mercredi 22 mai 2013

FORMAZIONE DEL CRISTIANESIMO

Il Scriba Valdemir Mota de Menezes leggere il testo qui sotto e raccomanda come una lettura illuminante sulla storia della Chiesa. Fonte: http://digilander.libero.it/longi48/Chiesa%20Antica.html LA FORMAZIONE DEL CRISTIANESIMO Il cristianesimo nascente si distingue in tre grandi aree: - Area Paolina; - Area dell’Asia minore; - Area di Roma Le comunità dell’area paolina sono caratterizzate da una spiccata coscienza della loro novità e la loro struttura è di tipo carismatico. Quelle dell’area dell’Asia minore, legate a Giovanni, mantengono ancora legami con il giudaismo e celebrano la Pasqua con il calendario ebraico, il 14 di Nisan; per questo sono chiamate “quarta decimana”. Infine, l’altra grande area di Roma fu importante sia perché Pietro e Paolo vi trovarono il loro martirio, sia perché in questa città vi era la presenza di due importanti e grosse comunità ebraica e cristiana. La loro presenza provocò degli scontri e dei tumulti per l’attivismo della comunità cristiana, così che l’imperatore Claudio scaccerà da Roma i proseliti di entrambe le comunità (49/50 d.C.). Sarà proprio in questo frangente che Aquila e Priscilla (At. 18,2) si incontreranno con Paolo e ne diventeranno sostenitori e amici. La prima letteratura cristiana Fino al 150 si sviluppò una prima letteratura cristiana, di cui si ricordano le seguenti 7 opere: Lettera di Clemente ai Corinti (96); Le sette lettere di Ignazio; lettere di Policarpo, accoppiata al martirio di Policarpo; Scritti anonimi: Didaché (100 d.C.); lettere di Barnaba (pseudonimo); Pastore di Erma. Organizzazione delle prime chiese Inizialmente le prime chiese erano numericamente piccole con una organizzazione semplice e incipiente; ciò si rileva anche a livello ministeriale: struttura semplice e non ancora ben differenziata: si enumera la categoria degli episcopi, presbiteri e diaconi. Le loro funzioni, però, non sono ancora ben distinte e delineate e i confini dell’una si sormontano con quelle delle altre. Sono figure ancora ben lontane da quelle nostre attuali. I Simboli di Fede I simboli di fede ereditati dalla tradizione sono due: il Simbolo Apostolico e il Simbolo Niceno-costantinopolitano. Il Simbolo Apostolico si forma tra il 100 e il 150 d.C. – La formulazione che abbiamo oggi è documentabile a partire dal IV° secolo. Come si è formato tale Simbolo apostolico? Già nelle primissime comunità cristiane si trovavano in uso brevi formule comuni di fede che ruotavano tutte attorno a Cristo e attraverso le quali veniva codificato ed espresso il comune credo. Esse si possono riunire in tre gruppi : brevissime formule a un elemento, in cui compare solo il nome di Gesù; a due elementi, in cui compare il nome di Gesù e di Dio; a tre elementi in cui compaiono i nomi di Gesù, Dio e Spirito Santo. Esempi di formule di fede: Ad un elemento “Gesù è il Signore” (1 Cor. 12,3 e Rm. 10,9) A due elementi “Per noi c’è un solo Dio, Padre dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui” (1Cor.8,6) A tre elementi “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo” (“Cor.13,13) “Battezzate le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt.28,19) Formule più dettagliate “Quello che ho ricevuto: che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture; fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture” (1Cor. 15,3 e ss.) “Il Vangelo di Dio ...riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo al carne, costituito Figlio di dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore” (Rm.1,3 e ss.) Tali formule sono nate per esigenze liturgiche, di culto e per contrapposizione al giudaismo o ai detrattori del cristianesimo. La fusione di queste ed altre formule variamente sparse nel N.T. originano il Simbolo Apostolico, che diventa una espressione sintetica della Fede. In esso, in quanto confessato, diventa la misura dell’ortodossia e delle eresie. Quale coscienza hanno le chiese di se stesse? Esse hanno la coscienza di essere delle comunità tra loro in Comunione (koinonia). Concepiscono la Pace come appartenenza alla comunità cristiana. Infatti sulle tombe la scritta “Riposa in Pace” aveva il senso che questo tale riposa unito alla comunità cristiana. Avevano, infine, la coscienza di essere delle comunità di Amore, di Agaph. Con questo vocabolario le Chiese dicono a tutti che i cristiani sono in comunione tra loro e membri di un’unica comunità superiore e che tra loro fanno comunione. La cosa viene attestata dalle Lettere di comunione, le quali certificavano che il latore di tali lettere partecipava all’eucaristia di quella comunità e, quindi, poteva partecipare a tutte le celebrazioni presso le chiese dove si recava. Ciò sta a dimostrare l’unità di tutte le chiese e l’unica fede nel Cristo morto e risorto celebrato nell’ Agaph. Successivamente, con sorgere delle chiese eretiche, si pose il problema di individuare non più la chiesa, bensì i responsabili delle chiese ortodosse. Nacquero, così, elenchi di vescovi cattolici-ortodossi. Tali lettere, quindi, divennero a tal punto strumento di individuazione dell’ortodossia. Ma che cos’è questa “comunio”? Su cosa si fondava? Essa è la partecipazione all’eucaristia che mette, per l’appunto, in comunione i cristiani tra loro e questi con il Signore, formando in tal modo un unico corpo (1Cor 10,17). Tale comunione, tuttavia, non si limita ad una semplice partecipazione all’eucaristia, ma ha come presupposto la retta fede di tutti i credenti, che si richiamano alla comune fede battesimale. Altro elemento di “comunio” è il discernimento dei vescovi, cioè il criterio di valutazione e di approvazione delle questioni riguardanti la fede, All’interno dei vescovi si fa strada l’idea che il vescovo di Roma ha una sua peculiarità La Comunio, dunque, era essenzialmente fondata su tre elementi: - Fede battesimale, come dottrina e prassi - Eucaristia - Vescovi, ai quali era demandato il criterio di discernimento e di approvazione delle questioni di fede e di comunità. Al loro interno emergeva un riconoscimento della peculiarità del vescovo di Roma. Il contrario di comunione è la scomunica. Essa è la proibizione di partecipare alla cena del Signore. Chi può scomunicare è il presidente della comunità: il vescovo o il presbitero; oppure era lo stesso interessato che si autoescludeva dall’eucaristia per gravi offese arrecate contro il Vangelo o alla comunità stessa. Tuttavia la scomunica doveva trovare convalida presso tutti i vescovi delle comunità, altrimenti rimaneva scomunicato lo scomunicante. Da qui la prassi di indire periodicamente dei sinodi per deliberare questioni riguardanti la fede e linee comuni di amministrazione delle comunità. Il Sinodo si svolgeva sempre a livello regionale; per questo ci si preoccupava dell’apostolicità delle chiese, nel senso che sinodi e chiese dovevano sempre trovare il loro radicamento nell’insegnamento degli Apostoli. Per garantire tale Apostolicità ci si riferiva alle chiese maggiori. In tal modo, intorno al 240/250 si fece strada l’orientamento di riferirsi come criterio di apostolicità alla chiesa di Roma, come chiesa di Pietro e Paolo. Tuttavia, ancora non si era sviluppata l’idea di “primato” di Roma o del papa. In questo periodo più che di primato si deve parlare di peculiarità, di particolare attenzione verso questa chiesa come chiesa.

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