bien, fuésemos por Él aceptables a Dios.
Nuestros adversarios apenas si tienen en sus labios otra calumnia que la de proclamar que hemos apartado a los hombres, con la predicación de la justicia gratuitamente imputada, del deseo de obrar el bien; calumnia que es tanto más frívola cuanto que a nada podemos vernos obligados ni apremiados por ella.
Decimos que las buenas obras de nada sirven para la justificación del hombre; pero les asignamos su propio lugar en la vida de los justos. Pues si el que está justificado posee a Jesucristo y Cristo no está jamás sin su Espíritu, siguese necesariamente que esta Justicia gratuita está siempre unida a la regeneración. Por lo cual si quieres comprender cómo la fe y las buenas obras son cosas inseparables, mira a Cristo, que, como dice el Apóstol, nos ha sido dado como justicia y santificación1. Por consiguiente en cualquier parte donde esté la justicia de fe -que nosotros llamamos gratuita- allí está también Cristo.
Y donde está Cristo, está presente el Espíritu de santificación para regenerar al alma con nueva vida. Por el contrario donde no existe deseo alguno de santidad e inocencia, no pueden estar ni Cristo ni su Espíritu. Y donde Cristo no está, tampoco hay justicia, ni siquiera fe, la cual no puede tomar a Cristo como Justicia sin el Espíritu de santificación. En vista, pues, de que Jesucristo -como decimos- regenera a los que justifica, para la vida bienaventurada, después de haberles apartado del reino del pecado, con el fin de llevarle al reino de la Justicia, transfigurándoles en imagen de Dios, y reformándoles por su Espíritu, para que obedezcan a su voluntad, no tienes ni sombra de motivo para quejarte de que con nuestra doctrina demos rienda suelta a los deseos de la carne2 y si no quieren decir otra cosa, todas las alegaciones que presentas, de las que sin embargo quieres abusar para destruir la justificación gratuita, mira entonces con que gran ignorancia argumentas.
San Pablo dice en otro pasaje que hemos sido elegidos en Cristo antes de la creación del mundo, para ser santos e irreprensibles en la presencia de Dios en amor3. ¿Quién se atreverá a concluir de aquí, que la elección no es gratuita, o que no es el amor la causa de aquélla? Por el contrario, así como el fin de la elección gratuita es que vivamos puramente y sin mancha delante de Dios, así también la justificación gratuita tiene esa misma finalidad.
Sin embargo mantenemos con firmeza y seguridad que no sólo ha sido justificado el hombre de una vez para siempre, sin ningún merito de sus obras, sino que su
salvación eterna depende solamente de esta justicia gratuita. Y que sus obras en manera alguna pueden ser agradables a Dios, si no son aceptadas y aprobadas por esta justicia. Por lo que al leer tus escritos me he quedado sobremanera maravillado, al ver que dices que la caridad es la primera y principal causa de nuestra salvación.
¿Quién hubiera jamás pensado, Sadoleto, oírte decir tal frase? Hasta los ciegos, en medio de sus tinieblas, están mas seguros de la misericordia de Dios, sin osar atribuir el principio de su salvación a la caridad.
Y los que conservan aunque sólo sea una chispa de la luz de Dios saben perfectamente que su salvación no está asegurada por ninguna otra cosa sino por el hecho de ser adoptados por Dios. Pues la salvación eterna es la herencia del Padre Celestial, que sólo para sus hijos ha sido preparada. ¿Habrá alguien que quiera asignar a nuestra adopción otra causa distinta de la que señala comúnmente la escritura? A saber, que el primer amor no proviene de nosotros, sino que Dios, por su propio querer y buena voluntad, nos recibió graciosa y benévolamente.
De esta tu ceguera proviene el otro error de sostener que los pecados son purgados y borrados con penitencias y satisfacciones. ¿Dónde estará, pues, esta única víctima propiciatoria, fuera de la cual no existe - según la Escritura- ningún otro sacrificio por los pecados? Busca detenidamente en toda la Santa Escritura: pues si la sangre de Cristo nos es propuesta como precio de nuestra satisfacción y purificación, ¿con qué temeridad te atreves a transferir este honor a tus obras? Y sin embargo no es preciso que atribuyas este sacrilegio a la iglesia de Dios.
Confieso llanamente que la iglesia primitiva tenia sus satisfacciones; pero no las concebían de modo que los pecadores pensaran impetrar gracia y librarse de sus pecados por medio de las mismas; sino para probar que el arrepentimiento que mostraban por fuera, no era una ficción y para borrar el recuerdo del escándalo que habían dado con sus fechorías. Y sin embargo no estaban prescritas para todos; sino sólo para aquellos que hablan caldo en algún grave y grande pecado; y las ponían en práctica con una solemne observancia.
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La Cena del Señor
En cuanto al sacramento de la Cena1 nos reprochas el querer limitar y encerrar al Señor de cielo y tierra junto con su divino y espiritual poder (que es libre e infinito) en los limites de un cuerpo natural, que tiene sus propias medidas y proporciones. ¿Pero cuando dejaréis de calumniar? Siempre hemos atestiguado abiertamente que no sólo el poder divino de Cristo, sino también su esencia, se extiende por todas partes y que no tiene limite alguno; y tú no tienes vergüenza de reprocharnos que lo hemos encerrado en los limites de un cuerpo natural ¿por qué?
Porque no hemos querido someter su cuerpo a cosas visibles y terrenas, como lo habéis hecho vosotros. Ciertamente no ignoras, si es que quieres juzgar sinceramente y de acuerdo con la verdad, cuán contrarias son estas dos cosas: quitar del pan la presencia local de Cristo: o restringir y encerrar su poder espiritual en los limites de un cuerpo natural. Y sin embargo no debías tachar calumniosamente a nuestra doctrina de novedad en esto ya que este artículo ha sido tenido siempre como cierto en la iglesia.
Pero puesto que esta discusión, por su magnitud podría llenar un libro entero, será mejor para no molestarnos que leas la carta de Agustín a Dardano 2 : en la cual encontraras que sólo y únicamente Cristo, por la grandeza y magnitud de su divinidad, excede al cielo y la tierra; y sin embargo no está diseminado según su humanidad por todo. La verdadera comunicación de su carne y de su sangre, que se manifiesta a los fieles en la Cena, nosotros la predicamos en el sentido de que Él está en nosotros: enseñando abiertamente que esta carne es el verdadero manjar de vida y esta sangre la verdadera bebida; y esto, no ya por una concepción imaginaria, con la que el alma no se satisface, sino que verdaderamente goza de su virtud. No rechazamos en la Cena la presencia de Cristo por la que nos unimos e injertamos en Él; y sin embargo, no la destruimos, con tal que no exista en ella esa circunscripción local; y que no sea ligado a estos bajos elementos el glorioso cuerpo de Cristo; y que no se finja que el pan se ha transubstanciado en el cuerpo de Cristo, para ser finalmente adorado como Cristo.
Exaltamos cuanto podemos la dignidad y el uso de este gran misterio, declarando qué utilidad nos puede reportar. Todas estas cosas las despreciáis y casi las hacéis desaparecer vosotros. Porque despreciando la bondad de Dios, que aquí se nos ofrece, y no teniendo en cuenta el legitimo uso de tal beneficio (en el cual principalmente era preciso detenerse), os basta que el pueblo, sin entender en modo alguno este misterio espiritual, admire el signo visible y carnal.
El haber rechazado esta tan grosera y material transubstanciación que vosotros establecéis; el haber también enseñado que esta tan estúpida adoración (que impedía a los espíritus humanos, detenidos en los elementos de este mundo, llegar a Cristo) era perversa e inicua; no lo hemos hecho sin estar de acuerdo con la iglesia primitiva, con la cual querrías de buen grado (aunque en vano) encubrir las abominables supersticiones que reinan todavía entre vosotros.
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Oposición de Falsos Dogmas
CONFESIÓN AURICULAR
En cuanto a la confesión auricular, hemos rechazado la constitución del papa Inocencio, que recomienda a todos que digan todos sus pecados, todos los años, a un sacerdote particular. Seria muy largo de contar, cómo y por qué razones la hemos abolido. Sin embargo, que esto sea cosa mala lo demuestra el hecho de que las conciencias de los fieles, libres de tal tormento, ya han comenzado a tranquilizarse y a confiar en la bondad y misericordia de Dios, conciencias que estaban antes en continua ansiedad y perturbación.
Nada quiero decir de las grandes plagas que la iglesia ha sufrido a causa de esta confesión, por las cuales debemos juzgar con toda justicia a la confesión como algo execrable. En cuanto a lo que hacéis ahora a este respecto, bástete saber que nada hay escrito sobre ello en los mandamientos de Cristo, ni en la constitución de la iglesia primitiva.
Hemos suprimido con decisión todos los pasajes de la Santa Escritura, que los Sofistas tratan de tergiversar, para probar esta confesión. Y las historias eclesiásticas que hoy poseemos nos muestran que no habla en esto novedades por aquel entonces, cuando todo se observaba sencillamente, en lo cual concuerdan los testimonios de los padres; es, pues, abuso y engaño el afirmar como tú afirmas, que la humildad ha sido en esto recomendada y establecida por Cristo y por la iglesia. Pues, si bien hay en ello cierta apariencia de humildad, sin embargo está muy lejos de ser placentero y agradable a Dios rebajarse so capa de humildad. Por eso San Pablo
nos enseña que la verdadera humildad es la que está conforme con la pura Palabra de Dios y se ajusta a ella (1).
INTERCESION DE LOS SANTOS
En cuanto a sostener la intercesión de los santos, si tu propósito es sólo defender que con sus continuos deseos están pidiendo el cumplimiento del Reino de Cristo, en el que está cifrada la salvación de todos los fieles, ninguno de nosotros lo duda en lo más mínimo. Por lo que nada has conseguido con detenerte tanto en este punto.
Pero se ve que no querías perder esta magnífica ocasión para zaherirnos; como si fuese opinión nuestra la de que los espíritus mueren con los cuerpos. Por lo que se refiere a nosotros, dejamos esta filosofía a vuestros soberanos obispos y al colegio de cardenales, que la han venerado muchos años y todavía la veneran ahora. Más aún, lo que añades luego (es decir, vivir voluptuosamente entre goces, sin tener en cuenta la vida futura y mofarse de nosotros pobres hombrecillos, que trabajamos con tanto afán por que progrese el Reino de Dios) eso va muy bien con su modo de ser.
Y en cuanto a la intercesión de los santos nos detenemos en este punto: que no hay maravillas si no las inventan. Pues para ello ha sido necesario desbrozar innumerables supersticiones que hablan conseguido abolir totalmente de la memoria de los hombres la intercesión de Cristo: se invocaba a los santos como si fueran dioses: se les atribula lo que era propio de Dios; y no había gran diferencia entre la veneración de aquellos y la idolatría que justamente todos detestan y maldicen.
PURGATORIO
En lo referente al purgatorio, sabemos que ninguna iglesia antigua hacia memoria de los muertos en sus plegarias: sino que éstas eran raras, sobrias y resumidas en pocas palabras; finalmente estas plegarias no pretendían, al parecer, más que testimoniar brevemente su caridad para con los difuntos. Pero todavía no hablan nacido los expertos maniobreros(2) que han forjado vuestro purgatorio y que luego lo han extendido tan ampliamente y lo han elevado a tal altura y esplendor que la mejor parte de vuestro reino se sostiene y apoya en él.
Tú conoces por ti mismo, que error tan monstruoso le ha precedido; no ignoras cuántas hechicerías ha engendrado voluntariamente la superstición para engañarse a si mismo; conoces cuántas imposturas y engaños ha forjado en este punto la avaricia, para chupar y apropiarse los bienes del pueblo sencillo; ves perfectamente qué peste ha padecido por esto la verdadera religión. Pues lo peor -por no decir nada del servicio de Dios, destruido por él- está ciertamente en que cuando los hombres, envidiándose unos a otros, sin ningún mandamiento de Dios, han querido ayudar a los difuntos, han despreciado los verdaderos oficios de caridad, que son sin embargo tan recomendados y requeridos.
La Iglesia Maculada Con Falsos Dogmas
No puedo soportar, Sadoleto, que, al atribuir tales sacrilegios han sido introducidos, sin darse nadie cuenta, con grandísimo y horrible oprobio de la Cruz de Cristo. Y nos lamentamos de que la libertad cristiana haya sido anegada y suprimida por tradiciones humanas. Por eso hemos mandado que las iglesias, que Dios nos ha confiado, fuesen depuradas y limpias de semejante peste.
Laméntate, ahora, si te es posible, de que hayamos injuriado a la iglesia, de que nos hayamos atrevido a violar sus venerables constituciones. Por cierto que ya es voz común, y por eso nada ganarlas con negarlo, que en todo esto la iglesia primitiva está de acuerdo con nosotros; y que es tan contraria a vosotros, como lo somos nosotros mismos. Recuerdo en este momento que en no se qué pasaje dices, como queriendo disminuir su importancia, que si vuestra conducta es desordenada sin embargo no se sigue de ahí que nos tengamos que separar de la santa iglesia.
En verdad difícilmente se podrá conseguir que el afecto del pueblo no se sienta grandemente alejado de vosotros y de vuestro partido, después de ver tanta crueldad, avaricia, rapiñas, intemperancias, insolencia y tantos ejemplos de toda clase de licencias y maldades como cometen continuamente las gentes de tu calaña. Pero ninguna de estas cosas nos ha inducido a intentar lo que por una necesidad mucho mayor hemos emprendido; necesidad que ciertamente hemos sentido al ver cómo estaba extinguida la claridad de la verdad divina, sepultada la Palabra de Dios, abolida por un profundo olvido la virtud y eficacia de Cristo, y enteramente subvertido el oficio de pastor.
Sin embargo, de tal manera se mostraba la impiedad que apenas si habla algún punto de doctrina cristiana que estuviese puro y sin mitificación; o alguna ceremonia sin error, y alguna parte del servicio divino exenta de supersticiones. Quienes rechazan tales iniquidades, ¿combaten contra la iglesia, o tratan más bien de ayudarla, al verla de este modo afligida y oprimida por todas partes? ¡Y todavía te atreves a invocar vuestra obediencia y humildad, es decir que la reverencia a la iglesia os impide trabajar por evitar todas estas iniquidades! ¿Qué tendrán de común un cristiano y esta obediencia contrahecha que sirve y obedece a los hombres, despreciando la Palabra de Dios?
¿Qué tendrá de común con esta humildad contumaz y rebelde, que sólo reverencia y honra a los hombres, despreciando la majestad de Dios? Dejemos a un lado estos falsos títulos de virtud, de los que no alardean sino para encubrir y ocultar los vicios.
Vamos al asunto sin rodeos. Bien que haya entre vosotros humildad tal, que, para empezar por lo más sencillo, honre a cada uno según su dignidad; de tal modo que atribuya a la iglesia la suprema dignidad y reverencia que en definitiva ha de atribuirse sin embargo a Cristo, su Cabeza; bien, que haya una obediencia tal que nos lleve a escuchar a nuestros superiores y, a los que tienen autoridad sobre nosotros, de tal modo que atribuye sin embargo todas nuestras acciones a la única regla de la Palabra de Dios; bien que haya una iglesia tal que no procure sino fijarse en la Palabra de Dios con religiosa humildad y mantenerse bajo su obediencia.
Pero, dirás tú, ¿qué arrogancia tenéis vosotros, al vanagloriaros de que la iglesia está sólo con vosotros, y queriendo sin embargo privar de ella al resto del mundo? En verdad, Sadoleto, no negamos que sean iglesias de Cristo las iglesias que vosotros presidís; pero decimos que el papa, junto con toda la tropa de sus falsos obispos, que han ocupado entre vosotros el lugar de pastores, son lobos cruelísimos y peligrosos, que no han tenido hasta ahora otro deseo sino el de destrozar y destruir el Reino de Cristo hasta deformarlo y reducirlo completamente a ruinas y desolaciones.
Y sin embrago no somos los primeros en quejarnos de esto. ¡Con qué vehemencia flajelaba San Bernardo al papa Eugenio(1) y a todos los obispos de su época! ¡Y cuánto más tolerable era el estado de su siglo que el de ahora! Pues hoy día se ha llegado al más alto, al último grado de malicia, de suerte que estas contrahechas sombras de obispos (en los cuales piensas que está toda la firmeza o ruina de la iglesia) ya no pueden soportar más ni sus propios vicios, ni el remedio de los mismos; por cuyos vicios decimos que la iglesia ha sido derribada y mutilada cruelmente; y que poco ha faltado para quedar arrasada y saqueada; lo cual sin duda alguna hubiera sucedido de no haberlo impedido la bondad singular de Dios, de suerte que en los lugares ocupados por la tiranía del papa a penas si aparecer algunas huellas y vestigios esparcidos y deshechos, por los cuales puedes juzgar que las iglesias yacen allí medio sepultadas. Y no te debe sonar a cosa extraña, ya que oyes a San Pablo proclamar que la sede del Anticristo estará precisamente en medio del santuario de Dios(2).
Obediencia a la Palabra Divina
Este solo y único aviso ¿no nos debe despertar para estar atentos a no dejar que se introduzcan en la iglesia engaños y decepciones bajo el nombre y amparo de ella? Bien -respondes-, pero sea lo que fuere de esto, una cosa sin embargo está escrita:(1) haced lo que os digan, mientras estén sentados en la cátedra de Moisés.
Pero dado que desde la cátedra de vanidad engañan al pueblo con sus sueños, escrito está: guardaos de su levadura(2). No nos incumbe a nosotros, Sadoleto, privar a la iglesia de su derecho, que no sólo le ha sido concedido por la benignidad de Dios, sino que ha sido vengado y mantenido severamente con varias amenazas y maldiciones.
Pues del mismo modo que Dios no envía los pastores para gobernar la iglesia con un poder licencioso e irregular, sino que les limita a una cierta forma de deberes de la que no pueden excederse, así se ha encomendado a la iglesia avisar y vigilar si se comportan fielmente los que, bajo esta condición, se han hecho cargo de ella(3). Por lo cual, o no nos detendremos mucho en el testimonio de Cristo, o no nos será licito quitar y disminuir, aunque sea muy poco, la autoridad de aquellos a los que ha adornado con tal preeminencia y dignidad. Incluso te equivocas miserablemente si crees que el Señor ha colocado sobre su pueblo tiranos que gobernasen todo según su fantasía, por el hecho de dar tan gran poder a los que envía a anunciar el Evangelio.
Te engañas al no ver que su poder está limitado ya antes de concedérselo. Confesamos, pues, que es necesario escuchar a los pastores de la iglesia, como a Cristo mismo; sobre todo a los que ejercen debidamente el oficio que se les ha encomendado. Este oficio se les otorga no para establecer y hacer cumplir con arrogancia decretos que ellos inventan sin ton ni son, sino para anunciar religiosamente y de buena fe las palabras recibidas de la boca del Señor. Pues con estas restricciones ha limitado Cristo la reverencia que querría se tuviera a los apóstoles.
San Pedro no se atribuye, ni permite a los demás otra cosa, sino que al hablar a los fieles, lo hagan conforme a las palabras del Señor(4). El apóstol Pablo ensalza grandemente este poder espiritual que poseía; pero con tal moderación que dicho poder sólo sirve para edificación, no tiene ni apariencia de dominio, y finalmente no ha sido concedido para apagar y dominar la fe(5). Que se gloríe ahora vuestro Papa, cuanto quiera, de la sucesión de San Pedro. Pues, aún cuando la obtenga, no conseguirá que el pueblo cristiano le deba obediencia alguna por ello, sino sólo en la medida en que guarde él mismo la fe en Jesucristo, sin apartarse de la pureza del Evangelio.
La iglesia de los fieles, al colocaros en la forma y modo que limita todo vuestro poder,
no os llama ciertamente a otro orden, sino a aquel en que quiso el Señor que permaneciereis. Y éste es ese orden establecido entre los fieles por la voz del Señor: que el profeta que está encargado de la instrucción, debe ser juzgado por la asamblea de los oyentes(6). Y el que pretenda librarse de este orden, deberá primeramente borrarse de la lista de los profetas.
El Cristiano Debe Conocer Su Fe
Pues bien; en este instante se me presenta una gran oportunidad para reprocharte la ignorancia que tienes. Pues entre las diferencias y controversias de la religión, no dejas a la asamblea de fieles que pueda hacer otra cosa sino apartar los ojos de la verdad, sometiéndose al juicio de hombres más sabios y experimentados. Pero como lo cierto es que el alma que depende de cualquier otra persona fuera de Dios, se halla sometida a Satanás ¿qué desdichados y miserables no serán quienes tienen para su fe tales comienzos y principios? De aquí deduzco, Sadoleto, que tienes una teología demasiado ociosa y estúpida, parecida a la de quienes jamás han experimentado con pleno conocimiento asalto alguno en sus creencias.
De otro modo no pondrías al cristiano en lugar tan resbaladizo y peligroso, en el cual no podría permanecer ni tan siquiera un instante, si le colocasen en él un momento. Preséntame no ya un hombre cualquiera, sino incluso el más tonto y rudo porquerizo: si pertenece al rebaño de Dios, es necesario prepararle para el combate que Dios depara a todos los fieles. Pronto se le presentará el enemigo bien pertrechado; ya se le acerca, emprende combate; y se trata de un enemigo bien a punto, para quien ningún poder de este mundo resulta inexpugnable. ¿Con qué se protegerá este pobre miserable? ¿De qué armas dispondrá para no verse aniquilado al primer asalto?
No existe más que una sola espada con la que podremos combatir: la Palabra de Dios(1). Por consiguiente el alma, desprovista de la Palabra de Dios, se encuentra completamente indefensa a merced del diablo, para que la mate. Ahora dime: ¿No será el primer objetivo del enemigo arrebatar la espada de Cristo a quien combate? Y el medio para quitársela, ¿no es ponerle en la duda de si aquello que medita es Palabra de Dios o de los hombres?
¿Qué harás tú con este pobre miserable en tal trance? ¿Le dirás que busque por todas partes a esos sabios, de los que recibía reposo y alivio apoyándose en ellos" Pero el enemigo ni siquiera le dejará tomar un poco de aliento con este subterfugio. Pues una vez que le ha forzado a poner toda su confianza en los hombres, le acosará y trastornará cada vez más, hasta confundirlo completamente. De esta manera o será fácilmente oprimido, o mirará directamente al Señor.
Lo cierto es que la fe cristiana no debe fundamentarse en el testimonio de los hombres ni apoyarse en opiniones dudosas, ni tampoco mantenerse con la autoridad de los hombres, sino que ha de estar grabada en nuestros corazones por el dedo de Dios viviente, de modo que ninguna seducción de error la pueda borrar y aniquilar. Nada, pues, tiene de Cristo quien no lleve en sí estos comienzos y principios, a saber: que Él es un Dios que ilumina nuestros pensamientos para conocer su verdad, la cual Él rubrica y sella en nuestros corazones por medio de su espíritu, confirmando y asegurando nuestras conciencias con la seguridad de su testimonio.
Esta verdad consiste en la firme y -hablando con propiedad- plena certidumbre que
tanto nos recomienda San Pablo, la cual hace que estemos seguros, sin tener ya duda o desconfianza alguna, y al mismo tiempo no queda como en suspenso o vacilante entre los altercados de los hombres para ver qué partido seguirá. Y aunque todo el mundo se le oponga, ella sin embargo permanece firme y segura en su opinión.
De aquí proviene y nace el poder de juzgar que atribuimos a la iglesia y que nosotros queremos mantenérselo inviolablemente. Pues el mundo se conmueve y estremece por diversas opiniones; pero en cambio el alma fiel no se ve nunca abandonada de tal modo que deje de seguir el recto camino de salvación.
Sin embargo, no es que quiera imaginar una fe tan perfecta que no pueda errar ni equivocarse nunca en la elección del bien y del mal; ni fingir o soñar una repugnancia y contumacia tal, que desprecie y rechace a todos los hombres, en virtud de su pretendida preeminencia y superioridad, sin tener en cuenta ningún juicio u opinión, ni hacer diferencia entre los sabios y los ignorantes, Antes al contrario confieso que los mismos que tienen la conciencia más pura y devota, no llegan a comprender todos los misterios de Dios, sino que frecuentísimamente en las cosas más evidentes ellos no ven ni gota. Y esto lo hace la providencia del Señor, a fin de acostumbrarles a una gran modestia y sumisión de espíritu. Más aún; afirmo que tienen en tal estima y reputación a todas las gentes de bien, como más razón a la iglesia que muy a pesar suyo se separarían de un hombre que supieran tiene la verdadera inteligencia de Cristo y de su Palabra; de modo que a veces prefieren suspender su juicio antes que disentir a la ligera.
Mantengo solamente que, mientras se apoyen en la Palabra de Dios, jamás se verán tan sorprendidos que se vean arrastrados a la perdición; y que la verdad de la Palabra les resulta tan cierta y manifiesta que ni los ángeles ni los hombres les podrán separar de ella. Por lo cual dejemos de lado esta frívola simplicidad, que, según dices, tan bien le parece a la gente ruda e ignorante, y que consiste en mirar tanto a esos sabios personajes y atenerse a sus decisiones, pues, a parte de que ninguna certidumbre religiosa por más obstinada que se la quiera imaginar, merece el nombre de fe si se apoya en algo fuera de Dios, ¿habrá alguien que llame fe a no sé qué dudosa opinión, la cual no sólo se consigue y con dificultad por arte diabólico, sino que además fluctúa y vacila por su propia naturaleza, como veleta a mereced de los vientos, y de la que apenas se puede esperar otra cosa sino que se pierda finalmente y se desvanezca?
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Reformadores y Romanistas
Respecto a la falsa acusación (contraria por cierto a lo que tú mismo conoces) de que, al rechazar este tiránico yugo, no hemos pretendido sino darnos rienda suelta, entregándonos a una vida desarreglada y licenciosa, sin que pensemos siquiera (Dios lo sabe) en la vida futura, vamos a enjuiciar vuestra conducta comparándola con la nuestra.
Es cierto que somos pecadores y que abundan los vicios entre nosotros, y que muchos de nosotros caemos frecuentemente y desfallecemos muchas veces; sin embargo, la vergüenza me impide tener el atrevimiento de vanagloriarme (hasta donde la verdad lo permite) de ser nosotros mejores que vosotros y esto en todos los aspectos. Contando con que no pretendas, por ventura, exceptuar a Roma, hermosísimo santuario de toda santidad, la cual, una vez sacada de quicio y deshechas las barreras de auténtica disciplina y pisoteada la honestidad, está tan rebosante de toda clase de maldades que a duras penas podrá hallarse en toda la historia un ejemplo semejante de tan gran abominación.
Yo creo que tendremos que someter nuestra vida o. tantos peligros y daños, no sea que, siguiendo su ejemplo, seamos constreñidos a una continencia más severa y estrecha. Por lo que a nosotros respecta, no rehusamos observar hoy la disciplina establecida en los antiguos cánones, ni mantenerla y guardarla con diligencia y buena fe. Por el contrario siempre hemos sostenido que esta desdichada ruina de la iglesia provenía tan sólo de haber perdido, por las superfluidades demasiados licenciosas, todas sus fuerzas y todo su vigor, y de haber permanecido enteramente abatida.
Pues es necesario que el cuerpo de la iglesia, para mantenerlo perfectamente unido, esté entrelazado con la disciplina, del mismo modo que un cuerpo se halla reforzado con nervios. Y yo os pregunto ¿cómo la reverenciáis o la deseáis vosotros? ¿Dónde están aquellos antiguos cánones, con los cuales, como con su freno, se mantenía a los obispos y sacerdotes en el cumplimiento de su oficio y de su deber? ¿Cómo se elige a los obispos entre vosotros? ¿Con qué pruebas? ¿Con qué examen? ¿Qué diligencia o previsión se emplea? ¿Cómo se les nombra para el deber de su estado? ¿Con qué liturgia o solemnidad? Tan sólo para cumplir, se le toma el juramento de que ejercerán el oficio de pastor; pero, según se ve, con el único fin -sin fijarnos en otras maldades- de hacerlos perjuros.
Pues apoderándose, como por la fuerza, de los cargos de la iglesia, les parece
que tienen un poder que no está sometido a ley ninguna, y piensan que con este poder todo les está permitido; de suerte que podemos creer fácilmente que los piratas, bandidos, ladrones y salteadores(1) tienen una policía mejor y que observan las leyes mejor que todos vosotros.
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El Reformado Ante el Juicio de Dios
Y puesto que al final nos has citado como criminales ante e¡ Juicio de Dios, induciendo a alguien para que defienda nuestra causa, no temo, por mi parte, citarte a ti ante ese mismo juicio de Dios. Por lo que se refiere a la doctrina, nuestra conciencia está tan segura de ella que no teme a este juez Celestial, de quien sabe que proviene aquélla.
Y sin embargo no se detiene en esas pequeñas burlas, con las que has querido divertirte tan a despropósito. Porque ¿hay cosa más inoportuna que inventar, después de haberse presentado ante Dios, yo no sé qué injurias y luego fabricarnos una defensa poco apropiada, que decae inmediatamente? Cuantas veces se acuerdan los cristianos de aquel día, sus corazones se llenan de una tan gran reverencia que les permite burlarse ociosamente de este modo.
Dejando, pues, de lado tales lindezas, consideremos un poco aquel día, pues los corazones de los hombres deben estar siempre preparados para cuando llegue; él nos recuerda que nada hay que sea -y con razón- tan deseable para los fieles, como terrible y temible para los profanos y para los que desprecian a Dios. Escuchemos aquel sonido de trompeta, que las mismas cenizas de los muertos oirán desde sus sepulcros.
Levantemos nuestros corazones y nuestros pensamientos hasta este juez, que con sólo el resplandor de su rostro descubrirá todo lo que está oculto en la oscuridad y pondrá al descubierto todos los secretos del corazón humano; y con sólo el Espíritu de su boca confundirá a los malvados. Piensa, pues, ahora qué razones válidas aducirás para defenderte a ti y a los tuyos; pues nuestra causa, por estar fundada en la verdad de Dios, no carecerá de una buena y justa defensa.
Respecto a nuestras personas prefiero no decir nada, pues nuestra salvación no dependerá de malas artes o de un pleito, sino más bien de una humilde confesión y de suplicante plegaria. Pero respecto a la causa de nuestro ministerio, cada uno de nosotros podrá hablar como sigue: Por mi parte, Señor, he experimentado lo difícil y costoso que es sobrellevar frente a los hombres la acusación envidiosa que me oprimía en la tierra.
Pero con la misma confianza con que siempre he desafiado y apelado a Tu tribunal, con esa misma comparezco ahora delante de Ti; pues sé que impera en Tu juicio la verdad, y confortado con esta confianza, me he atrevido primeramente a emprender y he logrado completar -sostenido con su instrucción- todo lo que han hecho por mí en Tu iglesia.
Me han acusado de dos gravísimos crímenes: de herejía y de cisma. Pero resulta que llaman herejía al haberse atrevido a contradecir las constituciones observadas por ellos. ¿Qué iba a hacer? Oía de Tu misma boca que no existe otra luz de la verdad para conducir nuestras almas por el camino de vida, sino la que procedía de Tu Palabra. Ola que todo lo que inventaba el espíritu humano por si mismo sobre Tu majestad, veneración de Tu Nombre, y misterio de la religión no era sino vanidad.
Sabía que era una tremenda y sacrílega osadía el hecho de estar sembradas por la iglesia, suplantando a Tu Palabra, doctrinas inventadas por el cerebro de los hombres. Y por cierto que, cuando volvía mi vista hacia los hombres, todo me parecía contradictorio: Los que se tenían por guardianes de la fe, ni comprendían Tu Palabra ni se preocupaban de ella. Abusaban del pueblo sencillo y le engañaban con extrañas constituciones y se mofaban de él con no sé qué bavosidades.
Para este pueblo la mayor veneración de la Palabra consistía en reverenciarla de lejos como algo a lo que no se tiene acceso, absteniéndose de toda investigación sobre ella. Y tanto por esta perezosa estupidez de los pastores, como por la simpleza del pueblo, todo estaba lleno de perniciosos errores, mentiras y supersticiones.
Es cierto que te llamaba Dios; pero, transfiriendo a otros la gloria que se te debe en propiedad se fabricaban y tenían tantos dioses cuantos querian adorar como santos y patronos. También a Tu Cristo le adoraban como a Dios y le daban el nombre de Salvador; pero en el aspecto en que principalmente tenla que ser honrado se quedaba prácticamente sin gloria, pues despojado de su virtud y poder, permanecía oculto entre la tropa de santos, como otro cualquiera. Nadie pensaba verdaderamente que el único sacrificio era el que te ofreció en la cruz, por el que nos reconcilió contigo.
Nadie pensaba, ni apenas soñaba, en su sacerdocio eterno, ni en la intercesión y mediación que dependían de Él. Nadie descansaba en su sola justicia. En cuanto a la confianza en la salvación que está prescrita y fundada en Tu Palabra casi habla desaparecido. En cambio tenían como cosa cierta que si alguno, protegido por la benignidad y justicia de Tu Hijo, concebía en si mismo una cierta y segura esperanza de salvación, habla que atribuirlo a su loca arrogancia y .como ellos decían- a temeraria presunción.
Existían algunas malignas opiniones que corrompían por completo las primeras constituciones de la doctrina que Tú nos hablas dado en Tu Palabra. La sana inteligencia del Bautismo y de tu Santa Cena, había sido corrompida con diversas mentiras. Y sobre todo, a pesar de poner todos su confianza en las buenas obras (no sin ofender gravemente a Tu misericordia) y de esforzarse en merecer con ellas Tu gracia, conseguir Tu justicia, purgar sus pecados y propiciarte (todo lo cual borra y destruye la virtud de la cruz de Cristo), sin embargo, no conocían cuáles eran las buenas obras.
Pues, como si no hubieran sido instituidas para justicia por Tu ley, se habían forjado algunas inútiles tonterías para tenerte propicio y favorable; en las cuales se complacían de tal modo que despreciaban la regla de la verdadera justicia que nos has impuesto por medio de Tu ley.
Las tradiciones humanas hablan alcanzado tanto poder que si no hablan arrancado del todo la confianza que se tenia en Tus mandamientos, por lo menos habían disminuido grandemente su autoridad. Pero Tú, Señor, me has iluminado con la claridad de Tu Espíritu, para reflexionar sobre esto: has puesto ante mi Tu Palabra, como una antorcha, para darme a entender cuán malo y pernicioso es todo esto; finalmente has tocado mi corazón para que justamente y con todo derecho las aborreciese.
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El Reformado Busca la Verdadera Iglesia
En cuanto a darte razón de la doctrina, Tú sabes lo que existe en mi conciencia: es decir, que jamás he pensado en salir me de los limites que, según conocía, habían sido trazados a Tus servidores. Y esto, que sin lugar a dudas lo había recibido de Tu boca, he procurado enseñarlo fielmente a Tu iglesia. Y en verdad es cierto que he procurado principalmente y he trabajado mucho para que, alejados y deshechos los nubarrones que antes la oscurecían, apareciese con toda claridad la gloria de Tu bondad y justicia; y para que, suprimidos todos los disfraces, resplandeciesen en toda su plenitud las virtudes y beneficios de Tu Cristo.
Pues pensaba que no era razonable que todas estas cosas permaneciesen en tinieblas; ya que hablamos nacido para pensarlas y meditarlas juzgaba que no se debían enseñar de un modo descuidado y a la ligera; pues cualquier razonamiento es muy inferior en comparación de la grandeza de estas cosas; y no dudaba en retener largamente a los hombres en ellas ya que de ellas dependía por completo su salvación. Pues es imposible que nos engañase aquella Palabra de Dios que dice: "Esta es la vida eterna: que te conozcan el solo Dios verdadero, y a Jesucristo
al cual has enviado".
En cuanto al reproche que me han hecho, de que me he separado de la iglesia, no me siento culpable en absoluto. A no ser que se considere traidor a aquel que, al ver a los soldados confusos y extraviados, corriendo de un lado para otro, y abandonando sus puestos, levanta la bandera de capitán y les llama y les pone de nuevo en orden. Pues todos los tuyos, Señor, estaban tan extraviados que no sólo no podían oír lo que se les ordenaba, sino que parecía que ya no se acordaban de su capitán, ni de la batalla, ni del juramento que hablan hecho.
Y para apartarles de este su error, no he levantado una bandera extraña, sino aquel Tu noble estandarte que debemos seguir si queremos alistarnos en Tu pueblo. Y en este punto, los mismos que debían mantener en orden a estos soldados y que les hablan llevado al error, se han alzado contra mi; y porque he persistido con
gran constancia, se me han enfrentado con gran violencia; y han comenzado a amotinarse de modo tal que se encendió el combate hasta romper la unión. Pero ¿de qué lado está la culpa? Tú, Señor, lo debes decir y decidir.
Por mi parte, siempre he demostrado con palabras y con hechos cómo deseaba la unión y la concordia: pero me refería, no obstante, a aquella unión de la Iglesia, que comienza en Ti y acaba en Ti mismo. Pues cuantas veces nos has recomendado esta paz y unión, has declarado al mismo tiempo que Tú eras el único vinculo para conservarla y mantenerla. En cuanto a mí, si hubiese querido tener paz con los que se vanagloriaban de ser los primeros en la iglesia y los pilares de la fe, la hubiera tenido que comprar con la renuncia de la verdad. Pero preferí más bien exponerme a todos los peligros del mundo antes que condescender con un pacto tan execrable.
Pues tu mismo Cristo nos anunció que si el cielo debía perecer juntamente con la tierra, Tu Palabra sin embargo tenía que permanecer eternamente(2). Ahora bien jamás pensé que para guerrear contra tales señores, tuviera que estar en discordia con Tu iglesia. Pues nos hablas advertido por medio de Tu Hijo y de Tus apóstoles que se sublevarían algunos, pero que con ellos en modo alguno debíamos consentir. No se refería a hombres extraños cuando predijo que serían lobos rapaces y falsos profetas, sino a los mismos que se harían pasar por pastores, ordenándome que me guardase bien de ellos(3).
Si, pues, IRI me mandaba guardarme de ellos, ¿les habría de dar yo la mano? Y Tus apóstoles nos hablan anunciado que no habla en Tu iglesia enemigos mas mortales que los que estaban en medio de nosotros, encubiertos con el titulo de pastores(4).
¿Por qué, pues, iba a temer apartarme de aquellos a los que, según me decían Tus apóstoles, debía tener por enemigos tuyos? Diariamente contemplaba los ejemplos de Tus profetas, los que -según vela- habían sostenido tantas disputas con los sacrificadores y falsos profetas de su tiempo; los cuales, por cierto, eran, como está demostrado, los primeros de la iglesia en el pueblo de Israel. Sin embargo, no se considera a Tus profetas como cismáticos, a pesar de que, para enderezar el servicio de Dios casi destruido, no se habían sometido a los falsos profetas que los
rechazaban con todas sus fuerzas. Permanecían, pues, en la verdadera unión de la Iglesia, a pesar de que los malvados sacrificadores les colmaron de toda clase de maldiciones, y a pesar de que se les juzgó indignos de ser comprendidos en el número no ya de los santos pero ni siquiera de los hombres.
Así, pues, confirmado con su ejemplo, he persistido de tal modo en este propósito, que no me han asustado en modo alguno ni sus denuncias, tachándome de cismático, ni sus amenazas; y siempre, con firmeza y constancia, me he opuesto a quienes, bajo pretexto de pastores, oprimían más que tiránicamente a Tu pobre iglesia. Sentía en mi interior un gran deseo de verla unida; a condición de que fuese tu verdad el vinculo de esta concordia.
Los tumultos que de ello se han seguido no se me deben imputar a mí, ya que no he sido yo el que los ha provocado. Tú conoces perfectamente, Señor, y el mismo hecho lo atestigua ante los hombres, que no he buscado sino apaciguar cualquier controversia por medio de Tu Palabra, con el fin de que ambas partes unidas en espíritu procurasen el establecimiento y extensión de Tu Reino. Tú sabes también que no he rehusado, incluso exponiendo mi cabeza (si es que me puedo vanagloriar) el establecimiento de la paz en la Iglesia.
¿Qué hacían, en cambio, nuestros enemigos? ¿No apelaban de repente y furiosamente al fuego, a la horca y a las espadas? ¿No creían que su único recurso consistía en las armas y en la crueldad? ¿No rechazaban todas las condiciones de paz? Y así sucedió que esta disputa, que sin esos hechos se podía haber apaciguado amigablemente, se ha inflamado y se ha convertido en una guerra. Y aunque en una tan gran perturbación se haya opinado diversamente, sin embargo, me siento ahora libre de todo temor, ya que estamos ante Tu sede judicial, en la que la equidad unida
a la verdad no puede « gar sino según inocencia.
He aquí, Sadoleto, la defensa de nuestra causa; no la que, para abrumarnos, has querido inventar, sino la que todos los hombres de bien reconocen ahora como verdadera, y que en aquel día aparecerá con claridad ante todas las criaturas.
Y respecto a los que, instruidos por nuestra predicación, vendrán con nosotros a este mismo juicio no les faltará qué responder para defenderse; pues cada uno de ellos tendrá, bien preparada, la defensa que sigue...
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¿Qué Dirá el Convertido a la Fe Evangélica?
En cuanto a mí, Señor, siempre he confesado públicamente la fe cristiana, como la había aprendido desde mi juventud; de la cual no he tenido desde un principio otro conocimiento, sino el que era entonces comúnmente observado. Se nos suprimía, o al menos se nos ocultaba Tu Palabra que debía resplandecer como una lámpara ante todo Tu pueblo. Y a fin de que nadie desease tener de ella un conocimiento más claro, habían persuadido a todos que era mucho mejor encomendar la investigación de esta divina y secreta filosofía a unos pocos y pedirles a éstos las respuestas y oráculos; y que el pueblo no debía entenderla más profundamente, sino tan sólo someterse a la obediencia de la Iglesia.
Y, sin embargo, era tal la enseñanza que al principio me habían dado, que no me instruían lo bastante en el recto servicio de Tu deidad; ni me hacían concebir suficientemente una esperanza cierta de salvación; ni me dirigían bien en el deber de una vida cristiana. Es verdad que hablan aprendido a adorarte a Ti solo por mi Dios; pero, al ignorar la verdadera razón de Tu adoración, tropezaba de repente apenas comenzaba a practicarla. Es verdad que creía, como me lo hablan enseñado, que habla sido rescatado de la obligación de muerte eterna con la muerte de Tu Hijo; pero yo me imaginaba que esta redención era de tal naturaleza que su virtud nunca llegó hasta mí.
Es cierto que ola hablar del día futuro de la resurrección; pero me horrorizaba su recuerdo, como si fuese algo funesto. Y no es que fuese éste un conocimiento forjado en mi cerebro particular; sino que lo habla aprendido de la doctrina que predicaban entonces comúnmente los maestros y doctores del pueblo cristiano. Los cuales predicaban tu clemencia para los hombres; pero sólo con los que se hacían dignos de ella. Finalmente dignificaban tanto la justicia de las obras que sólo era recibido en gracia el que se hubiera reconciliado contigo por medio de sus obras.
Sin embargo no cesaban entretanto de decir que todos éramos miserables pecadores que caímos frecuentemente por debilidad de la carne. Y luego decían que Tu misericordia era para todos el común puerto de salvación; pero para obtenerla no habla otro medio, sino satisfacer por nuestros pecados. Y después de tal satisfacción se nos mandaba: primero, que pidiésemos humildemente, después de haber confesado todos nuestros pecados a un sacerdote, perdón y absolución; después que borrásemos para contigo la memoria de los mismos; finalmente que añadiésemos, para suplir nuestra deficiencia, sacrificios y solemnes mortificaciones.
Y, sin embargo, decían que eras un juez riguroso, que vengabas severamente la iniquidad; mostraban qué temible debla ser Tu mirada. Por esto nos encomendaban que nos dirigiésemos primeramente a los santos para que con su intercesión consiguiesen volverte propicio y benigno. Y a pesar de haber puesto en práctica al pie de la letra todas estas cosas, si bien yo confiaba poco en ellas, sin embargo me encontraba bien lejos de una absoluta tranquilidad de conciencia.
Pues cuantas veces descendía hasta mi mismo, o levantaba mi corazón a Ti, me sorprendía un horror tan tremendo que no habla purificaciones ni satisfacciones que pudiesen librarme de él. Y cuanto más de cerca me contemplaba, tanto más sentía mi conciencia torturada por agudísimos aguijones; de suerte que no me quedaba otro contento y alivio que engañarme a mi mismo, olvidándome de mí. Pero como no encontraba nada mejor, seguía siempre el mismo camino que habla emprendido; cuando he aquí que apareció una forma de doctrina bien distinta, no para apartarnos de la profesión cristiana, sino para restituirla a su auténtico origen y devolverle su pureza, libre de toda suciedad.
Y yo, ofendido por esta novedad, apenas si quise prestarla oídos; confieso que al principio la combatí con valentía y denuedo. Y porque los hombres son por naturaleza obstinados y tercos en mantener las instituciones que han recibido una vez, por eso me molestaba mucho confesar que durante toda la vida me crié en error e ignorancia. Y del mismo modo habla en ello algo que me impedía creer a aquellas gentes: la reverencia y veneración a la iglesia.
Pero después de escucharles algunas veces y permitir que me enseñasen, comprendí perfectamente que era vano y superfluo el temor de que hubiese sido aminorada la majestad de la iglesia; pues demostraban que existía una gran diferencia entre apartarse de la misma y abandonarla por un lado, y esforzarse por otro en corregir los vicios con los que esa misma iglesia está manchada y contaminada. Hablaban de la iglesia con toda honradez y demostraban que su principal intención consistía en la unión de la misma.
Y para que no pareciese que querían, bajo el nombre de iglesia, imaginar cualquier falsa cosa, demostraban que no era extraño que los cristianos obtuviesen en ella el lugar de pastores; sobre este punto nos ponían diversos ejemplos por los cuales aparecía claramente que el único fin al que tendían era la edificación de la iglesia; y que en esto su causa era la misma que sostenían muchos servidores de Jesucristo que nosotros llamamos santos.
De suerte que si ellos hablaban libre y abiertamente contra el Papa de Roma, considerado y estimado como vicario de Cristo, sucesor de San Pedro, y jefe de la iglesia, lo hacían dando esta razón: que estos títulos no eran sino vanos fantasmas, con los cuales no era recto deslumbrar los ojos de los fieles hasta tal punto que no se atrevían a mirar ni a discernir la verdadera realidad de cada cosa; y que el Papa se había elevado a tan gran altura y magnificencia cuando el mundo estaba encadenado como por un profundo sueño de ignorancia y de deslumbramiento(1); y que en verdad no habla sido constituido como príncipe y jefe de la misma ni por la boca de Dios, ni por una legitima vocación de la iglesia, sino que se habla elegido él mismo por su propia autoridad y propio querer. Sobre todo porque la tiranía conque oprimía al pueblo, era inaguantable si queríamos que el Reino de Cristo se mantuviese salvo e integro entre nosotros.
***
Actitud Romanista y Reformista
AJ, pues, Sadoleto, compara, si te parece conveniente, esta defensa nuestra con la que tú pusiste en boca de tu hombre sencillo. Seria una maravilla que no supieses cuál tenlas que preferir. Pues sin lugar a dudas está en gran peligro la salvación de aquél cuya única defensa está apoyada y fundamentada, como sobre un gozne, en la afirmación de que observó siempre la Religión que le habían transmitido sus antepasados y predecesores. Por esta misma razón, también los judíos, turcos y sarracenos se librarían del juicio de Dios. Rechacemos, pues, esta vana tergiversación ante el tribunal que ha de ser erigido no para aprobar la autoridad de los hombres, sino para mantener la verdad de un solo Dios, siendo reprobada la universal carne de vanidad y de mentira(1).
Que si yo quisiera, como tú, valerme de mofas sarcásticas, ¡qué imagen no podría pintar, no ya de un papa o de un cardenal o de cualquier otro venerable prelado de vuestro bando (y tú sabes perfectamente de qué color pueden ser pintados, hasta por un hombre poco ingenioso) sino incluso de un cierto doctor aunque fuese el más primoroso de todos los vuestros(2). Ciertamente ya no me será necesario, para condenar a este doctor, aducir conjeturas dudosas o imputarle crímenes falsos, pues no faltarían muchos suficientemente probados y evidentes, con los que se verla demasiado abrumado.
Mas para que no parezca que caigo en el mismo defecto que reprendo en ti, desistiré de comportarme de esta forma. Les suplicaré únicamente que reflexionen alguna vez; y que piensen y mediten si alimentan con fidelidad al pueblo cristiano, al cual no se puede dar otro pan que no sea la palabra de su Dios. Y que no se complazcan demasiado en representar su papel con el aplauso y consentimiento del pueblo, pues todavía no han llegado a su desenlace, en el cual no tendrán, por cierto, un puesto para vender sin riesgo sus falsas mercancías y engañar las conciencias fieles con su mentiras e invenciones; sino que permanecerán en pie(3) o caerán, únicamente por la voluntad de Dios, cuyo juicio tendrá en cuenta solamente su equidad inmutable y no la voz ni el favor del pueblo; y no indagará tan sólo los actos exteriores, sino que juzgará de la sinceridad o malicia interior del corazón.
No quiero juzgar de todos en general. Sin embargo ¿quién de vosotros, cuando se trata de luchar contra nosotros, no siente remordimientos de conciencia de que, al obrar así, trabaja más para los hombres que para Dios? En todo el transcurso de tu carta nos tratas con demasiada crueldad; pero en el último párrafo viertes a boca llena todo el veneno de tu maldad contra nosotros. Y aunque estas injurias en nada nos afectan, y con anterioridad ya respondimos parcialmente a ella, te ruego me digas qué te ha pasado por la cabeza para llegar hasta reprocharnos el ser avaros.
¿Crees que los nuestros han sido tan tontos que no se han dado perfecta cuenta, ya desde el principio, de que el camino que emprendían era totalmente opuesto a toda ganancia y provecho carnal? ¿No veían ellos que, al reprender y censurar vuestra avaricia, estaban por eso mismo necesariamente obligados a vivir con continencia y de una manera razonable, si no querían servir de burla hasta para los niños pequeños?
¿No se cerraban ellos mismos el camino para conseguir riquezas y abundancia de
bienes, al enseñar que el medio mejor de corregir la avaricia era despojar a los pastores de esta abundancia y superfluidad de riquezas para que, estando libres de ellas, tuviesen mayor cuidado de la iglesia? ¿Qué riquezas existía entonces a las que poder aspirar?
¿Pues qué; no era el camino más corto y más fácil para alcanzar riquezas y honores la aceptación inmediata ya desde el principio de los pactos y condiciones que vosotros ofrecíais? ¡Con qué sumas no hubiera vuestro papa comprado entonces, y todavía comprarla hoy, el silencio de muchos! Si tenían la más mínima ambición de enriquecerse, ¿por qué, entonces, prefirieron permanecer pobres perpetuamente (habiéndoles quitado cualquier esperanza de aumentar sus bienes) en vez de hacerse ricos en un instante y sin gran dificultad? ¿Será, tal vez, la ambición la que les retiene...?
Todavía no comprendo por qué razón nos han afrentado, ya que los primeros en emprender esta causa, no podían esperar otra cosa que ser rechazados y repudiados vergonzosamente de todo el mundo; y los que vinieron después, se expusieron consciente y deliberadamente a innumerables ultrajes y afrentas de todos.
Y esos engaños e intrigas domésticas ¿dónde están? No hallaréis entre nosotros sospecha alguna. Habla más bien de estas cosas en vuestro santo colegio, donde todos los días os agitáis entre intrigas.
Único Fundamento: La Palabra de Dios
Me veo obligado, por poner punto final, a prescindir de tales calumnias. En cuanto a lo que dices de que, pretendiendo hacer en todo nuestro capricho, no hemos encontrado ni un solo personaje en toda la iglesia a quien estimar digno de fe, ya hemos demostrado suficientemente que no es si-no pura calumnia. Pues si bien ponemos la Palabra de Dios por encima de cualquier juicio de los hombres, y hemos finalmente concedido que los concilios y los santos padres tienen cierta autoridad, con tal de que estén conformes a la Palabra de Dios, sin embargo juzgamos a estos concilios y padres dignos tan sólo del honor y del puesto que deben tener razonablemente después de Cristo.
Pero el más grave de los crímenes que nos imputas consiste en afirmar que nos hemos esforzado en pervertir y dividir la esposa de Jesucristo. Si fuese esto cierto, tú y el mundo entero podíais con razón considerarnos como desahuciados. Sin embargo no puedo admitir en nosotros este crimen si antes no sostienes que la esposa de Cristo ha sido destrozada por quienes desean entregarla a Cristo como casta virgen, por quienes están poseídos de un santo celo en conservarla integra, por quienes, corrompidos por diversas concupiscencias(1) la devuelven a la fe marital, y por quienes finalmente no temen discutir con todos los adúlteros que sabían que trataban de corromper su honestidad.
¿Podíamos nosotros haber hecho algo distinto de lo que hicimos? ¿No habla sido la honestidad de la iglesia corrompida, y, lo que es peor, violada con doctrinas extrañas y peregrinas constituciones, por gentes de vuestro bando? ¿No la habíais prostituido
violentamente con innumerables supersticiones? ¿No estaba manchada con esta tan repugnante manera de adulterio? Por cierto que por no haber soportado que escarnecierais de esta manera el santísimo y sagrado altar y cámara nupcial de Cristo, se nos acusa de haber dividido a su esposa.
Pero yo digo que esta división, de la que nos acusas falsamente, es más que visible entre vosotros y no sólo respecto a la iglesia sino incluso respecto a Jesucristo, a quien vemos habéis dividido vosotros.¿Cómo, pues, se juntará la iglesia con su Esposo, no pudiendo tenerlo íntegro y sano? ¿Y dónde está la salud de Cristo, si la gloria de justicia, santidad y sabiduría ha sido trasladada a otra parte? En verdad, antes de que encendiésemos la guerra, todo estaba perfectamente tranquilo y pacífico.
La pereza de los pastores y el asombro y estupidez del pueblo habían logrado que en lo referente a la religión apenas hubiera entre ellos ninguna diferencia. En cambio con qué obstinación disputaban los sofistas en las escuelas. Por lo cual no tienes posibilidad de decir que vuestro reino estuviese tan pacífico, ya que esa tranquilidad se debia al hecho de que Cristo había enmudecido, y estaba casi olvidado. Confieso que, después de la nueva manifestación del Evangelio, se han provocado diversas y fuertes disputas, anteriormente desconocidas.
Sin embargo no seria razonable achacar todo esto a los nuestros, quienes, durante todo el decurso de su acción sólo han pretendido, restableciendo la verdadera religión, agrupar en una perfecta e integra unión a las Iglesias que se hallaban dispersas y divididas por discordias y disensiones. Y para no contar cosas antiguas, ¿no han rehusado hace poco que se restableciese la paz en la iglesia? En vano emprenden todos los caminos posibles, cuando vosotros procuráis todo lo contrario. Y puesto que ellos piden una paz, en la que floreciese el Reino de Cristo; y vosotros juzgáis que está perdido para vosotros lo que ha sido ganado para Cristo, nada tiene de extraordinario que os opongáis con todo vuestro poder.
Y así halláis el modo de destruir en un solo día todo lo que han construido ellos para gloria de Cristo durante muchos meses. No quiero abrumarte con largos discursos pues en una sola frase puedo resumir mi pensamiento: Los nuestros están dispuestos a dar razón de su doctrina y no rehusarán doblegarse si se les convence con razones.
¿De quién depende ahora el que la iglesia no goce de una auténtica paz y de la luz de la verdad? Ahora puedes ir llamándonos sediciosos que no dejamos en paz a la iglesia. Por el contrario he aquí que, no olvidando nada que pudiera servir para agravar nuestra causa, te complaces de nuevo en arrojar sobre nosotros toda la malevolencia por haberse estos últimos años suscitado varias sectas, pero piensa con qué equidad o bajo qué pretexto lo dices. Pues si por esto somos dignos de odio, también hubiera sido con todo derecho odiado en la antigüedad el nombre cristiano por los infieles e incrédulos.
Deja, pues, de atormentarnos y perseguirnos en este punto, o confiesa abiertamente
que hay que hacer desaparecer de la memoria de los hombres la religión cristiana, pues es la causa de que se engendren tantos tumultos y sediciones en el mundo. Por lo cual no debe perjudicar a nuestra causa el que Satán haya procurado por todos los medios impedir la obra de Cristo. Mucho mas conveniente y necesario hubiera sido observar quién es el que ha procurado atacar todas estas sectas que han venido naciendo.
Lo cierto es que nosotros solos hemos sostenido todo este gran peso, mientras vosotros dormíais en la ociosidad. Haga el Señor que tú, Sadoleto, y todos los tuyos comprendáis por fin que el único vinculo de unión eclesiástica consiste en que Cristo nuestro Señor (que nos ha reconciliado con Dios, su Padre) nos aparta de esta indisciplina, uniéndonos en la sociedad de su cuerpo para, de esta manera, mantenernos unidos en un solo corazón y pensamiento por su sola Palabra y por su Espíritu.
Estrasburgo, 1 Sept. 1539.
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