mercredi 22 mai 2013

PERSECUZIONI SOTTO L' IMPERO ROMANO

Il Scriba Valdemir Mota de Menezes leggere il testo qui sotto e raccomanda come una lettura illuminante sulla storia della Chiesa. Fonte: http://digilander.libero.it/longi48/Chiesa%20Antica.html LE PERSECUZIONI Premessa Il termine persecuzione è molto generico e indica vari episodi che hanno plurime manifestazioni. Esse furono locali, centrali del potere o imperiali, cioè estese a tutto l’Impero. Le persecuzioni in genere fino all’anno 250 d.C. furono occasionali e sporadiche, per lo più locali e si differenziavano, per intensità e durata, in ciascuna provincia. Apparivano, in genere, come esplosioni di odio o rancore più che azioni proprie dello stato sistematiche e disposte preventivamente. Ci si muoveva in base ad un diritto di tipo generale, poiché mancavano leggi specifiche di merito. Sarà solo da Decio (250) in poi che le persecuzioni troveranno anche una base giuridica e saranno sistematiche ed estese a tutto l’impero. I cristiani erano colpiti come singoli o gruppi, ma mai come comunità ecclesiale. Una svolta in tal senso, invece, si avrà con Diocleziano che provocò un enorme danno alle chiese come comunità e puntava alla estirpazione sistematica non tanto dei singoli cristiani, quanto delle comunità stesse. Sotto di lui, infatti, furono distrutti luoghi di culto, libri sacri, fatti prigionieri e costretti alla abiura i capi delle comunità e poi uccisi e infine la persecuzione fu estesa indistintamente a tutti i fedeli. A seguito di questa feroce persecuzione, molti documenti sono stati distrutti e numerose testimonianze sono andate perdute; per questo ci è pervenuta poca documentazione sulla vita delle chiese dei primi tre secoli. Per questo periodo, reso cieco dalla persecuzione, prevalente punto di riferimento è l’opera di Eusebio “Storia ecclesiastica”. Le motivazioni I Romani hanno perseguitato i cristiani per motivi religiosi o politici? Porre questa domanda non è realistico, poiché questa distinzione rispecchia la nostra mentalità, ma non quella dei Romani per i quali politica e religione erano un binomio strettamente inscindibile: la religione era, da un lato, fondamento dello Stato e, dall’atro, era ad esso finalizzata. La tolleranza romana verso le varie religioni dei popoli conquistati era in realtà solo parziale; infatti la “Pax deorum” chiedeva di venerare gli dèi dell’Impero che hanno fatto grande Roma e l’hanno voluta come potenza imperiale. Vi era, quindi, un obbligo, quale segno di fedeltà e lealtà verso lo Stato, di venerare esclusivamente gli dèi di Roma. Fu solo successivamente, per tolleranza e convenienza politica, che i Romani concessero ai popoli vinti di continuare il culto dei loro dèi, ma con obbligo di anteporre a questi il culto di quelli romani. In genere, comunque, si può affermare che gli imperatori non furono dei sanguinari che avevano in odio i cristiani, ma restauratori della “pietas” romana verso gli dèi che si scontrava con il fermo rifiuto dei cristiani del politeismo e del culto all’imperatore. La questione delle persecuzioni, pertanto, non è un problema astratto, ma concreto e va ricercato, di volta in volta, nei comportamenti dei singoli imperatori e delle situazioni che ne circostanziavano le decisioni. Ciò spiega perché a lunghi periodi di tranquillità scoppiava, quasi all’improvviso, la persecuzione. Le cause delle persecuzioni si possono sostanzialmente raggruppare in due parti: - motivazioni politico-religiose; - motivazioni popolari. Motivazioni politico-religiose La “Pax deorum”, strettamente legata al culto pubblico, comportava l’obbligo da parte dei cittadini di tutto l’impero il culto degli dèi di Roma che si ritenevano il fondamento stesso della grandezza e potenza. Sottrarsi, quindi al culto pubblico era considerato un atto contro l’integrità dello Stato e dell’Impero e, pertanto, perseguibile. Inoltre, già con Giulio Cesare (54 a.C.) era invalso l’uso di divinizzare, dopo la sua morte, l’imperatore, benché, ancor prima, ci fosse stata la tendenza ad associare l’imperatore o le sue qualità alla divinità (ad es. a Roma si era costruito un tempio alla Clemenza di Cesare). Tale tendenza, nel corso del tempo, lentamente si trasformò in divinizzazione dell’imperato vivente con obbligo di culto divino. Ben presto il culto imperiale si consolidò diventando elemento di prova di fedeltà e lealtà verso lo Stato e l’imperatore. Non tutti gli imperatori, tuttavia, pretesero apertamente il culto alla loro persona, benché quasi tutti a partire da Ottaviano Augusto associarono al proprio nome l’appellativo di “divus” . Con Domiziano (81-96 d.C.), per la prima volta, si accentuò l’assolutismo e con questo, apertamente, si associò il culto divino alla sua persona; egli si faceva chiamare “Dominus et Deus”. E’ evidente che, posta in questi termini, per i cristiani la situazione diventava insostenibile, considerata la loro fermezza nel riconoscere un unico Dio e suo Figlio Gesù Cristo. Per questo loro rifiuto di sacrificare agli dèi di Roma e all’imperatore, essi furono accusati di ateismo e di essere nemici dello Stato. La loro religione, con l’atto giuridico del senatus consultum (delibera del senato) del 35 d.C., fu considerata “religio illicita”, cioè non riconosciuta dal Senato, che respinse la proposta di Tiberio (14-37 d.C.) di riconoscerla, invece, come “religio licita” non tanto per avversità contro il cristianesimo, ma per affermare la propria indipendenza dall’imperatore. Motivazioni popolari Accanto alle motivazioni politico-religiose che, comunque, non sempre furono determinanti per decidere di perseguire i cristiani, accompagnandosi quasi sempre con situazioni di difficoltà o di crisi interne dello Stato o dell’Impero, affiorarono anche motivazioni di tipo popolare, che si concretavano prevalentemente in credenze basate su chiacchiere e maldicenze, che si traducevano in diffamazioni nei confronti dei cristiani circa i loro riti e il loro stile di vita. Ciò succedeva perché i cristiani, diventati ormai numero consistente penetrato a diversi livelli sociali, sentiti come una società chiusa all’interno della società, conducevano una vita ritirata e non lasciavano trasparire chiaramente la loro dottrina e i loro culti. Questo modo di vivere, velato o occultato dal silenzio, provocò il sospetto dell’ambiente in cui vivevano e da qui la diffidenza e le accuse più assurde e irrazionali. Da un punto di vista sociale questo costituì una sorta di difesa da ciò che non si conosceva e che, quindi, si temeva. Le accuse, le più disparate, si traducevano in mormorazione su “culti delittuosi”, di “banchetti tiestei” durante i quali i cristiani avrebbero mangiato carne umana (eucaristia), su atti lussuriosi incestuosi (dall’uso dei cristiani di chiamarsi fratello e sorella); inoltre si attribuì loro la colpa di tutte le catastrofi naturali, le pestilenze e le disgrazie pubbliche per il loro rifiuto di sacrificare agli dèi. In genere furono accusati di “odium humani generis” per il loro rifiuto di partecipare alle cariche pubbliche, agli spettacoli del circo, per il loro vivere appartati e organizzati in comunità chiuse. Pertanto, i cristiani dei primi secoli vissero in una atmosfera ostile che sfociò, spesso, in misure di particolare violenza da noi chiamate persecuzioni. Si parlò di “dieci” persecuzioni romane. In realtà esse furono molte di più se si considerano tutti gli atti di repressione, di contrasto e processo; molte di meno se si considerano le sole repressioni sistematiche e generali avvenute, per altro, molto tardi (tra il 250 e il 305 d.C.). LE PERSECUZIONI L’epoca delle persecuzioni si estende dal 64 d.C. (Nerone) al 311 d.C. (editto di Galerio). Tale periodo può essere suddiviso in 4 fasi: 1° fase: fino al 100 d.C. circa, le persecuzioni si manifestano come fenomeni repressivi sporadici e occasionali. 2° fase: periodo che va da Traiano (98-117) a Marco Aurelio (161-180) in cui si cerca di regolare la questione cristiana per mezzo di rescritti. 3° fase: periodo che va dal 180 al 250, dalla morte di Marco Aurelio all’avvento di Decio, ci fu una situazione pendolare: di fatto i cristiani dovrebbero essere perseguitati, invece sono tollerati. Fu un periodo di sostanziale tranquillità in cui la Chiesa non solo poté espandersi, ma conquistò anche le classi aristocratiche e i funzionari dello Stato, consolidando, inoltre, la propria struttura. 4° fase: periodo che va dal 250 al 311: è l’epoca delle grandi persecuzioni di Decio (249-251); Valeriano (253-260); Diocleziano (284-305). Se le persecuzioni si considerano come atti ostili contro i cristiani, allora già nel 33 d.C. circa, vediamo la chiesa di Gerusalemme perseguitata dai giudei, ma solo contro gli ellenisti e tra questi, in particolar modo Stefano che venne lapidato. Un secondo atto persecutorio contro gli ebrei e i cristiani della comunità di Roma fu promulgato da Claudio, nel 49 d.C. con un editto di espulsione, per sanare radicalmente i disordini sorti, per l’appunto tra ebrei e cristiani, in quanto quest’ultimi erano molto attivi nel proselitismo. Vittime di questa espulsione furono Aquila e sua moglie Priscilla, che si rifugeranno a Corinto e diventeranno coadiutori di Paolo. Tuttavia se escludiamo questi due fatti episodici ed occasionali, una vera e propria persecuzione iniziò con Nerone a seguito dell’incendio di Roma. Nerone (54-68 d.C.) La persecuzione scatenata da Nerone nel luglio del 64 d.C. fu del tutto occasionale a seguito di un incendio che devastò Roma e di cui egli fu il colpevole. Quindi, per scagionarsi dalle accuse di aver provocato l’incendio e stornare da lui il furore popolare, accusò i cristiani, che perseguitò e condannò a morte in modi atroci : furono crocifissi, dati alle belve come spettacolo, usati come torce umane o rivestiti di pelli di animali selvatici e dilaniati cosi dai cani. La persecuzione durò un anno e si spense da sola. Nerone, comunque, al di là del fatto contingente, non elaborò mai una politica contro il Cristianesimo, né mostrò una ostilità persistente contro i cristiani. Tale persecuzione ci viene riportata da Tacito negli “Annales” al cap. 15,44 e accennata da Svetonio nella “Vita dei Cesari”, senza però alcun accenno all’incendio. Il fondamento giuridico di tale persecuzione si ritrova nel senatus consultum del 35 d.C. sotto Tiberio (14-37 d.C.) che dichiara il cristianesimo “religio illicita”. Essa fu limitata alla città di Roma e l’accusa non fu di aver appiccato l’incendio, bensì di odio verso il genere umano, che trovava il suo fondamento nella vita riservata dei cristiani e nel loro rifiuto di partecipare alla vita pubblica, al fine di evitare l’obbligatorio culto pubblico. Domiziano (81-96 d.C.) Dopo la persecuzione di Nerone, i cristiani godettero di un periodo di trent’anni di sostanziale tranquillità sotto Vespasiano e Tito. Con l’avvento di Domiziano, negli ultimi anni della sua vita, egli accentuò il suo assolutismo e, per primo, promulgò il culto all’imperatore anche da vivo. Egli si fece chiamare “Dominus et Deus” e pretese di conseguenza l’adeguato riconoscimento religioso, che trovò, ovviamente, l’opposizione e il rifiuto dei cristiani. Da qui la persecuzione che , secondo Lattanzio, fu di “efferata crudeltà”. Vittime di questa persecuzione furono suo cugino, il console Flavio Clemente, mentre sua moglie Flavia Domitilla venne esiliata. Numerose furono anche le vittime tra la società nobile, e ciò lascia trasparire il grande livello di penetrazione del cristianesimo. Altra vittima illustre fu Giovanni, esiliato nell’isola di Patmos dove scrisse l’Apocalisse. Nerva (96-98 d.C.) Con l’avvento degli Antonini si inaugura un periodo di distensione nei confronti dei cristiani; tuttavia per tutto il II° secolo la situazione è caratterizzata più che dalla persecuzione, da un clima di paura e di precarietà; i cristiani vivono, comunque, sotto la minaccia di denunce e torture. I loro timori derivano più che dalla crudeltà degli imperatori, dalla ostilità delle popolazioni pagane e giudaiche. Con Nerva cessa la persecuzione domizianea, perché egli non condivide la divinizzazione dell’imperatore come il suo predecessore. Traiano (98-117 d.C.) Con Traiano si cerca di regolamentare la questione cristiana in modo più civile e meno traumatico. Basilare, per il comportamento da tenere verso i cristiani, è la lettera di Plinio il Giovane (112 d.C.), governatore della Bitinia, con cui egli chiede delucidazioni al suo amico e sovrano Traiano sul da farsi nei confronti dei cristiani che gli vengono presentati. Traiano risponderà con un rescritto suggerendo che “i cristiani non devono essere ricercati, ma se sono accusati e sono convinti di colpa, bisogna punirli. [...] Quanto, poi, ai libelli anonimi non devono essere accolti ....” Dai due testi (lettera di Plinio e rescritto di Traiano) si evince quanto segue: - Non esistono leggi specifiche contro i cristiani; - Non si parla mai di persecuzioni di massa, ma di singoli casi di natura occasionale; - L’unico capo di accusa è quello di essere cristiani; - Le norme date da Traiano sono di ordine empirico più che giuridico, e per altro, sono anche contraddittorie, cosa che rileverà anche Tertulliano. Adriano (117-138 d.C.) Adriano assume un atteggiamento sostanzialmente equo e positivo nei confronti dei cristiani, rilevabile da un rescritto (128 d.C.) a Minucio Fundano, proconsole dell’Asia. In esso scrive “Se l’accusatore riesce a provare che i cristiani fanno veramente qualcosa contro la legge, tu puniscili secondo la gravità del delitto. Se, invece, qualcuno prende questo pretesto per calunniare, non lasciarti sfuggire tale colpa e punisci a dovere” Antonino Pio (138-161 d.C.) Anche Antonino Pio segue l’esempio dei suoi predecessori Traiano e Adriano; e in una lettera indirizzata all’assemblea federale dell’Asia vieta di incolpare i cristiani di ateismo e di perseguire, invece, chi ha loro ingiustamente dato fastidio. Secondo alcuni, però, questo scritto non è autentico, perché se così fosse i cristiani non potevano più essere perseguitati. Marco Aurelio (161-180 d.C.) Marco Aurelio, fu un filosofo stoico: All’inizio del suo governo si sommarono assieme una serie di sfortunate coincidenze (carestia, peste, barbari ai confini) che portarono alla sollevazione della plebe contro i cristiani accusati, per il loro ateismo, di essere la causa di tutti questi mali. Inoltre Marco Aurelio aveva una particolare antipatia verso i cristiani che accusava di “inerzia” in quanto che non partecipavano alla vita pubblica e alla pubblica carriera. Fu così che scatenò una violenta persecuzione contro i cristiani. Nonostante ciò Marco Aurelio non emanò alcun editto speciale, limitandosi a confermare le direttive di Traiano. Martiri di questa persecuzione furono Giustino con sei suoi compagni, e altri ancora. Con l’avvento di Comodo (180-192 d.C.), ultimo degli Antonini, vennero giorni più tranquilli per le chiese. Settimio Severo (193-211 d.C.) E’ un africano e intende ristabilire l’ordine nell’impero. Inizialmente fu tollerante verso i cristiani, ma in seguitò emanò un editto che proibiva sotto grave pena sia la circoncisione che il battesimo. Un provvedimento che tenta di impedire il progressivo diffondersi sia dell’ebraismo che del cristianesimo. La persecuzione durò solo alcuni anni. Massimino il Trace (235-238 d.C.) Fu il primo barbaro sul trono dei Cesari. Per odio contro i Severi che avevano protetto e favorito i cristiani, scatenò una persecuzione, ordinando di uccidere solamente i capi della Chiesa su cui pesava la responsabilità della diffusione del Vangelo. La persecuzione, che infierì particolarmente in Cappadocia e nel Ponto, durò pochi anni per sopraggiunta morte dell’imperatore. LE GRANDI PERSECUZIONI Decio (249-251 d.C.) Fu un militare rozzo e pieno di energie; quando salì al potere instaurò una politica di grande restaurazione dello Stato, ormai in piena decadenza. Per questo stabilì che tutti i cittadini, compresi i cristiani, facessero atto di lealismo agli antichi dèi e all’impero. Era, quindi, una manifestazione politica e religiosa che mirava al compattamento dei popoli e dell’impero. Al rifiuto dei cristiani, scatenò una persecuzione generale, sistematica e di massa, voluta con determinazione e precisa nelle procedure. In ogni località dell’Impero costituì una commissione di cinque persone con il compito di convocare davanti a sé gli abitanti, comprese donne e bambini, e di imporre loro di sacrificare davanti agli dèi o dell’incenso davanti alla statua dell’imperatore. A tutti quelli che accettavano veniva rilasciato un certificato di sacrificio (libellus). Chi, invece, rifiutava veniva sottoposto dalla commissione ad ogni sorta di pressioni: minacce, torture, prigione, fino alla morte. Fu una persecuzione inattesa, un fulmine a ciel sereno, e molti cristiani, presi dallo spavento, tradirono la fede: sono i famosi lapsi. Numerosissime furono le defezioni, molti sacrificarono agli dèi (sacrificati); altri ancora bruciarono incenso davanti alla statua dell’imperatore o degli dèi (thurificati); altri, infine, corrompendo la commissione, si procurarono dei certificati senza, però, tradire la fede (libellatici). Tutti quelli che, a vario titolo, cedevano erano automaticamente fuori dalla Chiesa, che subì una impressionante riduzione di effettivi in pochi mesi. In una chiesa così decimata e quasi priva di guida, assunsero una figura importante i confessores, cioè quei cristiani che per la testimonianza della loro fede erano imprigionati e rischiavano la morte da un momento all’altro. Essi furono meta di pellegrinaggio da parte dei lapsi, che venivano a chiedere il perdono, ricevendo da loro il libellus pacis con cui venivano reintegrati nella Chiesa, senza imporre loro nessuna penitenza. Quando vennero liberati essi conservarono gran parte del loro prestigio, entrando in concorrenza con un clero ormai indebolito. Questa concorrenza provocò due gravi scismi all’interno della Chiesa. In Africa, per la rigidità di Cipriano di Cartagine che non volle riammettere i lapsi se non in punto di morte, il sacerdote Novato e il diacono Felicissimo si opposero provocando uno scisma e furono scomunicati. Tuttavia, la paura di ulteriori conflitti interni suggerì alla Chiesa africana un più moderato atteggiamento verso i lapsi, ma ormai era troppo tardi: lo scisma si era consumato. A Roma il sacerdote Novaziano, che aveva sostenuto ad interim la cattedra del Vescovo di Roma, rimasta vacante dopo la morte di Fabiano per la durezza della persecuzione, si fece sostenitore di un forte rigore con i lapsi. Quando il clero di Roma elesse come vescovo Cornelio, Novaziano si fece eleggere a sua volta, prodigandosi per essere riconosciuto da tutte le chiese. Si produsse una forte tensione all’interno della Chiesa fino allo scisma. I martiri in questo periodo furono diverse centinaia, forse qualche migliaio. Per la strenua resistenza delle chiese, la persecuzione, durata circa un anno, andò lentamente scemando fino a terminare verso al fine dell’estate del 251. Valeriano (253-260 d.C.) Salito al potere durante l’estate del 253, fu inizialmente, nei primi quattro anni del suo impero, favorevole ai cristiani che vengono riammessi alla corte. Ma le situazioni di difficoltà militari e particolarmente finanziarie spinsero Valeriano, su istigazione del suo ministro delle finanze Macriano, a confiscare i beni dei singoli cristiani e delle chiese in genere. Caratteristica di questa persecuzione, equiparabile a quella di Decio, fu quella di impadronirsi delle ricchezze e dei beni delle chiese e dei cristiani. Pertanto, Valeriano promulgò due editti: - uno nel 257 con cui ordinava ai capi delle chiese di sacrificare agli dèi dell’Impero, pena il bando; e ai cristiani, pena la morte, proibì le assemblee di culto; - il secondo nel 258 con cui i capi delle chiese che si rifiutavano di sacrificare venivano puniti con la morte, mentre gli honestiores, cioè i membri delle classi elevate, venivano imprigionati e costretti all’abiura, diversamente mandati a morte e i loro beni confiscati. Questa persecuzione, assieme a quella di Decio, fu la più cruenta e terminò nel 259, quando Valeriano fu fatto prigioniero dei Persiani. Salì al potere il figlio Gallieno (260-268) che, preoccupato delle sorti dell’Impero, lasciò in pace i cristiani concedendo la libertà di culto e restituendo i luoghi di culto e i cimiteri confiscati. Con Gallieno ha inizio un altro quarantennio di pace fino al 300 circa. Diocleziano (284-305 d.C.) Con l’avvento di Domiziano al potere, l’Impero subisce una radicale riorganizzazione. Fu diviso in Impero d’Occidente e d’Oriente. Si suddivise in 4 prefetture, 12 dicesi e 96 province. Capitale dell’Occidente fu Milano e dell’Oriente fu Nicomedia. Roma rimase solo capitale onoraria. Assunse al governo dell’intero impero altri tre imperatori, costituendo una amministrazione imperiale formata da due Augusti coadiuvati da due Cesari: - Diocleziano, con il titolo di Augusto, insieme a Galerio, con il titolo di Cesare, governarono l’Oriente; - Massimiano, con titolo di Augusto, e Costanzo Cloro, con titolo di Cesare, governarono l’Occidente. In uno Stato così restaurato una Chiesa autonoma e saldamente gerarchizzata non poteva più essere tollerata all’interno dello Stato; occorreva una religione ufficiale sottomessa al potere che facesse da collante morale a tutto l’Impero. Diocleziano instaurò gli antichi culti pagani con obbligo per tutto l’Impero. A tal punto fu inevitabile lo scontro con lo Stato, che fu drammatico. La persecuzione scoppiò nel 301 circa su istigazione di Galerio che convinse Diocleziano che i mali di tutto l’impero erano da addebitarsi ai cristiani, come elementi disgregatori della società e negatori del culto ufficiale. Ma il vero ispiratore fu il filosofo neoplatonico Ierocle, proconsole della Bitinia, che combatteva il cristianesimo anche con gli scritti. Si cominciò con l’epurazione nell’esercito mettendo i soldati cristiani di fronte all’alternativa di sacrificare agli dèi o di essere espulsi dall’esercito. La fase più acuta della persecuzione si toccò nel 303 in cui Diocleziano emanò ben quattro decreti : - Nel primo si ordinava la distruzione dei luoghi di culto e i libri sacri bruciati; - Nel secondo ordinava l’incarcerazione dei capi delle chiese e la loro costrizione a scarificare; - Nel terzo condannava alla pena capitale coloro che si rifiutavano di sacrificare; - Nel quarto estendeva l’obbligo di sacrificare a tutti i cristiani indistintamente, sotto pena di torture e di morte. Nel 305 Diocleziano si dimette e sale al potere Galerio che continua la persecuzione in Oriente con tutta la virulenza del suo predecessore e cessa nel 311 con un editto di tolleranza del 30 aprile, sei giorni prima di morire divorato dal cancro. Gli succede Massimino Daia, più fanatico e oltranzista di Galerio; continuò con recrudescenza la persecuzione, che dovette, però, abbandonare verso la fine del 312 per intervento di Costantino; e il 30 aprile 313 venne sconfitto dal suo rivale d’Occidente Licinio, che ne sterminò i seguaci e conquistò le sue province. Nel 313 Licinio e Costantino si incontrano a Milano per consultarsi sulla situazione politica e religiosa dell’impero. In tale occasione non vi fu nessun editto, ma un semplice accordo che noi conosciamo grazie a due lettere scritte da Licinio. In esso si riconosce “ai cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede”. Ci si rende ormai conto che in vaste zone dell’impero non si segue più la religione dei padri, per cui, al fine di evitare continui e cruenti conflitti sociali, si decide di lasciare il culto della divinità alla coscienza di ciascuno, senza imporre obblighi. L’importante è non essere atei, poiché questo infrangerebbe la Pax deorum attirando l’ira degli dèi. Inoltre si provvede alla restituzione dei luoghi di culto ai cristiani. Con queste disposizioni si riconosce il fallimento delle persecuzioni e la forza del Cristianesimo. Il mondo pagano con quest’ultima persecuzione viene definitivamente sconfitto dal Cristianesimo e una nuova svolta epocale si apre per la Chiesa con l’avvento di Costantino.

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