mercredi 22 mai 2013

CHIESA NEL V° SECOLO

Il Scriba Valdemir Mota de Menezes leggere il testo qui sotto e raccomanda come una lettura illuminante sulla storia della Chiesa. Fonte: http://digilander.libero.it/longi48/Chiesa%20Antica.html LA CHIESA NEL V° SECOLO Nel V° secolo all’interno della Chiesa si verificano significativi cambiamenti. Fino al 397, morte di S.Ambrogio, la Chiesa è uniforme in tutto l’impero romano che forma da coagulante e polo catalizzatore. Successivamente si vengono a creare delle tensioni tra le chiese di area orientale e quella di area occidentale. Cause che favorirono la separazione tra Occidente e Oriente: - Diversificazione linguistica: dal greco, quale lingua ufficiale della Chiesa, si passa al latino. La Chiesa di occidente incomincerà ad ignorare il greco e introduce al proprio interno il latino. Papa Damaso (380) introduce nella liturgia occidentale la lingua latina e incaricherà S.Girolamo a tradurre dal greco la Bibbia; nasce così la Vulgata. Il cambio di lingua modifica il linguaggio e il modo di intendere le cose; si verifica un cambio di cultura e di prospettiva. Così l’Occidente diventa latino, mentre l’Oriente rimane bizantino. - Frattura politica: tra Oriente e Occidente si crea una spaccatura. L’Occidente come impero finisce subito, mentre l’Oriente dura fino al XV° secolo. Questo ha dei riflessi culturali. Si crea, inoltre, una forte avversione dell’Occidente nei confronti dell’Oriente che, a fronte delle invasioni barbariche e al fine di attenuarne la pressione, dà a questi barbari degli stanziamenti in Occidente. Di conseguenza gli orientali pensano che il lungo permanere dei barbari in Occidente abbia anche imbarbarito culturalmente l’Occidente. Ma ciò che crea una più profonda spaccatura tra Occidente ed Oriente sono le rivalse delle varie etnie che compongono l’Impero romano in Occidente e rivendicano le proprie peculiarità linguistiche e culturali in opposizione all’Impero. - Diversa struttura ecclesiale: la scomparsa dell’imperatore da Roma, fa si che il potere imperiale passi nelle mani della Chiesa occidentale, che diventa, pertanto, la naturale erede del vuoto politico lasciato dall’imperatore, che nel 330 aveva lasciato Roma per Costantinopoli. Roma, dunque, e con lei l’occidente ritiene di poter decidere autonomamente, abbandonando di fatto l’imperatore e il suo impero, ma avendone, però, ereditato le strutture e la cultura. - Per l’Oriente, invece, la struttura ecclesiale è quadripatriarcale (Alessandria, Antiochia, Costantinopoli e Gerusalemme), mentre Roma era il quinto patriarcato. - E’ radicato, inoltre, il concetto che le decisioni devono essere sempre comunitarie e concordi. Non si poteva, dunque, pensare che la sola Roma potesse decretare per tutti. Pertanto, ne esce che l’Oriente è comunitario, mentre l’Occidente è monarchico. Un conflitto, che portò ad una prima sospensione di rapporti tra Occidente ed Oriente (404-415), avvenne in occasione dell’esilio di Giovanni Crisostomo, che si era scagliato pubblicamente contro l’imperatrice Eudossia per essersi questa impossessata indebitamente di un latifondo e, nel contempo, contro il vescovo Teofilo di Alessandria chiamato a rispondere per delle vessazioni da lui prodotte contro un gruppo di monaci. Teofilo convocò un sinodo di 36 vescovi egiziani, tranne sette, detto “Sinodo della Quercia”, sobborgo nei pressi di Calcedonia. Questo sinodo condannò Crisostomo con ventinove capi di accusa falsificati. Crisostomo, conoscendo la faziosità del sinodo, per ben tre volte rifiutò di presentarsi e venne, pertanto, deposto nell’agosto del 403 ed esiliato dall’imperatore Arcadio in Bitinia, da dove fu richiamato quasi subito per una sommossa della popolazione di Costantinopoli, di cui Crisostomo era il patriarca. L’anno successivo (9 giugno 404) seguì un secondo esilio a Cucuso, Bassa Armenia, per contrasti insorti con l’imperatrice Eudossia e l’imperatore Arcadio, che lo aveva destituito dalle funzioni ministeriali. A questi esili si oppose la Chiesa di Occidente che dichiarò di non potersi più sentire in comunione con quelle d’Oriente fintanto che Crisostomo non fosse stato ripristinato nelle sue piene funzioni. Tale sospensione di rapporti durò circa 11 anni, dal 404 al 415. Un altro episodio, che provocò il primo vero sisma tra Occidente e Oriente, durato 50 anni (484-534) riguarda l’Editto dell’Unione o Enotico. Dopo il Concilio di Calcedonia (451) le discussioni sulla duplice natura di Cristo erano ben lungi dall’essere sopite e l’impero rischiava di dividersi su questioni religiose. Nei decenni successivi i vari imperatori cercarono di ricondurre l’impero all’unità religiosa, ma inutilmente. Pertanto, nel 482, l’imperatore Zenone, su consiglio del vescovo di Costantinopoli, Acacio, elaborò e prescrisse una formula di unione, cioè l’Enotico, che avrebbe dovuto essere accolta da tutti. Essa rappresentava una sorta di compromesso teologico. Esso si riprometteva di non togliere autorità al Concilio di Calcedonia (451), ma di darne una interpretazione che doveva accontentare le tendenze monofisite moderate. In sostanza, questo Enotico, o Editto dell’Unione (482), mise di fatto tra parentesi il Concilio di Calcedonia. Papa Felice III si oppose respingendo l’Enotico e, in un sinodo romano, Acacio venne messo al bando e scomunicato e così tutti quelli che condividevano le sue idee, compreso, quindi, anche l’imperatore Zenone, benché il suo nome non venisse citato. Al di là di questi episodi, comunque, era il clima che ormai era cambiato. L’Oriente ha prospettive contemplative e ieratiche della realtà; l’Occidente ha una visione pratica e concreta della realtà. Questi due modi di vedere si riflettono molto bene nelle rispettive liturgie: coreografiche e ricche di simbolismo quelle orientali; sobrie e concrete quelle occidentali. Anche le architetture delle chiese orientali e occidentali differiscono tra loro e riflettono il proprio modo di vedere: a pianta rettangolare quelle occidentali; a pianta circolare quelle orientali. Quelle occidentali, con la loro forma rettangolare allungata sul cui fondo c’è il tabernacolo, richiamano l’atteggiamento del cristiano in cammino verso Cristo. Mentre quelle orientali, con la loro forma circolare, tendono a mettere in comunione cielo e terra e invitano il cristiano alla contemplazione del mistero di Dio. Se il IV° secolo è dominato dalle questioni trinitarie (consustanzialità tra Padre, Figlio e Spirito Santo, tre persone in un unico Dio; con lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, con la questione conseguente del Filioque), il V° secolo fu caratterizzato dalla questione cristologia: come si accordano l’umanità e la divinità di Cristo? La questione fu tutta orientale, lì, infatti, erano i contemplativi. L’Occidente, invece, si preoccupava di aspetti più concreti: che cosa significa per me incontrare Cristo? Che cosa succede in questo incontro? Che cosa devo fare? Anche qui si rispecchiano i due modi diametralmente opposti di porsi: l’uno contemplativo, l’altro pratico e concreto. FORMAZIONE DEI PATRIARCATI (chiese madri) Fino al 150 le comunità cristiane vivevano in piena autonomia e senza sostanziali coordinamenti. Ma con il rapido diffondersi del cristianesimo e il sorgere dei problemi di fede ed eresie gnostiche, che investivano ampie aree della chiesa, nonché la questione, molto sentita, della trasmissione dell’autenticità apostolica, fecero si che delle comunità si rivolgessero alle comunità considerate di origine apostolica e, quindi, di genuina ortodossia. Questo orientamento, tuttavia, fu ben presto superato a causa delle distanze geografiche che si frapponevano tra le numerose comunità ecclesiali locali con le poche comunità a fondazione apostolica. Pertanto, le chiese, per le loro attività pastorali e amministrative, adottarono la suddivisione amministrativa dell’Impero. Nell’ambito di queste vaste regioni si formarono, per prassi storica e non giuridica, tre punti saldi di riferimento: Alessandria, Antiochia e Roma, attorno a cui gravitano vaste aree territoriali. Fanno capo ad : - Alessandria: Egitto e regioni confinanti. - Antiochia : tutto l’ambiente siriano-aramaico - Roma : l’intero occidente latino L’unica grande area in cui non c’era ancora un patriarcato era quella greca. Il vuoto si riempì ben presto, quando Costantino l’11 maggio del 330 elevò la piccola Bisanzio a residenza imperiale. Essa, agli inizi, era solo una sede episcopale secondaria. In quanto sede imperiale, ristrutturata e ampliata, fu denominata Costantinopoli e assunse, quindi, importanza politica e amministrativa di primo grado. L’elezione di Costantinopoli a sede imperiale dà subito importanza alla sede vescovile, che diventa la sede di consultazione degli imperatori per le questioni di fede e religiose in genere, divenendo, in tal modo, anche un importante centro per le delibere religiose imperiali. Sarà proprio il Concilio di Costantinopoli (381), nel III° canone, a decretare “il primato d’onore per il vescovo di Costantinopoli dopo il vescovo di Roma, perché tale città è la Nuova Roma”. Fu così che dopo il Concilio di Costantinopoli, l’importanza della sede vescovile venne legata all’importanza politica della città. Si pose, quindi, una questione di primato: per la Chiesa orientale esso spettava al vescovo la cui città nell’ordinamento politico era preminente sulle altre. In Occidente, invece, prevale il criterio teologico del “Tu es Petrus…”. Decadute nel VI° e VII° secolo Alessandria e Antiochia, rimangono a contendersi il primato solo Roma e Costantinopoli. Costantinopoli rivendica il primato sia perché lì vi è la sede imperiale e sia perché vi sono sepolte le spoglie di S.Andrea che fu discepolo prima di Pietro e, quindi, Costantinopoli ha da essere prima di Roma. Il canone 28 del Concilio di Calcedonia (451) stabilisce i privilegi del patriarcato di Costantinopoli sugli altri patriarcati di Antiochia ed Alessandria, divenendo così seconda solo a Roma, ma prima in Oriente. Tale posizione, sancita dal canone 28, venne contestata da Roma perché, in tal modo, venivano ridotti i poteri degli altri due patriarcati. Infine, a seguito del crollo di Costantinopoli sotto l’invasione araba del VII° e VIII° secolo, Roma abbandona l’imperatore e si rivolge ai Franchi, potenza occidentale nascente. Con ciò Roma si stacca definitivamente dall’impero d’oriente e dalla Chiesa d’Oriente, separazione che troverà definitiva rottura nel 1054 in seguito alla questione del Filioque. QUESTIONI ESEGETICHE E CRISTOLOGICHE Tra il 390 e il 420 prendono piede due orientamenti teologici differenti: antiocheno e alessandrino, riconoscibili tra loro in riferimento a due aspetti precisi: esegetico e cristologico. Aspetto esegetico: come si legge la Scrittura? La Chiesa d’Oriente, Alessandria, privilegia l’aspetto spirituale di tipo cristologico, per cui si tende a vedere in tutta la Bibbia riferimenti diretti o allegorici a Cristo; mentre la chiesa antiochena, occidentale, privilegia l’aspetto letterale, cioè del testo così come sta scritto. E’ di tipo storico. Accetta il senso tipologico solo per quelle parti dell’A.T. che sono attestate nel N.T. o nella catechesi liturgica battesimale. Aspetto cristologico: la scuola antiochena quando pensa a Gesù, pensa ad una dualità: alla natura umana e a quella divina. Ma il pensare degli antiocheni è concreto, per cui quando si pensa alla natura umana, la si pensa come sussistenza umana (upÒstasij= sostanza, sussistenza); quando si pensa a quella divina, la si pensa come sussistenza divina (upÒstasij= sostanza, sussistenza). Il problema che si pone è come spiegare l’unità delle due nature. Si fa ricorso ad una immagine, quella della inabitazione: il Cristo, Figlio di Dio, è uno perché inabita nell’uomo Gesù, vero uomo, come nel suo tempio. Ne nasce, in tal modo un prÒswpon di unione, cioè un modo di presentarsi come un unico soggetto. Per cui si può schematicamente dire che Gesù Cristo, nuovo Adamo è: VERO UOMO (natura umana + sussistenza umana) In un prÒswpon di unione per inabitazione VERO DIO (natura divina + sussistenza divina) La scuola alessandrina ha una visione dinamica della persona di Gesù: egli è il Verbo di Dio che diventa uomo per noi. Non si pone, quindi, il problema della duplice natura umana e divina, ma si preoccupa di evidenziare come quel Verbo che, prima dell’incarnazione era da sempre presso il Padre, ora ha assunto la carne umana; quindi c’è identità tra il Verbo prima dell’incarnazione e quello dopo l’incarnazione. Tale visione dinamica, dunque, si svolge in due tempi ed è sintetica: prima dell’incarnazione, il Verbo di Dio è presso Dio da sempre; dopo l’incarnazione, il Verbo di Dio è tra noi, grazie all’incarnazione. Prima era presso il Padre; ora proviene da Maria. Per cui alla domanda: chi è Gesù Cristo? L’alessandrino risponde: è il Verbo di Dio che si fa carne. Sinteticamente tale formula potrebbe essere espressa in tal modo: Da sempre nella condizione divina presso il Padre L’IDENTICO VERBO DI DIO E’ Nel tempo nella condizione umana, da Maria Vergine Questa duplice visione cristologica presentava dei punti deboli. Per guanto riguarda gli antiocheni, non si era chiarito bene l’unione delle due nature, come cioè questa avvenisse. Quanto agli alessandrini che, invece, spiegarono bene l’unicità del Verbo incarnato, non riuscirono chiarire bene la distinzione delle due nature. Questa scarsa chiarezza dottrinale portò ad una serie di questioni a cui si dettero varie risposte non sempre dottrinalmente corrette. Nacquero così le prime eresie di tipo cristologico. Le eresie cristologiche, a seconda dell’interpretazione che dettero alla figura di Gesù, si distinsero in docetismo (Gesù ha solo un corpo apparente; si nega, quindi la corporeità di Gesù); apollinarismo (Il Verbo di Dio incarnandosi prende il posto dell’anima; in tal modo viene a distruggersi la vera umanità che è un composto di anima e corpo); monofisismo (in Gesù vi è una sola natura: quella divina che ha assorbito in se la natura umana); Il grosso problema cristologico, tuttavia, scoppiò nel 428 quando Nestorio divenne patriarca di Costantinopoli. Nestorio, monaco antiocheno, grande asceta e desideroso di esattezze teologiche, non accolse bene l’ormai consolidato titolo, soprattutto presso il popolo, di Qšotokoj assegnato a Maria che, a suo avviso, invece, doveva essere riconosciuta soltanto come Cristotokoj, poiché essa, in realtà, genera soltanto l’uomo in cui abita Dio. Le affermazioni di Nestorio si diffusero rapidamente e giunsero ad Alessandria, dove era patriarca Cirillo. Tra i due sorse una fitta corrispondenza teologica con reciproche messe in guardia dal cadere in errore, ma non si giunse a nessuna conclusione. Della controversia tra i due era costantemente informato papa Celestino che, dopo aver convocato un sinodo, dichiarò inaccettabili le affermazioni di Nestorio e gli dette dieci giorni di tempo per ritrattarle. Esecutore della notifica fu lo stesso Cirillo che ne approfittò per aggiungere alle consegne papali dodici anatemismi. Nestorio reagì duramente e a ragione: il suo avversario era diventato anche suo giudice?! Per cui egli ricorse all’imperatore Teodosio II e chiese un concilio che, con il consenso papale, venne concesso. Concilio d i E f e s o: 22 giugno – 31 luglio 431 Il concilio venne aperto il 7 giugno del 431 ad Efeso, ma nel giorno di apertura mancarono tutti i vescovi antiocheni che con varie scuse tardarono il loro arrivo poiché per loro la situazione era fortemente imbarazzante: da un lato si trovavano in difficoltà per difendere Nestorio dato che questi si era spinto troppo oltre; dall’altro non condividevano le definizioni di Cirillo. Questi, vedendo il notevole ritardo, iniziò il concilio con il 22 giugno, senza la presenza di 43 vescovi antiocheni e senza quella dei legati papali. Nestorio venne convocato per ben tre volte, ma, vista la composizione dell’assemblea esclusivamente alessandrina, rifiutò. Venne, pertanto, dichiarato eretico e destituito, mentre a Maria fu confermato il titolo di Qšotokoj. Il 26 giugno arrivarono finalmente gli antiocheni capeggiati dal vescovo Giovanni. Vedendo il concilio già aperto, si irritarono e si rifiutarono di prendervi parte. Fecero una loro riunione a parte e scomunicarono Cirillo e Anemone, vescovo di Efeso, per scorrettezze procedurali. Controbatterono con la scomunica gli alessandrini. Giunsero nel frattempo i legati papali che confermarono il Qšotokoj, ma respinsero le reciproche scomuniche. I due capi delegazione, Cirillo e Giovanni, si resero ben presto conto che la situazione era insostenibile, per cui, al fine di uscirne bene tutti, affidarono al vescovo Acacio di Berea l’elaborazione di una formula unione (433), in cui Cirillo rinuncia a parlare di unione naturale, mentre gli antiocheni accettano il Qšotokoj e abbandonano la categoria dell’Inabitazione a favore di quella dell’unione, per spiegare l’unità di Cristo. Il Monofisismo La definizione nel 433 della formula di unione con cui si concludeva il tormentato concilio di Efeso, non portò certo tranquillità all’interno della Chiesa. Infatti, Eutiche, archimandrita di Costantinopoli, non convinto sulla questione delle due nature di Cristo, affermava che prima dell’unione c’erano due nature distinte, ma dopo l’unione una sola natura. Infatti, l’umanità di Cristo si trova rispetto alla sua divinità come la goccia d’acqua nell’oceano: viene totalmente assorbita. Un sinodo, convocato nel 448 dal patriarca di Costantinopoli, Flaviano, condannò come eretico Eutiche e lo scomunicò. Questi non si rassegnò e per il tramite di Crisafio, ministro di Teodosio II, chiese ed ottenne un secondo concilio ad Efeso nel 449 che per le scorrettezze e la illeberalità con cui fu gestito non approdò a nulla. Infatti in tale concilio venne escluso il Vescovo Teodoreto di Ciro, uno dei maggiori rappresentanti della scuola antiochena e sfavorevole ad Eutiche. Inoltre fu impedito ai legati papali di leggere il Tomus Leonis ad Flavianum. Il concilio fu condannato dallo stesso papa Leone I che lo definì “non concilium sed latrocimium ephesinum” e aderì, invece, alla proposta di Flaviano, di aprire un nuovo concilio che si tenne a Calcedonia. Concilio di Calcedonia: 8 ottobre – 1 nov. 451 Morto Teodosio II, salì sul trono Marciano con sua moglie Pulcheria, ben disposti verso il papa, e aprono il concilio a Calcedonia con presidenza papale. Si posero subito due questioni: - Problema delle persone che favorirono il “latrocinium ephesinum” e primo fra tutti Di oscuro, che aveva collaborato per la riammissione di Eutiche e la condanna di Flaviano. - Problema cristologico: come rispondere al monofisismo di Eutiche. In tal senso venne letto il Tomus Leonis ad Flavianum che venne approvato da tutti con le famose parole “Petrus per Leonem locutus est”. Nella prima seduta si affrontò la questione Dioscoro, che troverà una soluzione nella terza seduta. Nella seconda seduta viene affrontata la questione dottrinale che trovò delle difficoltà, per cui venne affidata ad una apposita commissione l’elaborazione di una formula da sottoporre all’assemblea. Nella terza seduta viene ripresa la questione del personale. Dioscoro, convocato per tre volte al concilio, rifiutò e, pertanto, venne dichiarato deposto per il suo comportamento. Gli altri vescovi furono riammessi dietro pentimento, mentre un gruppo di 13 vescovi dell’Egitto chiese una sospensiva in attesa che venisse eletto il loro patriarca, per timore, poi, di non trovarsi in contrasto con lui. Nella quinta seduta venne votata e promulgata una formula di fede, preparata tra la quarta e quinta seduta. Formula di Calcedonia “… uno e medesimo Cristo signore unigenito (Cirillo); da riconoscersi in due nature (cristologia antiochena), senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili; non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona (Tomus Leonis ad Flavianum) e ipostasi; Egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, unigenito, Dio, verbo e signore Gesù Cristo (Cirillo) …” La formula, suddivisibile in due parti: una di tipo descrittivo si riallaccia ad Efeso e alla tradizione; e una di tipo dottrinale, sopra riportata. Come si può rilevare vengono recepite le formulazioni di Cirillo (cristologia alessandrina); della tesi papale (Tomus Leonis ad Flavianum) e quella della scuola antiochena. Le conseguenze del Concilio di Calcedonia Il concilio di Calcedonia non portò affatto la pace tra le varie fazioni; infatti, le diatribe teologiche proseguirono in modo pericoloso per l’impero che rischiava di frantumarsi. Infatti l’unità dell’impero non era concepibile senza l’unità religiosa che, praticamente, non era raggiungibile. Per alcuni decenni, in vari modi, vi si cimentarono gli imperatori, ma senza esito alcuno. Nell’ambito di questi sforzi va inserito il tentativo di Zenone (482) che cercò di formulare un documento che idealmente doveva sancire la pace religiosa e, quindi, salvaguardare l’unità dell’impero. Zenone, su consiglio del vescovo Acacio di Costantinopoli, formula un documento di unione, l’ EnÒtikon, che doveva essere accolto da tutti. Era in sostanza una formula teologica di compromesso che in realtà scontentò un po’ tutti, anche se guadagnò gli egiziani e i siri, di tendenze monofisite, ma venne, invece, respinta dal papa Felice III (483-492) perché in essa si rinunciava alla formula calcedonese, basata prevalentemente sul Tomus Leonis ad Flavianum e cara all’occidente. Un ulteriore tentativo, quindi fallito. Queste diatribe teologiche insanabili si radicarono profondamente nelle singole comunità e gruppi etnici che portarono ben presto, nel corso del VI sec., alla frantumazione della chiesa d’Oriente. Le cause, tuttavia, non vanno ricercate esclusivamente nelle questioni teologiche, ma esse hanno prevalentemente costituito l’occasione per una scissione dall’impero, tanto che un autore copto contemporaneo, tale Thager, afferma che “lo scisma di religioso ebbe solo lo spunto”. Quindi, due furono fondamentalmente le cause della frantumazione: - Teologiche: per le questioni cristologiche; - Politico-etniche: infatti, ogni chiesa aveva un suo precipuo carattere etnico, cioè era legata ad un popolo con sue caratteristiche linguistiche e culturali che cercava di affrancarsi dall’impero. Inoltre, ogni chiesa è caratterizzata da una propria liturgia che ne costituisce l’identità e la specificità. Esse si sono sostanzialmente cosi distribuite: - Chiesa melchita: accetta Calcedonia (due nature in una persona) - Chiesa nestoriana: due nature distinte e incomunicabili tra loro; Dio opera nell’uomo Cristo così che Gesù è solo uno strumento nelle mani di Dio. - Chiese giacobite, copte,etiopi, armene: sono chiese monofisite eutichiane: prima dell’unione due nature; dopo l’unione la natura umana è assorbita da quella divina. - Uniati: costituiscono raggruppamenti di dissidenti delle precedenti chiese; si uniscono a Roma dal XVI sec. – Per questo sono detti Uniati. Tutte queste chiese sono gerarchicamente strutturate, fornite di un capo supremo a cui sono sottoposti i vescovi, non sposati, i sacerdoti, che, invece, possono essere anche sposati, e i laici. Un ruolo importante ricopre al loro interno il monachesimo da cui provengono i vescovi. Tutte queste chiese riconoscono il valore dei sacramenti che, però, variano quanto al numero all’interno di ogni chiesa. Ognuna di queste chiese è caratterizzata da una sua propria liturgia in cui si riconoscono e che costituisce la loro specifica identità. Pertanto, per queste comunità la liturgia è un elemento importante che ne definisce la personalità.

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